Imprenditore al servizio dei boss

Imprenditore al servizio dei boss Imprenditore al servizio dei boss Palermo, preso mentre preparava la fuga in Oriente PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Quando i carabinieri ieri mattina sono andati a casa sua per ammanettarlo per concorso in associazione mafiosa, l'ingegner Benedetto D'Agostino, uno dei più ricchi imprenditori siciliani titolare con il fratello Giovanni della Sailem e di Cts, un'emittente tv, stava per abbandonare Palermo per trasferirsi in Malaysia con moglie e figli. Contava di lasciarsi alle spalle, con l'Italia, la scia di sospetti sempre più pesanti su di lui. Ma il progetto è stato comunicato in una telefonata intercettata il 18 novembre e gli inquirenti sono riusciti ad evitare la fuga. D'Agostino, 48 anni, Benny per gli amici, è stato chiamato in causa da numerosi pentiti fra i quali Angelo Siino. L'ordine di fermo giudiziario, firmato dai sostituti procuratori della Direzione Distrettuale Antimafia Biagio Insacco e Luigi Patronaggio, nelle sette pagine che lo compongono, descrive la Sailem, specializzata in opere portuali e marittime molte delle quali all'estero, come un'azienda contigua a Cosa Nostra. La Sailem, nel suo periodo di massimo successo tra gli anni 60 e 70, aveva mille dipendenti e assicurava lavoro ad un importante indotto. Mai entrati nell'alta società palermitana, quejla dei palazzi nobiliari, con le loro barche lussuose e le grandi disponibilità economiche, i' D'Agostino hanno però ottenuto sempre il massimo rispetto dovuto a gente che lavorando sodo è riuscita a realizzarsi. Ora gli mquirenti antimafia appannano questo alone di rispettabilità e, forti anche delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, parlano di Benedetto D'Agostino come di uno «a disposizione» dei boss e di un operatore spregiudicato capace di districarsi in poco puliti appalti per opere pubbliche. Nell'ultimo periodo la situazione della Sailem si è di molto ridimensionata tanto che adesso l'impresa non ha più di un centinaio di dipendenti e ha impegni esclusivamente per banchine da allungare nei porti di Napoli e Palermo. Decisamente poco rispetto agli appalti da capogiro come quelli per la ricostruzione del porto palermitano sconvolto dal nubifragio del 25 ottobre 1973. La procura della Repubblica sta indagando anche su presunti rapporti tra l'azienda e la Spa Calcestruzzi di Antonio Buscemi imputato nel primo maxi-processo. Francesco Marino Mannoia, il pentito al quale il clan dei corleonesi ha sterminato la famiglia, ha raccontato fra l'altro che i D'Agostino ospitarono Michele Greco e altri latitanti della sua «famiglia» nella loro villa sul mare di Aspra, borgata di Bagheria. Salvatore Cucuzza, il boss del rione «Borgo Vecchio» davanti al porto, che si è pentito due anni fa, ha riferito che Pippo Calò, il cassiere della mafia ora all'ergastolo, consegnò anni fa denaro in valuta estera all'ingegner D'Agostino «per esigenze imprenditoriali e di rapporti tra D'Agostino e Michele Greco». Un altro pentito, Francesco Onorato, killer nel 1992 dell'eurodeputato andreottiano ed ex sindaco Salvo Lima, ha detto che D'Agostino aveva rapporti con Rosario Riccobono, il boss della «vecchia mafia» fatto uccidere da Totò Riina. E ancora il pentito di Altofonte Francesco Di Carlo, condannato tempo fa a Londra per un traffico di eroina, coinvolto nel delitto mascherato da suicidio del banchiere Roberto Calvi, ha sussurrato che i D'Agostino stavano molto a cuore a Bernardo Brusca, l'anziano padre di Giovanni. Da ultimo, Siino: avrebbe accennato anche lui a Benedetto D'Agostino come uno del «giro degli appalti» e del quale egli stesso fece parte. Antonio Ravidà Roberto Scarpinato LETTERA Caro direttore, A pagina 5 del quotidiano «La Stampa» del 24-11-97, in un articolo intitolato «Guerra Ros-Procura, l'ira dell'Arma», il giornalista Antonio Ravidà ha sintetizzato le dichiarazioni che Giuseppe Li Pera rese nei confronti di alcuni magistrati in servizio alla Procura di Palermo, nell'ambito di un procedimento poi archiviato nel giugno del 1993 per insussistenza dei fatti dall'autorità giudiziaria di Caltanissetta. In tale contesto il giornalista ha scritto: «Già nel '92 il primo pentito del filone "Mafia & Appalti", Giuseppe Li Pera, capoarea dell'impresa di costruzioni di Udine Rizzani-De Eccher, aveva accusato alcuni magistrati della Procura palermitana di aver dato a inquisiti i rapporti riservati, citando l'allora procuratore Pietro Giammanco, Guido Lo Forte, Roberto Scarpinato, Giuseppe Pignatone e Ignazio De Francisci. L'indagine fu archiviata». La notizia riferita dal Ravidà è, nella parte che mi riguarda, assolutamente falsa. Come risulta documentalmente provato dagli atti di quel procedimento archiviato, Giuseppe Li Pera non ha mai dichiarato in nessun verbale e in nessun atto che il sottoscritto aveva fornito agli inquisiti o a chicchessia rapporti o notizie riservati. Roberto Scarpinato Il pentito Angelo Siino. Dalle sue dichiarazioni è scaturito l'arresto di Benedetto D'Agostino, uno dei più ricchi imprenditori di Palermo Roberto Scarpinato

Luoghi citati: Bagheria, Caltanissetta, Italia, Londra, Napoli, Palermo, Udine