«Cara Dora, mi risposo» di Pierangelo Sapegno

«Cara Dora, mi risposo» «Cara Dora, mi risposo» Nel diario il dialogo con la moglie morta EER anni, Carlo Alberto tiene nel portafogli la foto a colori di Dora «col quel tuo bel golfino giallo, con il tuo medaglione appeso ad una lunga catena da collo, con il tuo foulard rosa e giallo, con la fronte alta rivolta verso il cielo, con quel tuo ineguagliabile sorriso fatto solo di vita e di gioia interiore, con al fianco la mia spalla e il mio braccio. Quanto sei bella, Cocca mia!». E quando poi il generale Dalla Chiesa dismette l'uniforme (anche se idealmente non se n'è mai spogliato), lasciando l'Arma per andare prefetto a Palermo, annota nel diario la gioia per «un O.d.G. (Ordine del Giorno, ndr) molto stringato, ma ricco di contenuti nel quale il tuo Carlo viene indicato come personaggio che ha dato molto al Paese e all'Arma e che può ben costituire orgoglio anche per i miei figli; ma soprattutto, tesoro bello, avrei tanto voluto leggerlo a te che adoro su tutti e su tutto, a te Cocca, che mi hai accompagnato passo passo per questi 40 anni, che hai sofferto, rinunciato, gioito al mio fianco, che mi hai tenuto per mano fino al grado di Gen. di Divisione, per poi lasciarmi solo, senza dirmi il tuo Ciao! E mi ha fatto immensamente piacere, tesoro, quando Rita ha preso quel foglio e lo ha posto sotto la tua fotografia in cornice, quasi davvero interpretasse i miei sentimenti, la mia gratitudine per te, la mia commozione per questi giorhTln cui piarlo planami avvicino a perdere i miei alamari, anche quelli che tu, amore, tante volte mi hai cucito sulla giubba nera da Colonnello, quella sulla quale avresti usato il tuo ago e il tuo ditale, il tuo amore per il tuo tenentino, per 0 tuo Capitano, per il tuo Colonnello, per il tuo maritino, per il tuo uomo, per questo tuo ragazzo sempre innamorato». Gli alamari, Dora, la famiglia, l'Arma. La foto di Dora torna in continuazione, anche nella forma di una sorda protesta perché in casa di amici «la tua fotografia è stata spostata in luogo meno evidente». Ecco, tra un ricordo personale e un altro, l'impatto della prima volta che Dalla Chiesa viene a sapere d'una sua possibile nomina a prefetto di Palermo: «Tesoro grande, mia Doretta, cara bella, ieri sera ero un po' stonato, frastornato e turbato e tante cose messe insieme, avendo appreso dal Gen. Cappuzzo (comandante generale dell'Arma, ndr) che in una delle prime riunioni del Consiglio dei ministri il tuo Carlo verrebbe nominato Prefetto, destinato a Palermo e incaricato della lotta contro la mafia. La cosa mi ha sorpreso relativamente... ma una volta giunta, una volta affacciatasi con qualche concretezza mi ha quasi spaventato. Nel senso che, tesoro mio, ariche*se vuol esse^' re un nuovo riconoscimento per il mio passato e per-Ja mia esperienza, anche se, molto più brutalmente, sto per divieni- ì re un'altra volta strumento di una politica che fa acqua da tante parti, tutto mi sembra giunga a schiacciare un arco intero della mia esistenza, un arco fatto di Arma, costruito nell'Arma, vissuto per l'Arma. Sì, dico schiacciare in quanto tutto mi sa di violenza, di trauma, di chiusura, tutto mi sa di ineluttabile e di nuovo, di indecifrabile e di strano, quasi alle spalle tutto si annullasse d'improvviso, quasi il tuo Carlo fosse chiamato a nuove prove, a nuovi tormenti, ma in un mondo che non è il suo, che non sente come suo. Mi capisci, gioia. E poi, senza la tua forza ogni nuovo traguardo mi sembra non offra ragioni d'essere». [...] Ma intanto si prepara una svolta nella vita del generale. Una doppia svolta. La sua vita ricomincia, nonostante il tormento. Ed è qualcosa che deve spiegare a Dora. Così: «Mio amore, Dora mia cara, cosi ho finito per accettare ciò che tutti... insistevano che io compissi, il passo Dalla Chie cioè di scegliermi una compagna per la restante parentesi della mia vita; una vita che peraltro con il battage che è stato compiuto sulla mia destinazione e sul mio arrivo, in Palermo si presenta un po' più esposta e che ha indotto, come ti dicevo, altri, sposati o fidanzati che fossero, a piantarmi solo anche nel rischio. Si tratta di un passo, Picei mia, che mai avrei accettato come necessario e che mai avrei considerato valido nel mio divenire, nel mio domani. Un passo che continua a turbarmi, che continua a farmi sentire colpevole ai miei occhi più ancora che ai tuoi, un passo che ancora non riesco a considerare...». Si chiude così il diario, troncato da una decisione più forte di ogni turbamento. Troncato nel mezzo del turbamento, da mi giorno all'altro, a metà di una frase. Pierangelo Sapegno Marco Ventura Dalla Chiesa con Emmanuela Setti Carrara

Luoghi citati: Palermo