NEL TEATRO DI SCIALOJA UN GIROTONDO DI FANTASMI

4.. 4.. LA STAMPA Giovedì 20 Novembre 1997 A CURA DI ADHOC GPF & ASSOCIATI NARRATIVA ITALIANA 0BENNI 24.000 Fetoinelli QTOMIZZA 27.000 Mondadori Bar Sport Duemila 32 [5] Franziska 8 [9] QPANSA 28.900 Sperling & Kupfer ©RIOTTA 28.000 Rizzoli La bambina dalle mani sporche 24 [3] Principe delle nuvole " 7 [3] £)DE CARLO 28.000 Mondadori ©MORAZZONI 22.000 Longanesi Di noi tre 23 [4] II caso Courrier 6 [9] ©SERRA 25.000 Fetoinelli ©LOY 16.000 Einaudi II ragazzo mucca 10 [9] La parola ebreo 5 [22] ©MARAINI 26.000 Rizzoli {Jj)TABUCCHI 28.000 Feltrinelli Dolce perse 9 [27] La testa perdutadi Damasceno... 5 [30] NARRATIVA STRANIERA ©JACQ Il Il romanzo di Ramses (4) 16.900 Mondadori 100 [2] © KUNDERA L'identità 26.000 Adelphi 36 [2] o o JACQ Il romanzo di Ramses (3) 16.900 Mondadori 22 [II] CUSSLER Cacciatori del mare 32.000 Longanesi 19 [3] IROY Il dio delle piccole cose 29.000 Guanda 27 [4] ©TUROW L l d La legge dei padri 33.000 Mondadori 16 [7] ©YOSHIMOTO Ai Amrita 24.000 Feltrinelli 27 [5] ©MCCOURT L d Le ceneri di Angela 32.000 Adelphi IS [6] IMCEWAN L'amore fatale 28.000 Einaudi 23 \5] ©ALTEA Sii Spirito libero 24.500 Sperling & Kupfer 15 [3] NEL TEATRO DI SCIÀLOJA UN GIROTONDO DI FANTASMI Altri versi: dal bestiario figurato alle nuove Costellazioni LE COSTELLAZIONI Toti Scialoja Marsilio pp. Ilo L 24.000 Un funambolo che gioca in «ebbre piroette» o che si fa avvolgere in ondate di passione, «rapide e lente», come le amnesie, al con/ine tra la vita e la morte ROMA A zona è quella dell'antico ghetto, un resto di chiuso che s'attorciglia come un budello. Tutt'intorno vie di mestieri, di santi, di parole da stornelli. Il palazzo si chiama Costaguti, s'affaccia su piazza Mattei e dà nome all'altra piazza che si vede dalle finestre del quarto piano, dove Toti Scialoja, ottantatré anni a dicembre, mi accoglie sul pianerottolo: «Ho sempre amato questo posto, non so perché». Claudicando come uno gnomo benigno mi fa strada e ci sediamo l'uno di fronte all'altro sul divano dello studio-laboratorio. «Scialoja come sciare», propongo per avviare la conversazione: come uno slalomista che con leggera balbuzie scivoli tra le lettere, le sillabe, i suoni. «Magari Scialoja come scialare», incalzo: come una baldoria di immagini e trovate di genere fantaisiste. Ma lui frena con ironia ben provvista: «Scialoja come sciatica», sorride indicando la gamba irrigidita. Due ambienti ben distinti. Di qua i libri, le carte sparse, qualche quadro di lontana figuratività, la rossa Va- lentine dell'Olivetti su cui vengono battute le poesie. Di là la grande bottega della sua pittura di «espressionismo astratto», come lui stesso la cataloga, le tele preparate a terra, un piccolo recinto di cartoni per evitare che il colore sprizzi ovunque. Toti Scialoja ha appena pubblicato due libri che sembrano confermare il gioco delle parti. Da Mondadori una raccolta aggiornata del bestiario figurato, Quando la talpa vuol ballare il tango (prefazione di Giovanni Raboni, pp. 154, L. 32.000): il suo personalissimo «Nursery Rhymes» con animali comuni e favolosi ritratti in pose buffe o malinconiche, interpreti di una clownerie giocosa e sempre meno innocente. Da Marsilio un nuovo libro poetico, Le costellazioni, che viene a far dittico col primo, Rapide e lente amnesie, di tre anni fa. Due libri, questi di Marsilio, che si distinguono dai precedenti, come ad esempio 7 violini del diluvio pubblicato da Mondadori nel '91, per l'adozione di un nuovo verso lungo (otto e nove sillabe con cesura), che Scialoja ha scoperto nel Pascoli traduttore di Omero leggendo 1''Antologia dell'Italia Unita di Con¬ tini: «Ma fu già con Pascoli che a otto anni capii l'esistenza della poesia. Eravamo a Procida e il marito di una cugina di mio padre che per affetto chiamavo zio, l'avvocato Luigi Trompeo, fratello del francesista Pietro Paolo Trompeo, mi lesse una poesia di Pascoli che mi folgorò. Ho poi molto amato Pascoli almeno fino ai quattordici anni, quando cominciai ad essere infastidito dall'eccesso di lacrime e i miei poeti diventarono i grandi simbolisti, da Baudelaire a Rimbaud a Mallarmé. Ma a Pascoli sono sempre tornato, perdonandogli il patetismo, perché malgrado il patetico lo considero un grande poeta». ilj d l g pScialoja scandisce commosso la traduzione del distico omerico a cui resta legata la sua rivoluzione metrica: «Datosi un colpo nel petto, al suo cuore drizzò la parola:/"Cuore, sopporta! ben altro tu hai sopportato più cane!"». Ed è proprio di cani, o a dir meglio, come in un verso delle Costellazioni, di «anni in forma di cane», che sono ormai popolate le sue poesie : «Il passato è sempre più incombente, i fantasmi che ho alle spalle mi premono, mi appaiono, dialogano tra di loro, in¬ somma c'è un gran traffico di persone scomparse. Tanto che in un primo tempo avevo pensato al titolo Dunque la desolazione. Poi mi sono detto: no, calco troppo sulla mia malinconia». La condizione artistica di Scialoja è quella del funambolo che gioca in «ebbre piroette» o che si fa avvolgere^ ondate di passione, «rapide e lènte», come le amnesie appunto^'al confine tra la vita e la morte. Gome in quest'altro verso: «La paura della morte la diffonde un lilla in minore». Il traffico dei fantasmi, dei molti revenants che popolano il suo teatro mentale si incrocia sul palcoscenico di un allestimento che vira sempre di più allo scuro (Scialoja ha insegnato a lungo scenografia all'Accademia di Belle Arti di Roma e ha allestito importanti spettacoli teatrali con il regista Vito Pandolfi, con il coreografo Aurei Millos, con il musicista Goffredo Petrassi, con qualcuno degli amici «Novissimi» come Giuliani, Balestrini, Pagliarini). Non è dall'allegria che gli viene la spinta. Anche per i suoi corto circuiti intraverbali preferisce infatti parlaredi «gioco consolatorio a cui ci si abbandonai: «Il giòco delle parole che hanno un suono ma non si applicano a nulla, parole che diventano magiche, apriti sesamo che alludono a un'assenza accattivante. Il bambino elice elefante e s'incanta all'enfasi dei suoni che la parola contiene, è attratto dal suo mistero, gioca ai margini di un significato che diventa una specie di preda fuggitiva». Il ponte tra le due esperienze poetiche, del mondo bambino e del mondo adulto, è in definitiva questo: «La prima è un nonsenso che tende al suo smascheramento, la seconda un nonsenso che non si smaschera mai una volta per tutte. La grande poesia sembra sempre che dica tante cose e invece non fa che dire se stessa. Le cose si svelano, ma il velò resta». ' Più che ai bambini, i teatrini di Scialoja si rivolgono a quel che c'è di bambino negli adulti, o a quel molto che ne traspare nei vecchi: «La vecchiaia è un po' come un sogno, nel senso che c'è una profonda irrealtà nell'essere vecchio. Come il bambino vive nell'irrealtà del non capire perché è nato, il vecchio vive nell'irrealtà del non capire perché è diventato vecchio. La morte diventa tanto prossima da essergli familiare. Ma poiché non si può vivere nel terrore di morire si finisce nell'accettazione blanda di uno slittamento continuo, più vicino al sogno che alla realtà. Le piccole scadenze allarmano, gli appuntamenti di cui si avvicina l'ora mettono an-' sietà. E' la paura dell'evento ctór maschera l'Evento». Quel che resta di un teatrante esperto calca sull'ultima parola per sottolinearne il valore definitivo. E' come se Scialoja prendesse fiato per soffiarne il suono. Più che un sussurro forse il suo è uno scongiuro, di certo è un congedo. GINA LAGORIO : LE COLLINE E IL MARE DELLA MEMORIA INVENTARIO"-» A MILANO Gina y ~ 1 un ricordo inedito, che non tro- Li J a i t i E i y u icodo inedito, che non troLagorio . J vera in queste pagine. Ero in un R// * itt di Ch Et gro . J vera in queste pagine. Ero in un Rizzo// * ristorante di Cherasco. Entra B^ ristorante di Cherasco. Entrapp 232 B""-^ Gaetano Scardocchia, allora di- L 26000 tt d "L St" l B^L. 26.000 rettore de "La Stampa", con la l moglie. Non c'è un tavolo libeA ro. Gli cedo il mio. Nel pomerigfifl <Km gio mi fa avere, in segno di ringraziamento, una corbeille di fiori». La gentilezza e la memoria, la memoria della gentilezza: ecco il fil rouge di Inventario, l'opera fresca di stampa di Gina Lagorio, una signora fusa in una volontà di l'erro, di una dolcezza ispida, che non concede nulla alla caramellosità, molto piemontese e molto ligure, le sue due orme. Inventario: così usa fare, quando si chiude un'attività o quando la si vuole rinnovare. Gina Lagorio, come l'amatissimo Sbarbaro, confessa «l'inimicizia del buio». La stagione delle ombre è ancora lontana, riordinare il baule, i bauli, è dunque il prologo di ulteriori, densi viaggi, innanzitutto narrativi: «Aspetto che si delinei una storia lieve, agile, che si detti quasi da sola». andare à rebours, alle radici. Ecco perché ho dedicato alle mie nipotine tale sorta di diario». La leggerezza è il motivo di Inventario. Un vagare - un vagabondare - nelle età della vita, un andar rapsodico, di fatto in figura, di umore in bizzarria. Cinque bussole: «Le parole, la musica, la natura, l'arte, il cinema». O, meglio, sei: come dimenticare la capitale Cherasco, la privatissima Combray, il luogo a cui Gina Lagorio, fisicamente e mentalmente, sempre più spesso torna? «A pensarci bene, la scintilla di Inventario "sta" in Cherasco, fra le mura stellate dove la nebbia ha un odore, un sapore, una dimensione nitida, concreta. E' la bibliotecaria per antonomasia, la signora Maria, ormai centenaria, colei che ha conservato intatta la memoria delle cose e delle persone, che ha inoculato il salvifico gusto di andare à rebours, alle radici. Ecco perché ho dedicato alle mie nipotine tale sorta di diario». Cherasco, nel Cuneese, non lontano dalla natale Bra. Il paese - Cherasco (e dintorni) - delle indimenticate, trasfigurate villeggiature che hanno ritmato l'infanzia e l'adolescenza. Le colline di Pavese, di Fenoglio, di Arpino. Tre carissime presenze: «Pavese, l'infatuazione della gioventù. Fenoglio, il modello letterario che svetta, inossidabile, infrangibile, via via diventato necessario. Arpino, scomparso come un eroe saiganano, con Primo Levi il "lettore ideale"». Le colline. La Langa. Le Langhe sorte dal mare. Le chiromanti che annunciano a Gina Lagorio il destino ligure, a Savona, nella scia del padre, commerciante di vini, quindi accanto al marito Emilio. Un florilegio di istantanee. La scoper¬ ta del cinema, le recensioni frequentava il liceo - per un foglio di Genova e l'intervista con De Sica. L'insegnamento: italiano («Dante e ancora Dante») e storia. I compagni di strada, inseparabili, indelebili: come gli artisti (da Agenore Fabbri, lo scultore pistoiese approdato ad Albisola, ad Arturo Martini, da Fontana a Oscar Saccarotti) e come i poeti (Sbarbaro in assoluto, e Barile, e Grande). E Montale? Eppure rese omaggio a «Sbarbaro, estroso fanciullo, piega versicolori / carte e ne trae navicelle che affida alla fanghiglia mobile d'un rigagno». «Eppure - non dimentica Gina Lagorio - quando morì gli dedicò sul "Corriere" un elzeviro che mi offese, di un'avarizia mentale assoluta. "A suo modo è stato felice", lo congedò, invelenito, quasi con rabbia». Piemonte e Liguria, Cherasco e Savona, la regale provincia, regale perché custode di una misura, di una decenza, di un'inesorabile volontà di uscire dalla tana. Della provincia, Inventario è anche un elogio: «Ora so che la provincia è il luogo dove è più facile immaginare tutti gli altri possibili luoghi, che la scrittura è un'inclinazione naturale ma anche dominio logico, disciplina, fatica, e le cose, le vecchie mura come il rosmarino sul balcone, le voci dei poeti che arrivano di lontano e anche quelle che risuonano tra le pareti domestiche, sono vita e possono diventare scrittura». Soffia, nell'Inventario, un refolo di felicità, con buona pace di Montale. Gina Lagorio si sen- Gina Lagorio • «Inventario» è un vagabondare lieve nelle diverse età della vita vecchiaia è come un sogno: c'è' una profonda irrealtà neWesser vecchio. Poiché non si può vivere nel terrore di morire si finisce nell'accettazione di uno slittamento continuo, più vicino al sogno che alla realtà» te a casa, nella «buccia giusta», attorno a sé oggetti e idee, avventure e volti - quei volti femminili, Anna Banti, «bella, e altera come una regina», Elsa Morante in carrozzella, Natalia Ginzburg in Parlamento, simile a «un totem azteco» -; ebbene: quegli oggetti, quelle idee, quelle avventure, quei volti che, trascorrendo i giorni, i mesi, gli anni rivelano l'autentica, incorruttibile stria. Gina Lagorio convoca Ezra Pound, come epigrafe e come suggello: «Quello che sai davvero amare rimane / il resto è scoria». Ma Sbarbaro non sarebbe stato meno intonato: «Autunno, primavera della terra: / serba l'albero il fuoco dei passati / soli, / come l'anima il caldo dei ricordi. / Autunno, tarda nostra primavera: / tempo che sull'amara/ bocca dell'uomo / spunta il fiore tremante del sorriso». Bruno Quaranta MAINARDI: COM'È' PESANTE IL SASSO DELLA SEDUZIONE PARTITA FINALE Angelo Mainardi Empiria pp. 116 L. 20.000 PARTITA FINALE Angelo Mainardi Empiria pp. 116 L. 20.000 NGELO Mainardi è uno scrittore ambizioso. E' convinto che il grande romazo è quello sul cui palcoscenico si scontrano grandi passioni; in cui coraggiosi eroi del pensiero e del sentimento si esibiscono in prove di forza inevitabili se pur dolorose. Ma sa anche che i grandi moti della mente (e del cuore) si fanno credibili soltanto se si appoggiano sulle robuste spalle di coloro che chiamiamo i classici; le sue, di uomo d'oggi, sono troppo fragili per un tale sforzo. Eppure Mainardi vuole scrivere un romanzo vero, teatro di scontri titanici. Che fare? Intanto abbassa il livello dei suoi eroi pescandoli nella miseria del quotidiano: cosi sceglie un uomo qualunque ma malato di cancro e due giovani fidanzati alle prese con problemi economici visto che i genitori di lei non vogliono l l dl ganticiparle nemmeno una lira della parte di eredità che le spetta ma alla loro morte. Nel contempo decide che i prescelti siano eroi del male ben consapevole che l'inferno è ben più facile abitare che non il paradiso, patria dei beati e delle virtù. Imboccata questa strada procede oltre immaginando un rapporto parentale, da zio a nipote, tra l'uomo malato di cancro e la ragazza (diciottenne) fidanzata. Condizione, questa, essenziale per la partita demoniaca che l'autore si appresta a giuocare. L'uomo-zio molti anni prima, quando la ragazza era ancora bambina, aveva concepito un desiderio morboso nei riguardi della nipote, cui aveva dato seguito con palpeggiamenti proibiti. Ora che sta per morire e la ragazza si è fatta grande (e bella) preme in lui l'impulso di avventurarsi (di intraprendere) «un'azione estrema, ultima e inammissibile». Così decide di sedurre la ragazza, con la complicità (consapevole-inconsapevole) dei genitori di lei (che non sopportano il fidanzato) facendole intravedere (anzi promettendole) molti soldi (tutto ciò che ha), in parte subito, il resto alla sua (vicinissima) morte in cambio della sua (della ragazza) disponibilità. Ma non è tutto così semplice: forse per il malato di cancro (sta per morire e perché non accaparrarsi quest'ultimo piacere) potrebbe esserlo ma non per lo scrittore Mainardi che, come abbiamo detto, è un ambizioso e non intende cavarsela con una semplice storia di seduzione seppure da parte di un vecchio zio vizioso nei confronti di una nipote diciottenne. E allora si impegna (lo scrittore) perché questa storia di seduzione ^. *w 1 li • : i ,_i ~ 11 Jll É l'i t « ,