Polo, quelle convivenze senza amore di Pierluigi Battista

Polo, quelle convivenze senza amore i IL MALESSERE 1. DEL CENTRO-DESTRA Polo, quelle convivenze senza amore E ora esplodono le insofferenze delle diverse anime ROMA I L sarcasmo rivolto a se stessi, ■ come è noto, è il sintomo di una disperazione con forti tonalità autodistruttive. E anche le battute acuminate e gli aforismi intinti nel veleno possono sciogliere quel grumo di tensione che oggi paralizza un centrodestra stordito e annichilito dall'ultimo disastro elettorale. Per esempio Antonio Martino, l'economista ultra liberista che tre anni fa «scese in campo» assieme a Berlusconi con la segreta speranza che fosse giunto il momento di trasferire in Italia la lezione thatcheriana si abbandona a considerazioni amarognole sul modo d'essere del Polo: «Churchill amava dire che con gli alleati che si ritrovava, non restava che sperare sugli errori di Hitler. In questi mesi noi non abbiamo fatto altro che sperare negli errori dell'Ulivo. E non siamo nemmeno Churchill». E anche Pierferdinando Casini, dopo aver diffuso valutazioni ottimistiche sulla buona tenuta del suo ecd, depone lo spirito di bandiera e suggerisce l'incipit di un autoesame non indulgente: «Siamo come i nobili decaduti che si illudono di contare qualcosa solo perché hanno il titolo di duca o di marchese. E invece dobbiamo ripartire da zero». Facile dire: ripartire da zero. Ripartire con un lessico che sostituisca quello, usurato e logoro, che pure consentì l'imprevedibile sfondamento del Polo berlusconiano quasi quattro anni fa. Con una classe dirigente che non può essere quella sonoramente bocciata dagli elettori. Con il senso di una sconfitta micidiale che rende tutto incerto e precario: la leadership del centrodestra, le sue sigle, i suoi riti (a cominciare da quei prolissi e mterroinabili «vertici» in casa del Cavaliere, con tanto di manicaretti dello chef Michele, che sia Fini che Casini vorrebbero abolire per sempre dalle loro agende), le sue insegne, le sue certezze, i suoi giornali e giornalini. Così incerto e così precario da rendere problematico persino l'atto di autodenominarsi, operazione fondante di ogni soggetto politico. Marco Taradash, radicale storico, come direbbe il suo (arrabbiatissimo) maestro Marco Pannella «liberale-hberista-libertario», sostiene per esempio che tutti i guai sono cominciati quando Berlusconi & Company hanno accettato di farsi chiamare «centrodestra». «E' facile notare - chiosa Taradash - che un conto è il Polo delle libertà e un altro è il centrodestra». Nel senso? «Nel senso che nel '94 Berlusconi sovvertì tutti gU schemi, sbaragliò la sinistra conservatrice e partitocratica, incarnò la voglia di innovazione, non si fece incasellare nell'etichetta di "destra"». Nelle parole di Taradash traspare un po' il rimpianto della purezza delle origini, la freschezza e l'entusiasmo dell'anno zero. Con quella capacità di rompere gli schemi, Berlusconi riuscì a trascinare e mettere in uno stesso schieramento figure diversissime e incompatibili, dal nazionalismo post-fascista di Fini al protosecessionismo di Bossi, dal liberismo spinto dei Martino e dei Taradash al solidarismo cattolico dei postdemocristiani. Oggi che l'entusiasmo non c'è più e che la magia delle origini è svanita, i diversi sono costretti a convivere sotto lo stesso tetto senza amarsi e senza sentire profonde ragioni di unione. Ma devono stare insieme, se non vogliono andare alla deriva o lasciarsi annientare dall'avversario. Gennaro Malgieri, il direttore del Secolo d'Italia che sta correggendo le bozze del primo numero del suo nuovo mensile che uscirà a dicembre e che si chiamerà Percorsi («vorrei che diventasse il Liberal della destra») ha in serbo la citazione colta per fotografare la situazione: «Nec tecum nec sine te vivere possum». An, Forza Italia, ecd, cdu non possono vivere se non stando insieme. Ma se stanno insieme non riescono a vivere bene e serenamente. Non è mica có¬ me l'Ulivo, dove, dicono nei pressi del Polo, è il cemento del potere che tiene assieme anime così distanti e personalità tra loro quasi opposte. Nel centrodestra sconfitto la convivenza coatta appare come una prigione del destino, una promiscuità ineluttabile come se fosse una sanzione comminata dal Tribunale della storia. Certo, Malgieri (in linea con An che ha chiesto su questo tema un incontro urgente con gli altri partiti del Polo) propone la formazione di «una confederazione», di un partito-Polo in cui i rapporti tra le diverse componenti non si consumino nella stanca ripetitività dei «vertici» ma riposino sulla continuità di una struttura stabile e permanente. Ma poi lo stesso Malgieri si rende conto che qualunque formula organizzativa non può supplire alla mancanza di una identità che dia senso e coesione culturale al Polo e di fronte alle lamentazioni vittimistiche che in molti casi nel centrodestra hanno preso il posto delle analisi sul perché di una débàcle elettorale così evidente, il direttore del Secolo vuol dare l'esempio di ciò che significa una classe dirigente adulta che sa riconoscere i meriti dell'avversario senza cedere alla tentazione del piagnisteo: «Antonio Bassolino ha fatto a Napoli delle cose straordinarie?». Ma la destra non aveva forse detto che Bassolino aveva saputo giocare sull'immagine di facciata senza andare alla sostanza delle cose? Risponde Malgieri: «Bassolino ha dato vivibilità a una parte considerevole di Napoli. Negarlo sarebbe puerile». La difficoltà di convivere, appunto, con chi pur di non ammettere che l'avversario ha combinato qualcosa di buono farebbe qualunque cosa. Oppure la difficoltà di convivere tra giustizialisti e garantisti. E se il libertario Taradash vede nel «centrodestra che ha dimenticato di essere Polo delle libertà la tentazione di farsi risucchiare dal dipietrismo», Maurizio Gasparri sostiene che «i moderati italiani sono troppo stressati da un atteggiamento verso la giustizia che non verrebbe capito in nessuna destra di nessun Paese del mondo. Se alla destra levi la bandiera della sicurezza e della legalità, la destra perde una sua profonda ragione d'essere. Il binomio "Law and Order" fa parte del suo codice genetico e in Italia sa¬ rebbe ora di comprendere la lezione di Rudolph Giuliani». Un attacco frontale alla parte garantista del Polo che però Gasparri attenua così: «Beninteso, io che ho buoni rapporti con Caselli e la procura di Palermo trovo indecoroso che sul caso Siino i magistrati dicano che Simo è credibile o no a seconda delle convenienze e trovo pazzesco che Caselli tenga per sé un'inchiesta che riguarda direttamente uno dei suoi bracci destri, però non possiamo continuare con la guerra permanente contro i giudici». Come faranno a convivere garantisti e giustizialisti sotto lo stesso tetto del centrodestra? Se, come auspica Marco Follini, vicepresidente del ecd, «nel centrodestra dovesse saltare il tappo di una concezione militarescaaziendalista, le diversità, pur in un quadro di rapporti unitari, sono desthiate a diventare più evidenti». E' un male? «Non sarebbe un male - afferma Follini - se tra tutti gli alleati ci fosse più rispetto per tutte le diversità» ma nel frattempo «noto un'incredibile difformità di trattamento nei confronti degli eredi democristiani nei due schieramenti. Nell'Ulivo appena passa un ex de gli fanno un monumento per far vedere che il Centro conta, nel Polo gli ex democristiani vengono considerati una pattuglia di petulanti rompiscatole». Antonio Martino dice «che tra i repubblicani americani le differenze interne sono molto più profonde che nel nostro schieramento, basta che ci sia un programma coerente che tiene assieme le diverse anime». Ma in America, aggiunge Martino, «hanno le primarie per selezionare la classe dirigente». Mentre da noi, nota con sgomento Follini, «la metà degli italiani ha una classe dirigente buona per un'assemblea di condominio». Sì, il sarcasmo è un ottimo ingrediente per farsi un po' di male. Pierluigi Battista (1. Continua) Taradash: che errore accettare il nome di «centrodestra» Follini (ecd): gli ex de qui sono considerati petulanti rompiscatole

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