«E una sinistra di conservatori »

» L'EX PREMIER E L'ULIVO «La vittoria elettorale? E' il Polo che ha perso» «Nel pds c'è chi è sensibile alla vecchia cultura» «E' una sinistra eli conservatori » Amato: D'Alema pensa troppo ai ceti medi D ROMA A Cosa non nasce Cosa. Mica male, vero, il titolo del prossimo libro di Emanuele Macaluso?». Ride di gusto Giuliano Amato, che D'Alema avrebbe voluto portare al vertice della sua famosa Cosa 2 e che invece oggi - pur riconoscendo al leader pds di aver accettato pienamente i valori della cultura liberal-socialista - rivolge alla dirigenza del partito e all'Ulivo l'accusa di conservatorismo, per troppo amore dei ceti medi e per troppa paura del mercato. «Se spero ancora in una svolta davvero riformista? Diciamo che non è mai troppo tardi. Dopo che l'ha detto Rossella O'Hara, vale anche per D'Alema: domani è un altro giorno». Appare di ottimo umore, Amato, in quest'ufficio al quinto piano di via Liguria ormai sgomberato per far posto al futuro garante dell'Antitrust. Ma appare anche molto polemico nei confronti della sinistra italiana che pure lo vorrebbe candidare ad alti incarichi istituzionali nel vertice della nascitura Unione europea. E critico, in particolare, nei confronti del suo leader Massimo D'Alema. Cosa c'è che non va nella politica di D'Alema? «Le sue parole denotano un D'Alema che ha ormai assimilato una cultura direi liberalsocialista, più ancora che socialdemocratica. Ma i fatti rivelano che il resto dell'establishment pidiessino è ancora sensibile, a dir poco, alla vecchia cultura. C'è una distonia». >tj Da come si esprime, professor Amato, lei deve averci come minimo un dente avvelenato. «Sono rimasto stupefatto, confessiamolo, che all'interno della Quercia i miei appelli per ampliare le libertà di mercato in Italia siano stati liquidati come una tesi di destra. Evidentemente al pds è mancata quella discussione catartica con cui Blair è riuscito a eliminare ogni equivoco all'interno del partito laborista inglese». Come? «Facendo scornare i delegati su quell'articolo dello statuto che ancora difendeva l'idea delle nazionalizzazioni. Imporne l'abolizione ha aiutato Blair a sintonizzare il Labour sulla nuova lunghezza d'onda. Mi è consentito di citare l'ex direttore del suo giornale?». Ci mancherebbe altro. «Ezio Mauro ha scritto che andare dritti a Maastricht senza essere prima passati per Bad Godesberg è assai problematico. Potremmo aggiornarlo denunciando il mancato passaggio per Brighton. E' un problema concretissimo e urgentissimo, per nulla accademico». Anche se l'Ulivo intanto vince a man bassa le elezioni? «Guardi che i trionfi dell'Ulivo aritmeticamente derivano dalla crisi verticale del Polo, il cui elettorato moderato si è astenuto in massa ma non si è spostato con il centro-sinistra. In questa stanza siamo in tre, io, lei e il mio collaboratore Gastone Alecci. Giusto?». Giusto. «Ebbene, qui dentro io valgo il 33% in più o in meno a seconda se resto o vado, ma sono pur sempre una persona sola... In politica è sempre meglio contare quanti esseri umani si rappresenta». E l'Ulivo ne rappresenta troppo pochi? «La mia è una critica alla parzialità della politica fin qui messa in atto dall'Ulivo. Si è detto che il risanamento finanziario era preliminare alle iniziative in materia di competitività e di occupazione. Ne dubito, ma avrei desiderato almeno che queste si realizzassero subito dopo». Da che pulpito viene la predica. Ma nel '92 non era forse lei il premier della minimum tax e dei tagli brutali alle pensioni? «Ero io, ero io, né sottovaluto la svolta di un pds che ai tempi chiedeva miliardi in più per le pensioni senza copertura di spesa. Come non dimentico che quando bloccavo le pensioni d'anzianità, e nelle piazze volavano i bulloni, il pds assecondava l'idea che io fossi un ne- mico del popolo. Acqua passata, ma oggi governare l'Italia e l'Europa non può significare solo risanare la finanza pubblica, bensì rendere più competitivo il Vecchio Continente e creare nuovi posti idi lavoro». Scommetto che questo proposito lo sottoscriverebbe anche D'Alema. «E allora perché ci si continua a occupare solo della rigidità del mercato del lavoro, tra l'altro contribuendo come sinistra europea a vessare oltre misura i lavoratori, ingiustamente accusati di essere i responsabili unici dell'immobilismo? Se siamo davvero riformisti, voghamo occuparci finalmente del dirigismo intrusivo che ingessa le attività economiche?». Cosa significa? «Nei giorni scorsi ho avuto la soddisfazione di ritrovare questa mia tesi sul Financial Times: il nostro divario dagli Stati Uniti, la famosa rigidità europea, dipende innanzituttodalla mancata liberalizzazione dei nostri mercati. La Francia vive da più di due secoli nel mito protezionista di Colbert. L'ossatura della Germania resta bismarkiana. E oggi la sinistra italiana si fa scudo delle tradizioni dirigiste francese e tedesca; oggi Nerio Nesi, dirigente di Rifondazione colbertista, cita la Francia e non Lenin. Ma sa perché tutto questo? Solo per dare dignità progressista alla difesa delle corporazioni esistenti, alla tutela dei ceti medi». Mi spiega perché i lavoratori italiani dovrebbero sostenere una sinistra fautrice della li- beralizzazione dei mercati? «Se non sbaglio i lavoratori sono anche consumatori, e allora eccole qualche esempio: hanno finanziato la rete di telecomunicazioni Enel, senza che nessuno glielo chiedesse, pagando la bolletta elettrica; hanno finanziato, ignari, la rete Dect della Telecom, pagando la bolletta del telefono; gli stipendi di molte aziende pubbliche sono più alti solo perché godono di una posizione monopolistica; vi sono numerosi mestieri il cui accesso è sbarratoillecitamentedalle corporazioni...». Si fermi, per carità, professor Amato. «Ha capito? E mi è stato risposto che il libero mercato sarebbe di destra. Ma siamo seri, da che parte stavano i fratelli Rosselli? E' di destra l'Antitrust, o piuttosto è di destra chi lascia il potere ai soliti privati o pubblici che siano, senza garanzie per la libera concorrenza?». Non capisco ancora perché ce l'ha tanto con i riformisti ita¬ liani. «Se credessero nelle opportunità che il mercato offre a tutti, anche in termini di rendimento finanziario, avrebbero agito ben diversamente in campo previdenziale e sanitario. Certo, nel mercato c'è un margine di rischio, per cui ai meno abbienti va riservata comunque una tutela pubblica. Ma la mancata apertura di previdenza e sanità al contributo del mercato dipende solo da una pigra propensione alla tutela dei ceti medi». Perché proprio dei ceti medi? «Le cito da un bel libro di Valerio Zanone: "Se la tutela dei poveri nasce dall'orrore della miseria, la tutela dei ceti medi nasce dall'orrore della ricchezza". Sottoscrivo». Ma la sinistra non doveva imparare proprio a dialogare col grande ceto medio italiano? «C'è una verità spiacevole che però va detta. Per costruire uno Stato sociale più equo, meglio autofinanziato, ai ceti medi bisogna offrire più liberalizzazione economica e opportunità di risparmio, a costo di perdere il consenso di Albi e Ordini. Meno Chivas Regal e più risparmi accantonati». Perché trova anomala la tutela dei ceti medi? «Perché vi è un'anomalia nei ceti medi italiani, gli unici al mondo che hanno consumi simili ai ricchi. Altrove la frugalità è una virtù. Non mi fraintenda, non sto riproponendo l'austerità berlingueriana, non faccio del moralismo sul boom dei telefonini. Ma è chiaro che se proponiamo ai ceti medi italiani di autogestirsi liberamente il risparmio in vista della vecchiaia, ciò comporterà una riduzione dei livelli di consumo quotidiano. E che sarà mai, un'estate senza crociera? Meno file al ristorante?». Secondo lei che interesse avrebbe D'Alema a fare discorsi così impopolari? «Già. Se le circostanze lo aiutano a raggiungere un certo elettorato senza bisogno di passare attraverso riforme strutturali, senza la catarsi ideologica cui Blair ha sottoposto il Labour, capisco che a lui può far comodo, momentaneamente. Ma una volta entrati nell'Unione europea verificheremo come, insieme ai vantaggi, di lì ci verranno pure vincoli ineludibih». Paradossalmente la trovo d'accordo con Marco Revelli, che, da sinistra, accusa l'Ulivo di «avarizia riformista». «E' una buona formula, in effetti, anche se sarebbe ingiusto attribuirla solo al governo italiano visto che l'ossessione finanziaria ha afflitto tutti gli esecutivi europei in vista dell'Unione. A differenza di Revelli io credo che il libero mercato offra risorse e apra nuovi spazi affascinanti per una politica autenticamente riformista. Attendo segnali in merito». Quale potrebbe essere il colpo di reni riformista mancato finora alla sinistra di governo italiana? «Gliene dico anche tre, se vuole. Anzitutto una coraggiosa redistribuzione della spesa sociale, alimentata con il risparmio prodotto sul mercato finanziario. Poi la liberalizzazione autentica delle attività economiche e dei servizi pubblici. Infine una vasta azione di training: vorrei vedere in ogni quartiere delle nostre città le luci accese di notte, in qualche stanzone, per Tonnare chi ne ha bisogno dagli infermieri ai commercianti in vista di un'attività più proficua». Davvero trova così sorda la sinistra italiana su questi temi? «A parole spesso ci s'intende. Cofferati lo ha scritto nel suo libro che la chiave della riforma pensionistica sono i fondi integrativi. Il problema è farli, alimentarli. Lo stesso vale per D'Alema. La difficoltà è passare dalle parole ai fatti». Perché, secondo lei? «Perché bisognerebbe cambiare il dna del partito, il che implica un impegno diretto e prolungato del suo massimo dirigente. Una riforma del welfare che assumesse davvero l'impianto innovativo presente negli scritti di Nicola Rossi, o anche nel testo della commissione Onofri, avrebbe potuto realizzarsi solo dopo un anno di battaglia politica pubblica in giro per l'Italia. Infatti è stata in buona misura neutralizzata». Amato, non crede più nelle capacità riformiste di questa sinistra? «Diciamo che non credo alla teoria secondo cui fino ad oggi ci si poteva occupare solo del risanamento finanziario. In Italia andrebbero smossi molti assetti di potere, molte rendite cristallizzate. Le ripeto, confido che anche per D'Alema valgano le parole di Rossella 0' Hara. Domani è un altro giorno». Gad Lerner «Dentro la Quercia i miei appelli per ampliare la libertà di mercato sono stati liquidati come se fossero tesi di destra Sono rimasto stupefatto...» «La middle class ha un tenore di vita altissimo Ma per riformare le pensioni bisogna avere più risparmi e meno consumi» «Per diventare davvero riformisti bisogna trovare il coraggio di smuovere molti assetti di potere e molte rendite cristallizzate» «Si era detto che il risanamento finanziario era preliminare alle iniziative per la competitività e l'occupazione Non ho ancora visto niente» L'ex presidente dell'Antitrust Giuliano Amato