«La sinistra scopre gli artigiani» di Gad Lerner

Addio alla centralità del lavoro salariato come leva della trasformazione sociale Addio alla centralità del lavoro salariato come leva della trasformazione sociale «La sinistra scopre gli artigiani» ÈVE essere accaduto qualcosa di davvero sconvolgente a sinistra se Marco Revelli, proprio lui, il figlio del partigiano Nuto, l'allievo di Norberto Bobbio, ma soprattutto il caposcuola intransigente dell'operaismo torinese, va in libreria venerdì prossimo con un saggio su La sinistra sociale, sottotitolo Oltre la civiltà del lavoro (edito da Bollati Boringhieri), nel quale dà un annuncio solenne: compagni, d'ora in poi i soggetti della critica anticapitalistica al dispotismo del mercato dovremo cercarli dentro il popolo della partita Iva, tra i nuovi lavoratori autonomi, tra gli artigiani, tra gli operatori del no profìt. Diciamo addio al secolo operaio, alla centralità del lavoro salariato come leva della trasformazione sociale. Prendiamone atto: la sinistra politica è morta, la sua funzione evapora insieme alla civiltà del lavoro entro cui si era formata. Il de profundis - suggestivo nel suo linguaggio metaforico, implacabile, quasi wagneriano e nel suo argomentare logico denso di dati - alla fine non risparmia alcuna componente residua della sinistra novecentesca. A Revelli i riformisti e i comunisti di oggi, i D'Alema e i Bertinotti, appaiono tutti figli del paradigma socialdemocratico che vacilla insieme alle sue due ideeguida: l'idea dello sviluppo economico, sconvolta da un'industria che ormai divora posti di lavoro anziché crearne; e l'idea della centralità dello Stato, stravolta dai nuovi poteri sovrannazionali e dalla frantuma- «La s Marco Revelli zione territoriale. Qui siamo ben oltre la teoria delle «due destre» - quella populista» e quella «tecnocratica» - elaborata da Revelli un anno fa per accusare il pds di essersi ridotto a mera «appendice» dei poteri forti. Partendo dalla «catastrofe» del lavoro salariato che scompare e dal crollo delle rappresentanze sindacali, passando a descrivere «gli sciami di piccole e piccolissime imprese» in cui si destruttura un'economia peraltro dominata da corporations mondiali con fatturati superiori al pil di 120 nazioni su 185 oggi riconosciute, Revelli arriva a descrivere una nuova «vulnerabilità di massa», la crisi dei meccanismi classici della protezione sociale. Ecco allora l'idea-chiave del libro: la morte della politica, schiacciata dalla «logica dirompente dell'economia generalizzata». La (limostrazione? L'«avarizia riformista», o ancora 1'«aridità politica» con cui il governo dell'Ulivo ha impostato la sua riforma del Welfare. Del resto, secondo Revelli, nell'epoca della «competitività globale», della lotta mortale per la sopravviven- za, il circuito della ricchezza si spezza e quest'ultima risulta inattingibile a fini sociali. Risultato: «I socialdemocratici diventano semplici mediatori tra le grandi agenzie del capitale globalizzato (Fmi, Banca mondiale, Unione europea) e il sistemaPaese». Con una sgradevolissima conseguenza: l'unico modo di essere socialdemocratici oggi è «far funzionare, per così dire, al contrario la macchina statale, come strumento di redistribuzione dell'indigenza anziché della ricchezza». Se questa missione da Robin Hood a rovescio sarebbe «l'estrema metamorfosi del riformismo», non molto meglio Revelli tratta i rifondatori comunisti (che pure lo annoverano tra i propri mattres à penser preferiti): «Dobbiamo uscire dalla retorica della centralità del lavoro salariato», spiega, e ribadisce che la sua critica è all'insie¬ ani» me della sinistra novecentesca: «In fondo il leninismo è stato il taylorismo della politica, per me il comitato centrale del partito comunista non è molto diverso dall'ufficio tempi e metodi della grande fabbrica. Se devo indicare una tradizione cui riferirci nella nostra critica al dominio dell'economia, penso semmai al socialismo delle origini». Così lo studioso di sinistra della classe operaia Fiat, l'operaista torinese colto e intransigente, decide di fare i conti con una nuova realtà sociale italiana fino a oggi semmai considerata in sintonia con le culture del Polo e della Lega: il lavoro autonomo che - insieme al Terzo settore delle attività sociali no profit - potrebbe diventare la base di massa dell'opposizione solidale alle logiche di mercato. «La sinistra ha sbagliato a assolutizzare la centralità del lavoro salariato come valore in sé», spiega Revelli. «Io sto riscoprendo il valore del far da sé, del non dipendere, la rivendicazione di autonomia, lo spirito d'indipendenza che in futuro tra questi lavoratori potrebbe consolidarsi, purché la sinistra sociale si caratterizzi con un'idea forte di mutuo soccorso reciproco». E' ancora presto per dirlo, ma chissà: dentro l'opposizione italiana del futuro, sulle ceneri della sinistra politica, forse vedremo perfino il grande Altan mettere da parte Cipputi per disegnare il sciur Brambilla? Gad Lerner Libro di Marco Revelli «Guardiamo al popolo della partita Iva» Marco Revelli