LA VERA CRISI DELLA DESTRA di Bruno Vespa

\ DALLA PRIMA PAGINA LAVERÀ CRISI DELLA DESTRA qualche idea chiara. Se si pensa infatti che Berlusconi in un'intervista a Bruno Vespa pubblicata sull'ultimo numero di Panorama spiega come «scontato» il successo dell'Ulivo nelle grandi città perché «già nel 1993 Bassolino, Cacciari e Rutelli erano stati eletti al primo turno con maggioranze schiaccianti di oltre il 55 per cento» (mentre in realtà erano finiti in ballottaggi piuttosto difficili) si capisce che c'è un gran bisogno di argomentazioni più qualificate. Ma questo riguarda la qualità della leadership politica, non la qualità degli elettori e nemmeno la qualità delle ispirazioni politiche di fondo. Dov'è allora la crisi vera del centrodestra? Forse vale la pena di rivolgere lo sguardo più in là nel Polo, verso Alleanza nazionale. Un partito il cui pesante arretramento elettorale (9 punti percentuali persi rispetto alle politiche del 1996) è giunto inaspettato, dato che tutti si attendevano che An continuasse ad avere successo per le stesse ragioni per cui lo aveva ottenuto da quando Gianfranco Fini era entrato in campo contro Rutelli a Roma nel 1993. Ragioni in realtà non troppo autoevidenti. Fondate soprattutto sulla felicità di espressione del suo leader, e che hanno fatto pensare che dietro la sua capacità retorica ci fosse una chiara visione politica, una serie congruente di obiettivi, e in fondo una cultura. In realtà Fini era la faccia ter levisivamente efficace di una trasformazione politica affrettata. Se An avesse dovuto affrontare tutti gh esami di democrazia e di liberalismo a cui è stato sottoposto il pci-pds, la svolta di Fiuggi sarebbe apparsa una trovatina estemporanea. In ogni caso non si è capito verso quali ulteriori tappe An avrebbe condotto la sua trasformazione. Fini ha continuato a imperversare nella tattica, a sconfiggere molti avversari in tv, ma senza fare intendere che cosa voleva. Giocando su un equivoco, ha suscitato aspettative che inevitabilmente sono state frustrate. Battezzata come un partito capace di coniugare libertà e ordine, liberismo di mercato insieme a un'inclinazione «so- ciale e cristiana», An sarà pure capace di fare sentire le sue impazienze quando c'è di mezzo l'immigrazione, ma sul resto, sulla giustizia come sulla riforma del Welfare, non sembra avere una linea chiara. Tant'è vero che, nell'imbarazzante silenzio del Polo sulla riforma delle pensioni, Fini è riuscito a bocciare l'unico elemento qualificante della riforma, cioè l'equiparazione fra lavoratori pubblici e privati. A seguire le evoluzioni annunciate di An, le idee non si chiariscono. Prima si annuncia un destino thatcheriano, e protestano gli Alemanno e gli Storace, i capitila della destra sociale, poi si profila un programma di destra americana, quindi si recupera in ritardo Karl Popper e la società aperta, per concludere con il «modello Giuliani», dal nome del sindaco di New York teorizzatore della «tolleranza zero» verso l'illegalità. In queste condizioni la «Fiuggi 2», il nuovo appuntamento programmatico previsto a Verona il 20 febbraio, potrebbe avere una portata piuttosto limitata, proprio a cagione delle profonde incertezze sulla fisionomia da conferire al partito. Certo, è difficile trasformare un partito na- zionalista, populista, protezionista, ancora percorso da vibrazioni e nostalgie ribellistiche e da emotività antisistema, in una forza davvero liberale, in una destra moderna in quanto omologata ai criteri e agli schemi di valore della liberaldemocrazia. Per questo, di qui all'appuntamento veronese, può darsi che il vero punto di debolezza per i liberali di centrodestra venga individuato proprio in An. Il che non implica necessariamente rotture traumatiche fra il centro e la destra, ma più pragmaticamente il riconoscimento che la competitività del Polo (o di quello che sarà) va giocata tutta sul centro dello schieramento, scontando come fisiologica una certa marginalizzazione degli ex missini, e mettendo da parte le illusioni che Fini possa essere un buon cavallo di riserva per la leadership dello schieramento. Questo per recuperare quello che Berlusconi chiama enfaticamente «lo spirito del '94», ma che più semplicemente potrebbe essere definito un'egemonia liberale su un programma proposto senza equivoci a tutta la società italiana. Edmondo Berselli

Luoghi citati: Fiuggi, New York, Roma, Verona