Guerra ai dubbi in un sequestro di Vincenzo Tessandori
Guerra UNA LIBERTA' IN CINQUE MISTERI Guerra tf> Qirrfftt li in un sequestro Labirinto di ipotesi su riscatto, prigione, fuga I certo c'è soltanto che Silvia Melis è tornata a casa. Dopo nove mesi trascorsi in catene, sotto una tenda, in una grotta, in un'anonima casa di paese, chissà dove. Ma quando, è tornata libera? E come? E perché? In questo dopo-sequestro i coni d'ombra sembrano moltiplicarsi giorno dopo giorno o minuto dopo minuto. Gente che parla, che smentisce, che racconta, che suggerisce, che finge, che simula, che accusa, che si difende. Silvia si è liberata, il riscatto non è stato pagato; Silvia l'hanno lasciata Ubera, il riscatto è stato pagato; Silvia è rimasta tre giorni nascosta in casa di amici, hanno versato il riscatto in due rate; un editore-imprenditore ha consegnato i soldi ai banditi; i soldi li ha messi il padre, no, lo Stato; per due mesi la tenda dove l'hanno tenuta è rimasta lì, a 500 metri dalla strada per Orgosolo, anzi, l'hanno piantata soltanto un paio di giorni prima. Insomma, il caos. Mauro Mura, sostituto procuratore antimafia che, come si dice, conduce le indagini, prima di tutto deve lui stesso orientarsi nel labirinto, e mormora: «Non posso dire niente. Di tutta questa storia non posso dire una parola, non posso infrangere il segreto d'indagine». Tanto, ci pensano altri, a infrangere tutto. Gli fa eco Piero Luigi Vigna, procuratore nazionale antimafia: «Non ne so un accidente». Forse è vero, forse non lo è, ma lui taglia corto, assai più preoccupato, fa capire, per le indiscrezioni che aggraverebbero i rischi già altissimi per la vita dell'altro ostaggio, Giuseppe Soffiantini. E così, rivolto ai giornalisti, sibila: «A volte ci potete creare grossi impicci. Una notizia intempestiva può creare grossi danni all'investigazione». SILVIA A CASA. Torna nel pomeriggio di martedì 11, inizio dell'estate di San Martino. Un trionfo per lei e per il suo paese, Tortoli. A caldo, il dottor Mura assicura che si è liberata da sola, la catena era allentata e lei ne ha approfittato, no, non è stata pagata una lira, i rapitori sono stati giocati. E lo ripetono tutti. Del resto, alla famiglia erano stati bloccati i beni. Dal balcone della questura di Nuoro, lei, Silvia, saluta la gente, appare in forma, sorridente, opponibile, allegra, loquace. Momenti di grande felicità, quella sera: l'incontro col figlio, Luca che ha compiuto gli anni mentre lei era via e ora le mormora: «Lo sai che ho 5 anni?». Il primo racconto ai magistrati, il sopralluogo alla tenda: sembra tutto così chiaro, così semplice, nessuna ombra, nessuna voce, nessun dubbio. Per il momento. Confermano pure i poliziotti che l'hanno raccolga sulla strada fra Orgosolo e Nuo ro: «E' corsa verso le nostre au to, quando ha visto che tra noi c'era una donna, l'ha abbraccia ta ed è scoppiata a piangere». Se è una commedia, il regista è da Oscar, gli attori pure. Il RISCATTO. Una settimana passata fra interviste, viaggio a Pa rigi, racconti ai settimanali, insomma, un normale dopo-sequestro, che, si sa, non è mai riposante. Ma appena l'eco della vicenda accenna ad attenuarsi, Nicola Grauso, detto Niki, editore e imprenditore di Cagliari, amante della musica quanto del business, dichiara: «Io ho portato il denaro ai banditi». Un mibardo e 400 miboni. Lo dice urbi et orbi attraverso il Corriere della Sera, trascurando di informare il suo giornale, l'Unione Sarda. Per l'operazione si è appoggiato ad Antonio Piras, un avvocato di Sassari, ex-presidente della «Sardaleasing» del gruppo Banco di Sardegna, uno molto considerato e molto ascoltato. I soldi, dice, erano in due pacchi: di tasca sua ha messo 400 miboni, un miliardo glielo ha consegnato Piras, soldi raccolti fra gb amici della famigba. Il contatto è avvenuto di notte, neppure una settimana prima del rilascio. QUANTI SOLDI? Forse il riscatto è stato maggiore, forse son stati versati 2 mibardi e 400 mihoni. I mule miboni in più, si dice, ai rapitori b avrebbe consegnati un prete, uno di quei sacerdoti che, nel Nuorese, riescono a mantenere contatti con le bande anche quando ogni via sembra sbarrata. D'altra parte pare naturale che anche la cifra pagata sia incerta, in questa storia nella quale non c'è niente di certo. Ai banditi sarebbero arrivati due mibardi, insomma, c'è chi avrebbe tenuto per sé la commissione: qualcuno indica Piras, l'idea viene attribuita al giudice Lonròardini, il grande nemico dell'Anonima sarda negli Anni Settanta. E così toccherà alla magistratura palermitana far luce su questo punto. In ogni modo chi ha pubbhcato questa ipotesi si prende una smentita corredata da querela. Osserva l'avvocato Piras: «Che io sappia è stato pagato un mibardo e 400 miboni. Di quello sono sicuro, perché un miliardo l'ho dato io a Grauso, il resto lo ha messo lui, a titolo di prestito. Per la verità, io di soldi non ne ho visti. Il pacco che mi aveva portato l'ingegner Melis l'ho lasciato così com'era. Non so se ci fosse un muiardo, 800 milioni o carta straccia. Come l'ho avuto l'ho consegnato a Grauso. L'ingegner Melis mi ha, ovviamente, detto che c'era un mibardo e per l'amicizia e i rapporti che ho con lui non posso certo dubitare della sua parola. Del resto non mi avrebbe mai detto una cosa non giusta, anche perché b avrei potuti controllare in sua presenza quando me li ha dati». I TRE «ORNI DI SILVIA. Quel martedì avrebbero recitato tutti. Per il momento è soltanto un'ipotesi, ma che trova credito. Davvero l'ostaggio è tornato libero 72 ore prima di quel pomeriggio? Naturalmente, negano tutti ma chi ha gettato il sasso è consapevole di aver agitato, e parecchio, le acque dello stagno. Piras, che non sembra uno avaro di parole, al riguardo commenta: «Non posso dire nulla, anche perché io ero ricoverato in ospedale fin dal 27 ottobre. Insomma, al di là della questione dei soldi, di tutto il resto non so proprio niente». Ma perché è saltata fuori questa ipotesi? Eppoi, è verosimile che Silvia sia tornata Ubera tre giorni prima? «Se è per questo, verosimile lo è e parecchio», dice Giorgio Manzella, l'animatore del comitato contro i sequestri. Perché per esempio, spiega, in tre giorni si può saldare la seconda rata di un riscatto senza dover consegnare un nuovo ostaggio come garanzia. LA TENDA. C'è da aggiungere che, magari, 72 ore rappresentano anche un margine di sicurezza per i banditi i quab hanno potu¬ to così prendere il largo. Dopo aver lasciato la tenda. In un primo momento, considerata una miniera di notizie per gb investigatori, ma più tardi conside rata da qualcuno un vero e prò prio specchietto per le allodole, proprio per tutte quelle tracce, che ancora oggi s'ignora se siano vere o false. Insomma, il fini mondo, per questo l'onorevole Angelo Altea, dei comunisti uni tari, di Nuoro, sottolinea come «dall'intera vicenda sembra uscire sconfitta la Giustizia» e sollecita al ministro di Grazia e Giustizia Fhck «una indagine urgente sulla gestione della vi cenda Mebs da parte della magi' stratura». Vincenzo Tessandori tà À Tito Melis e la figlia Silvia (a destra) che ieri era a Rieti con la sua squadra di pallavolo
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