Macchine indietro nel Golfo Persico di Andrea Di Robilant

9 Mediazione di Mosca, che promette di premere all'Orni per la fine delle sanzioni a Saddam Maghine indietro nel Golfo Persico Intesa nella notte a Ginevra, gli americani tornano in Iraq WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Bill Clinton non si fida di Saddam Hussein. Il leader iracheno ha accettato di riprendersi gli ispettori Onu, inclusi i sei americani cacciati la settimana scorsa, che torneranno a Baghdad oggi. Ma il Presidente rimane guardingo: «Vedremo nei prossimi giorni se Saddam aderirà davvero alla ferma posizione della comunità internazionale». E intanto ordina l'invio di altri cacciabombardieri americani nella regione. Al di là della prudenza americana, il vertice notturno dei cinque Grandi a Ginevra sembra comunque aver prodotto una svolta significativa nella crisi. Saddam è tornato sui suoi passi, accettando di riprendersi gli ispettori. In compenso è riuscito a ottenere - attraverso una dichiarazione congiunta russo-irachena - l'impegno di Mosca per una discussione sulle sanzioni in seno al Consiglio di sicurezza e una riconfigurazione delle squadre Unscom che operano in Iraq. Almeno per il momento, dunque, la riunione di Ginevra, orchestrata dal ministro degli Esteri russo Evgheny Primakov, ha allentato la tensione e fatto crescere la prospettiva che alla fine la diplomazia la spunti sulle armi. Ma l'intesa è sufficientemente ambigua da incoraggiare ognuna delle parti a fornirne una propria lettura. E ad alimentare il gioco pericoloso del chi ha vinto, chi ha perso, chi ha fatto o non ha fatto concessioni. Il segretario di Stato Madeleine Albright, in partenza da Ginevra, dichiarava subito e senza mezzi termini: «Sembra che Saddam abbia fatto marcia indietro di fronte alla determinazione e alla compattezza delle grandi potenze del Consiglio di sicurezza». E al Palazzo di vetro l'ambasciatore americano Bill Richardson assicurava: «Non c'è stata alcuna carota, alcuna concessione da parte nostra». A Baghdad, intanto, scene di esultanza popolare sostituivano le dimostrazioni an¬ ti-americane. La crisi era già «superata». E il vice premier Tareq Aziz dichiarava dal Cairo: «La dichiarazione russo-irachena ci offre la possibilità di una buona soluzione diplomatica. Non ho raggiunto alcun accordo segreto con i russi. E' solo che Mosca ha riconosciuto le giuste rimostranze dell'Iraq circa la composizione squilibrata delle squadre ispettive dell'Unscom». Anche i francesi si dichiaravano convinti che la crisi fosse ormai alle spalle. E sottolineavano il ruolo centrale svolto da Parigi, assieme a Mosca. Il presidente Chirac ringraziava Boris Eltsin e salutava «il ritorno spettacolare» della Russia sul proscenio mediorientale. «Credo - spiegava il ministro degli Esteri Hubert Védrine - che l'Iraq sia rimasto fortemente impressionato dalla fermezza del Consiglio di sicurezza. E in particolare dalla coerenza di Francia e Russia». E aggiungeva, suscitando sguardi un po' perplessi a Washington: «Non dobbiamo dare l'impressione, come gli Stati Uniti hanno fatto in questi anni, che non ci sarà mai fine al tunnel in cui si trovano gli iracheni». Il nostro ministro degli Esteri Lamberto Dini andava oltre dicendo: «L'elemento nuovo mi sembra essere l'impegno ad un alleggerimento delle sanzioni una volta che gli ispettori hanno completato il loro lavoro». Lungi dal voler rovinare la festa agli alleati, l'amministrazione Clinton ha però cominciato a preoccuparsi per un'esultanza che a suo avviso era forse giustificata dalle parole ma non ancora dai fatti. A metà giornata, d'accordo con i britannici, è tornata ad insistere che non c'era «impegno» di alcun tipo a rivedere le sanzioni. E che comunque la dichiarazione congiunta russo-irachena riguardava quei due Paesi e non certo il Consiglio di sicurezza. Sandy Berger, consigliere per la sicurezza nazionale, aggiungeva: «Dobbiamo essere molto cauti. Questa storia non è finita. E dobbiamo tenere in piedi la doppia strategia - militare e diplomatica - che abbiamo perseguito finora. Una buona dose di scetticismo è senz'altro utile in un momento come questo. Una cosa voglio ribadire: non c'è alcun intendimento segreto con gli iracheni, nessun accordo, nessuna concessione». E proprio per sottolineare che gli Stati Uniti non sono ancora pronti ad abbassare la guardia il Pentagono ha confermato che altri 32 aerei (FI5, FI6, bombardieri B52) sono in viaggio verso il Golfo Persico, in aggiunta ai bombardieri Stealth FI 17 dislocati ieri alla base di Diego Garcia, nell'Oceano Indiano. Andrea di Robilant Parigi: Washington deve smettere di dare l'impressione che non ci sia fine al tunnel per gli iracheni. Clinton smentisce qualsiasi concessione e continua a mandare aerei nella zona Donne irachene scrivono «Abbasso l'America» su un marciapiede A destra il segretario di Stato Madeleine Albright