«La destra non ha classe dirigente»

«La destra non ha classe dirigente» IL PRESIDENTE DEGLI INDUSTRIALI «La destra non ha classe dirigente» Fossa: i cavalli di razza erano dall'altra parte OGALLARATE DESTA destra, purtroppo...». Nuvole basse oscurano il Varesotto, la terra dove, si diceva un tempo, ci sono più opifici che" case. In uno di questi opifìci, al primo piano di quella che pare solo una discreta villetta neo-borghese, Giorgio Fossa con una mano giocherella con un lingotto d'argento, omaggio di un ex presidente dell'associazione degli industriali di Varese, e con l'altra fa scorrere le pagine del Televideo, che troneggia sulla sua scrivania: si ferma su quella del voto di Roma, che sancisce il trionfo di Rutelli. Poi arrivano i dati dalle altre città: il centro-sinistra vince quasi dappertutto. Dottor Fossa chiediamo al presidente della Confindustria - siete rimasti quasi solo voi imprenditori a spruzzare veleno sulle foglie dell'Ulivo, che invece gli italiani dimostrano di gradire... Il leader degli industriali non raccoglie: «Ma no - risponde - la verità è che il centro-sinistra aveva i cavalli di razza...». E così, forse per la prima volta, Fossa accetta di inoltrarsi sul terreno dell'analisi politica, che in genere non ama. Per dire tre cose: la prima è che «in Italia il bipolarismo non sarà mai compiuto finché non avremo una legge elettorale adeguata, e non mi sembra purtroppo che nonostante la Bicamerale il traguardo sia vicino». La seconda è che «oggi il Polo delle libertà appare troppo debole e disordinato». La terza è che «il centro-sinistra non deve adagiarsi su questa rendita elettorale, perché se continuerà a mancare l'opposizione politica resterà comunque vigile quella delle parti sociali: Confindustria, cioè, continuerà a fare il cane da guardia sulla politica economica». Presidente, gli italiani su questo governo hanno tutt'altra idea rispetto alla vostra. «Guardi che Confindustria non si muove sulla base di logiche di appartenenza politica. Non mi stancherò mai di ripeterlo: noi giudichiamo i fatti concreti, nient'altro che quelli. Quanto al voto di ieri, non c'è dubbio che ci sia una parte politica che evidentemente fatica ad esprimere candidati all'altezza, fatica a produrre classe dirigente, salvo rare eccezioni. Questo in parte dipende anche dalle logiche tipiche di un sistema che tende verso il maggioritario. Basta guardare all'esperienza della Gran Bretagna: ai tempi della Thatcher e poi dello stesso Major i laboristi erano ai margini dei processi decisionali della politica inglese. La stessa cosa avviene oggi in Italia: lo schieramento che vince schiaccia inevitabilmente quello che ha perso». E' vero, ma come ha detto lei stesso, la sconfitta del Polo dipende solo in parte da questo. Dove sbaglia, il Polo delle libertà? «Non voglio insegnare niente a nessuno, anche perché la politica non è il mio mestiere. Posso dire però che ho trovato molto sensata la preoccupazione di Cacciari, che dopo la sua schiacciante vittoria non si è fatto prendere dall'euforia, ma ci ha ricordato che la democrazia dell'alternanza si deve reggere su due tesi, per poter essere equilibrata ed efficace». Appunto, insisto: dove sbaglia il Polo? «Io penso che un'opposizione seria, oggi, dovrebbe lavorare sodo anche fuori dal palazzo. Dovrebbe radicarsi di più con la società, occuparsi di più dei bisogni reali della società civile. E poi farsene portatrice, non a colpi di slogan, ma di azioni concrete». A questo punto, secondo lei, nel Polo c'è un problema Berlusconi? «Non rispondo, questi problemi non mi riguardano». Torniamo a Confindustria: l'esito quasi plebiscitario di queste elezioni non vi fa pensare che abbiate scelto fino ad oggi una linea troppo conflittuale con il governo? «Porsi problemi come questo dimostra che in questo Paese purtroppo ancora restano residui di una cultura proporzionale. Perché si continua a vedere ogni forma di opposizione o sostegno a un governo come uno schieramento politico ideologico diretto, e non come l'esercizio di un ruolo legittimo da parte di una componente della società civile? Il nostro è sempre stato in realtà un comportamento lineare. In un si¬ stema tendenzialmente bipolare, com'è il nostro pur con tutti i suoi limiti e le sue contraddizioni, la maggioranza governa senza più compromessi con l'opposizione, e si confronta più direttamente con la società civile che ha il dovere di manifestare approvazione o dissenso sugli atti di governo. Ora, mentre l'approvazione si esprime in Parlamento, il dissenso viene sempre più spesso dalla società civile, di cui noi siamo una componente rilevante. Dovremmo allora rinunciare ad esercitare il nostro ruolo di pungolo e di critica?». No, ma forse talvolta avete ecceduto nella seconda, piuttosto che nel primo. «E invece non è così. Per una serie di ragioni, malgrado non sia un partito politico né voglia assumere ruoli politici, Corifindustria ha finito spesso per assumere da sola, o con pochi altri rappresentanti del sistema produttivo, il ruolo di opposizione a questo governo. Ma sempre sulla base degli atti concre- ti, che noi abbiamo considerato sbagliati. Glieli devo ricordare? Gli anticipi d'imposta nelle manovre, 10 scippo del Tfr, l'aumento degli oneri sociali e della pressione fiscale, la mancata riforma dello Stato sociale, il patto scellerato sulla riduzione dell'orario di lavoro...». L'elenco delle vostre doglianze è sempre lunghissimo, ma perché non c'è mai un riconoscimento anche delle cose buone fatte da questo governo, per esempio sull'Europa? «E no! Siamo stati i primi a criticare 11 governo a settembre di un anno fa, quando prima dell'incontro di Valencia con Aznar aveva presentato un documento di programmazione che all'obiettivo della moneta unica rinunciava in partenza! Siamo stati noi a fare pressing su Prodi e Ciampi per l'Europa». Prendo atto, ma il governo qualche autocritica l'ha fatta, Ciampi ha persino riconosciuto che la distinzione tra gli operai e gli altri lavoratori sulla riforma delle pensioni è stata una scelta antistorica. E voi? «Non ho difficoltà a dirle, per esem- pio, che un errore lo abbiamo compiuto quando, al momento del rientro della lira nello Sme abbiamo forse sopravvalutato il rischio di una parità fissata a quota 990 sul marco. E' chiaro, sarebbe stato meglio rientrare a 1000-1050, ma ciò non toglie che il sistema abbia retto egregiamente. Ma non chieda altre autocrìtiche a noi, perché non siamo stati noi, ma il governo a promettere una riforma del Welfare che poi non ha fatto». Ciampi sostiene però che comunque, almeno, dopo il patto di Ognissanti di pensioni non si parlerà più per un pezzo... «Lo credo! Dopo due riforme fallite, quella del '95 e quest'ultima del mese scorso, sono convinto anch'io che questo governo non voglia rimetterci le mani: non perché non serva, ma perché non ne avrà né il coraggio né la forza, dopo essersi arreso ai ricatti di Bertinotti». Prodi, e adesso anche Ciampi, sostengono che è stato Bertinotti ad aver ceduto. «Questa è una favoletta. Sarà anche vero che un po' hanno ceduto entrambi, ma è sicuro che Rifondazione comunista ha ceduto meno del governo. Temo non sia un caso, del resto, se sino ad oggi buona parte del risanamento ha gravato proprio sul sistema produttivo: io le dò le c;fre non le chiacchiere, negli ultimi due anni le misure con effetti sulle imprese, contenute nella manovra di finanza pubblica, hanno raggiunto i 24.209 miliardi nel '97, 14.176 miliardi nel '98 e 10.035 miliardi per il '99. Se poi a tutto questo aggiungiamo lo spettro delle 35 ore...». Già, avete invitato Prodi a pentirsi, sulla riduzione dell'orario... «La parola pentimento non fa parte del mio lessico né del mio pensiero. Ma confermo che se quell'accordo si applicasse per legge, gli effetti sarebbero devastanti. Non c'è al mondo una sola esperienza concreta che dimostri la validità di quella ricetta ai fini della lotta alla disoccupazione. Il governo ne prenda atto, e cerchi piuttosto soluzioni alternative». Ma Prodi l'ha invitata a sedersi al tavolo per discuterne... «E io sono disponibile, ma solo a due condizioni. La prima: qualsiasi intesa su questo tema, tipico della contrattazione più che della concertazione, deve necessariamente essere sottoscritta da entrambe le parti sociali. La seconda: il governo deve impegnarsi a difendere e a portare avanti tutti i frutti della concertazione, che siano stati siglati con le imprese e i sindacati». E se Prodi queste garanzie non ve le desse? «Allora, pur con tutta la buona volontà, per noi non resterebbe alcun posto a disposizione a quel tavolo di trattativa». Quindi sareste all'opposizione, un'altra volta? «Sì, un'opposizione non politica, come sempre, ma non per questo meno severa». Massimo Giannini «La deFossa: i Qui accanto il ministro Ciampi A destra il premierRomano Prodi ia fsu Qui accanto il ministro Ciampi A destra il premierRomano Prodi imMaia Confindustria continuerà a fare il cane da guardia sulla politica economica pip II presidente della Confindustria Giorgio Fossa Un errore 10 abbiamo compiuto anche noi quando al rientro nello Sme abbiamo sopravvalutato 11 rischio di quota 990 sul marco || Un'opposizione davvero seria dovrebbe lavorare sodo anchefuori dal Palazzo e occuparsi dei bisogni della società civile'■■

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