E l'Homo divenne «erectus». Ma che fatica!

E l'Homo divenne «erectus». Ma che fatica! E l'Homo divenne «erectus». Ma che fatica! mozione) sia ben lungi dall'essere adottata da tutti. Includendo anche gli uomini, su 101 specie di primati moderni, il 23,8 per cento (quasi un quarto) conduce vita a terra, pur mantenendo una notevole capacità di utilizzare gli alberi, sia come luogo di foraggiamento, sia come rifugio. Le specie terricole, però, non sono equamente distribuite attraverso i vari subordini e famiglie di primati. Solo due proscimmie e nessuna platirrina (scimmia del Nuovo Mondo) vivono a terra, mentre questo tipo di utilizzo dello spazio è proprio del 42,9 per cento delle catarrine (scimmie evolutesi in Europa, Asia e, soprattutto, Africa). Le catarrine sono un po' il punto di arrivo dell'evoluzione dei primati. In questo senso, la nostra unicità di bipedi terricoli perde un po' di immagine e appare semplicemente come un punto estremo di una tendenza evolutiva presente in metà dei Catarrhini. Camminando nelle savane africane ho notato come gli uomini tendano a percorrere distanze anche lunghe e non necessarie per fare il campo sera¬ le alla base di un albero. Non c'è bisogno di ombra, a quell'ora. Tra le radici e i cespugli (oltre che sui rami) si possono celare serpenti e insidie varie, ma non c'è niente da fare: nessuno ama mettere il giaciglio al centro di una piana desolata, il mio scenario favorito. Tutto ha a che fare con il nostro retaggio scimmiesco d'Africa: negli anni in cui si evolveva la nostra andatura bipede a terra (impossibile muoversi su due gambe sui rami, provare per credere: al massimo ci si può appendere per le braccia come fanno i brachiatori gibboni, dimostrando a Leakey che esiste una deambulazione bipede per mezzo degli arti superiori), la foresta cedeva il passo alla savana, con tutta la sua caratteristica pletora di predatori carnivori di ogni sorta. Risulta ragionevole che ci sia rimasto, nel comportamento se non nell'anatomia, un certo livello di affinità con gli alberi, a scopo di rifugio. La nostra insicurezza, in savana come altrove, trova le ragioni stesse nel semplice camminare su due zampe. A noi pare assolutamente normale, ma non ci rendiamo conto che, quando facciamo quattro passi, siamo sempre sull'orlo di una catastrofe, proprio come la foresta dei nostri antenati quadrumani sugli alberi, cinque o sei milioni di anni fa. In effetti, il nostro modo di muoverci è solo un goffo metodo per non cadere. Provate a stare ritti in piedi: basta una piccola spinta per mettervi in crisi, se tenete i piedi uniti. Per superare la crisi, mettete un piede avanti. Nel momento in cui questo tocca il suolo, l'inerzia ci porta a compensare la spinta con un movimento a pendolo dell'altra gamba, che si contrappone alla risultante della forza di gravità e delle componenti la quantità di moto. Per stare in piedi, lo slancio deve, come nel pendolo, raggiungere una situazione potenziale che sia analoga a quella di partenza. A quel punto ci troviamo daccapo con un piede sollevato in aria e, davanti, l'e¬ ventualità di una caduta. Di conseguenza dobbiamo iterare la sequenza, un passo dopo l'altro, giusto per rimanere diritti e non cascare a faccia in avanti. Per fermarci, dobbiamo fare un considerevole sforzo con i muscoli delle gambe, che si trovano a controbilanciare lo slancio dell'andatura (momento di inerzia) e l'equilibrio instabile dovuto al fatto che il nostro baricentro è posto al di sopra (e di molto) del poligono di appoggio costituito dai piedi, unico elemento stabile della nostra anatomia deambulatoria, Gli antropologi, con una battuta, amano dire che, se l'evoluzione fosse gradualisticamente progressiva da situazioni meno specializzate a strutture più specializzate, allora tra i quadrupedi e i bipedi occorrerebbe incontrare i tripedi. In effetti il nostro piede è un treppiede, con l'appoggio sul calcagno e sui punti di attacco di alluce e mignolo. Dato che tre punti individuano sempre un solo piano, la catastrofe deambulatoria, da fermi, sembrerebbe sventata, ma tutti sappiamo bene come ci si stanchi a stare immobili sull'attenti, una postura resa ancor più scomoda del cosiddetto «piano di Francoforte», un rapporto orecchiocchi individuato in un convegno antropologico (uno dei primi) di fine Ottocento. Per evitare di cadere, non basta continuare a camminare, come potrebbe fare una trottola-giroscopio che si mantiene ritta grazie al momento di rotazione: il consumo energetico sarebbe eccessivo (anche se al-

Persone citate: Leakey

Luoghi citati: Africa, Asia, Europa, Francoforte