Come è difficile punire il Raiss di Aldo Rizzo

Come è difficile punire il Raiss OSSERVATÒRIO ' Come è difficile punire il Raiss diciannove giorni da -quando è cominciata la nuova crisi Usa-Iraq, i problemi sono due: se sia ancora evitabile lo scontro armato e quali possibilità abbia un attacco americano di non essere episodico e improduttivo come altri seguiti alla guerra del Golfo. Solvo il caso di una ritirata completa di Saddam Hussein (cioè del ritomo a Baghdad di tutti gli ispettori dell' Onu, americani compresi, con ampie garanzie per un loro efficace lavoro), il primo problema sembra avere già una risposta. Resta il secondo, di difficilissima soluzione. Le incognite sono di vario genere. Anzitutto diplomatiche. Nonostante le pressioni del segretario di Stato, Madeleine Albright, fisicamente presente nell'area, gli Stati arabi moderati, cioè sostanzialmente alleati degli Usa, sono contrari o riluttano a dare il loro assenso a un'iniziativa militare americana, per il timore di contraccolpi politici fra le loro stesse popolazioni. La conferenza economica per il Medio Oriente, apertasi ieri a Doha nel Qatar, sotto il patronato di Washington, è praticamente fallita. A rendere timorosi gli arabi moderati è anche la politica dura e incoerente del governo di destra israelianoA questo vanno aggiunte le perplessità degli alleati europei, esclusa la Gran Bretagna, ma con la Francia in primo piano. La Francia e poi la Russia e la stessa Cina, tre membri permanenti del Consiglio di sicurezza su cinque. Ma ancora maggiori sono le incognite circa la portata e il successo di un'iniziativa militare. I servizi di Washington hanno certo la mappa delle installazioni belliche irachene, ma sanno anche che le più delicate, quelle attinenti alle armi di distruzione di massa, batteriologiche e chimiche, o sono in zone densamente popolate, se non addirittura all'interno di «residenze presidenziali», o sono protette dagli «scudi umani», cioè da cittadini-ostaggi, secondo il mix di furbizia e ferocia tipico di Saddam Hussein. E poi si sa che le armi «intelligenti» spesso intelligenti non sono, o lo sono fino a un certo punto. Può darsi che le esperienze precedenti abbiano insegnato qualcosa o molto agli Usa, ma resta il rischio di un'azione drammatica e inu- tile, anzi politicamente controproducente. E tuttavia cresce in America la consapevolezza che questa è una prova di forza diversa, la più importante dopo la guerra del 1991. Perché è giunto il momento di fermare la corsa di Saddam alle armi «assolute», incubatrici di un conflitto devastante in Medio Oriente e non solo. E poco importa che il Raiss pensi magari a vendicarsi, più che degli Usa, dell'Iran, dopo la guerra inter-islamica del 1980-1988, come sostiene Jim Hoagland, un informato «columnist» del «Washington Post». Anche un nuovo conflitto Iran-Iraq, condotto con missili a testata chimica e batteriologica, nel cuore dell'universo petrolifero, sarebbe un evento micidiale, le cui onde d'urto arriverebbero in tutto il pianeta. Del resto, lo stesso Hoagland e ì suoi informatori concludono che bisogna prima fermare Saddam e poi indurre l'Iran (in una possibile, auspicata fase di evoluzione post-teocratica) a collaborare a un pacifico assetto dell'area. Comunque, che sia l'Iran o siano gli Usa o sia Israele il principale obiettivo del Raiss, il problema è fermarlo. Le incognite militari (e umanitarie) sono molte, ma, purtroppo, non insuperabili. Quanto al miracolo diplomatico dell'ultima ora, esso sarebbe ancora possibile, se francesi, russi, cinesi, arabi moderati, fossero concordi con gli americani nel lanciare un convincente ultimatum a Saddam Hussein: oltretutto salvando l'Onu e il suo prestigio, che è necessario di fronte a ogni altro futuro aggressore. Ma perché l'ultimatum sia convincente, occorre che esso preveda, senza troppi infingimenti, un uso decisivo della forza. 11 persistere di diverse valutazioni e di diversi interessi illude Saddam e non aiuta la pace. Aldo Rizzo :zo^

Persone citate: Jim Hoagland, Madeleine Albright, Saddam Hussein