La secessione di Cosa Nostra

Un fascicolo aperto dalla procura di Palermo sullo stragismo del '92 e del '93 IL GOLPE DEL SUD La secessione di Cosa Nostra L'ipotesi del dossier «Sistemi criminali» 1 RÓMA OME in codice: «Sistemi Crirninali». Il fascicolo dalle già ragguardevoli dimensioni, anche se ancora privo di iscritti sul registro degli indagati - è custodito nel palazzo di giustizia di Palermo. Due magistrati della Procura lavorano all'inchiesta: Antonino Ingroia e Roberto Scarpinato, pubblici ministeri nei processi più «esposti», da Contrada ad Andreotti e Dell'Utri. Allo stato si potrebbe definire una sorta di «analisi» sugli avvenimenti più recenti della storia d'Italia. Un'«analisi», però, che spiegando la logica degli ultimi fatti di mafia - si imbatte in qualche reato (omicidi e stragi) e in più comportamenti «anomali» di organi istituzionali ed investigativi. Di questo «contenitore» fanno parte alcuni atteggiamenti che sembrano alla base dell'attuale stagione di veleni. Stagione che vede protagonisti i Ros dei carabinieri e la Procura della Repubblica, con il ping-pong di accuse tra il dottor Guido Lo Forte e il capitano Giuseppe De Donno. Personaggio centrale del più ingarbugliato affaire siciliano è Angelo Siino, prima imprenditore mafioso «corleonese» e confidente di polizia a carabinieri, poi collaboratore di giustizia, in verità alquanto ambiguo. L'ex «ministro dei lavori pubblici di Riina» ha parlato di entrambi gb aspetti della vicenda: conosce molti retroscena politico-istituzionali, conosce i legami che i soldi possono «cementare», è informato delle sinergie tra finanza, mafia e massoneria. Le sue rivelazioni, infine, hanno convinto i magistrati di Palermo dell'esistenza di un tentativo del Ros di delegittimare la Procura attraverso le accuse di corruzione a Guido Lo Forte. L'ipotesi di fondo del dossier «Sistemi Crirninali» è che negli anni '91, '92 e '93 sia stato messo in atto un tentativo di destabilizzare l'Italia, una sorta di «golpe» proveniente dal Sud senza carri armati, attraverso la strategia stragista di Cosa Nostra che sarebbe andata a «perfezionare» lo squasso istituzionale provocato dalle inchieste sulla corruzione del pool di Milano. L'evoluzione del «piano» è molto articolata e poggia su dichiarazioni di collaboratori e sulla «lettura» di numerosi awenimenti apparentemente scollegati. Innanzitutto il proliferare di partiti e movimenti secessionisti, al quale non sono rimasti estranei personaggi come Leoluca Bagarella e lo stesso ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino. L'allarme secessione, sottoli- neato anche dai giornali siciliani, raggiunse il culmine nel 1993, quando in Italia giunse unamota dell'Eoi statunitense e si verificò una strana esercitazione militare al Nord. Era il mese di novembre e l'esercito varò l'operazione «Ditex superga sette», una simulazione di resistenza (nelle regioni di Piemonte, Lombardia e Liguria) al pericolo proveniente dal «Sud antidemocratico». A Palermo Bagarella e Ciancimino armeggiavano, in vista delle elezioni, con strani personaggi. Il mafioso, cognato di Totò Riina, fondava - servendosi di Tullio Cannella - il movimento secessionista «Sicilia Libera». Si saprà successivamente, e siamo nel 1996, che tutto sarebbe avvenuto coi soldi di Gheddafi che si offriva anche come finanziatore della difesa del senatore Giulio Andreotti. L'inchiesta denominata «Quasar» (contiene spunti sul grande riciclaggio, sui soldi della mafia a Malta, sul finanziamento dei libici e su una presunta presenza di Licio Gelli tra Palermo e Caltanissetta) sarà sorretta dalle dichiarazioni di tre pentiti: Leonardo Messina, Tony Calvaruso e Tullio Cannella. All'interno di questo calderone - che comprende ovviamente la ricerca dei mandanti occulti delle stragi del '92 e del '93 - esistono «piste» che portano anche a settori istituzionali. Alcune si collegano immediatamente al problema degli attentati. Come la storia di Paolo Ballini, estremista invischiato nel traffico di opere d'arte ed in contatto col mafioso Antonino Gioè implicato nelle stragi e poi morto suicida a Rebibbia. Secondo Ballini, la mafia lo aveva incaricato di trattare coi carabinieri un «alleggerimento giudiziario» per alcuni boss. Alla risposta negativa, il mafioso avrebbe risposto con la minaccia di far saltare la torre di Pisa con una partita di tritolo poi ritrovato sulla strada di Formelle Ciò prima che esplodessero le bombe di Roma, Milano e Firenze. La magistratura non fu messa al corrente di quanto aveva riferito l'informatore. Non è, questo, il solo episodio ambiguo. C'è poi l'intervento del maresciallo Lombardo (morto suicida) al processo Pecorelli. Una nota, targata Ros, che - in sintesi - prospettava una soluzione che «assolveva» Andreotti e Vitalone e radicava come responsabili i cugini Salvo di Salemi. Al centro della «dritta» una perizia che offriva ai giudici di Perugia, come arma del delitto Pecorelli, una pistola che, secondo Lombardo, aveva già sparato in Sicilia. Bastava, dunque, collegare i due omicidi ed attribuirne la responsabilità a quelli che avevano usato l'arma in Sicilia. Un accertamento rivelò che la perizia offerta da Lombardo non era esatta, la pista alternativa del Ros fu cestinata. C'è, infine, la discutibile gestione del collaboratore Balduccio Di Maggio e la mai sopita polemica sulla mancata perquisizione nel «covo» di Totò Riina. Lo strano «ritorno» del pentito a San Giuseppe Jato (per il quale un ufficiale dei carabinieri è chiamato a dare spiegazioni) è storia ancora da chiarire. L'altra vicenda si annuncia come il «tormentone» dei prossimi mesi. Francesco La Licata Vengono anche evidenziate ambiguità dei corpi speciali dei carabinieri Un fascicolo aperto dalla procura di Palermo sullo stragismo del '92 e del '93 Indagini sugli attentati forse voluti per destabilizzare l'Italia A sinistra, i pm Lo Forte e Scarpinato. In basso, il capitano De Donno.