PER L'ASIA CHOC SALUTARE

PER L'ASIA PER L'ASIA CHOC SALUTARE COME nel terremoto che ha ferito l'Italia appenninica con scosse successive, portatrici di morte, di danni e di angoscia, così in quello metaforico, che ha investito le borse dell'Asia dell'Est, non si sa come ogni caduta o ripresa dei corsi si collochi nel processo di assestamento, se si tratti dell'ultimo movimento o di una pausa prima del «big one». Tuttavia è forse già possibile trarre alcune indicazioni. Dice spesso Kissinger che quest'area gli ricorda l'Europa del secolo scorso, con i suoi equilibri fra potenze. C'è del vero in questo paragone, ma è bene tener conto di due fondamentali differenze, per non cadere in errori di valutazione: nell'Europa del secolo scorso non c'era una grande potenza esterna, come gli Stati Uniti, che oggi hanno voce in capitolo per tutta l'Asia; e non c'erano tutti quei contesti integrativi multilaterali, globali (Wto), regionali o interregionali (Asean, Asem, Apec, etc), che si sono sviluppati su cliché occidentali. In fatto di equilibrio di potenza, i principali attori sono ovviamente la Cina, gigante demografico e crescente potenza strategica, e il Giappone, gigante economico e potenziale attore strategico. Orbene: la prima ne esce più forte e il secondo più debole. Un crollo di Hong Kong, subito dopo la sua incorporazione nella madrepatria con la formula «un Paese, due sistemi», avrebbe seriamente danneggiato l'immagine e l'economia della Repubblica Popolare, Ci sono state perdite in borea, ma minori che altrove e il «peg» del dollaro di Hong Kong con quello Usa ha retto. Intanto, in breve tempo il presidente Jiang Zemin ha fatto il suo viaggio in America, se non trionfale, certo per lui positivo e ha sistemato con Eltsin a Pechino alcune pendenze. Il Giappone si è mosso invece con reticenza e incertezza, fin da quando la crisi è scoppiata a partire dalla Thailandia. L'economia, che ancora non si è ripresa dal flop della «bolla» degli Anni 80 (il gonfiamento dei valori dei terreni, al punto che si diceva l'area del palazzo imperiale di Tokyo valere quanto tutta la California), è soffocata dal peso dell'enorme debitorisparmio che ha generato un gigantesco sistema bancario ma ne ha anche determinato le debolezze. Il rischio è ancora quello di una recessione, la seconda in meno di cinque anni, accompagnata da uno yen molto debole, dunque un'ulteriore spinta al surplus commerciale, con i suoi effetti destabilizzanti nei rapporti con i partner. Fra questi gli Stati Uniti in primo luogo, che non nascondono la propria irritazione, ma anche la Corea e gli altri, che sono spinti sulla via delle svalutazioni competitive. Se il leone giapponese è malato, le tigri del Sud-Est asiatico non stanno meglio, anche perché di grasso a cui attingere ce n'è molto meno, malgrado gli alti tassi di crescita dell'ultimo decennio. Ma se la recessione lunga e generalizzata, tipo Anni '30, viene evitata, come credo, grazie agli interventi internazionali, la crisi può avere alcune conseguenze utili. Innanzitutto impone politiche e pratiche più sobrie a governi e classi dirigenti. In secondo luogo, il fatto che U disastro abbia colpito in egual misura regimi relativamente più democratici (tipo Thailandia e Filippine) e regimi più autoritari (tipo Malaysia e Indonesia) fa giustizia della tesi diffusa che solo questi secondi potessero gestire lo sviluppo prepotente in condizioni di stabilità. E forse saranno i governi più affidabili e più capaci di ottenere consenso interno a recuperare meglio. Per cominciare, in Thailandia il governo è cambiato (in meglio) e alle prossime elezioni coreane potrebbe determinarsi per la prima volta un'alternanza politica al potere. In terzo luogo la spirale delle vendite, spesso ingiustificate ma esaltate dall'informatizzazione delle borse, suggerisce la ricerca di meccanismi correttivi e temperanti delle forze di mercato, da affidare ad un opportuno mix di organismi regionali e globali. Cesare Meritai (Istituto Affari intemazionali)

Persone citate: Asia Choc, Eltsin, Jiang Zemin, Kissinger