NADIA FUSINI: IL DESTINO DI CHIAMARSI CLARA
NADIA FUSINI: IL DESTINO DI CHIAMARSI CLARA NADIA FUSINI: IL DESTINO DI CHIAMARSI CLARA DUE VOLTE LA STESSA CAREZZA Nadia Fusini Bompiani pp. 126 L. 20.000 DUE VOLTE LA STESSA CAREZZA Nadia Fusini Bompiani pp. 126 L. 20.000 L suo secondo romanzo, dopo il sorprendente esordio di due anni orsono con La bocca più di tutto mi piaceva, Nadia Fusini, da quell'audace intellettuale che è, punta decisamente in alto: e s'affisa ad un tema che attraversa e permea di sé gli ultimi deu secoli, almeno, del romanzo occidentale, da Hoffmann a Dostqjevskij, da Stevenson a Poe, da Wilde alla (da lei amatissima) Woolf: il tema cioè della doppia identità. Ma lo affronta, questo tema, secondo un'angolatura tutta particolare, in cui non è forse illecito supporre risuoni l'eco di una qualche personale esperienza, appena lambita e presto rimossa. hi i il l qpPotremmo chiamare questa variante, il motivo dell'«esistenza vicaria». Clara nasce e le viene dato il nome di un'altra Clara, la propria zia materna, morta assai giovane di un male incurabile (nascita e funerale cadono nello stesso giorno, quasi sotto l'impulso di un destino premonitore). Agli occhi dello zio Luigi, vedovo inconsolabile nonostante una nuova compagna, Lina, la piccola Clara seconda viene assumendo (del tutto spontaneamente e inconsapevolmente, si badi) le fattezze, i gesti e il portamento, persino le reazioni psicologiche della Clara prima: di quel simulacro d'amore, che l'infatuato consorte credeva scomparso per sempre. A scandire il tempo di questa imprevedibile, eppure inarrestabile metamorfosi, è la stagione estiva, che Clara bambina, poi adolescente, infine giovinetta, trascorre, anno dopo anno, in una fantasiosa villa a picco sul mare: stagione dai densi climi, dai lunghi silenzi, rotti appena dal rituale della pesca, che zio e nipote appassionatamente condividono (e sono pagine bellissime, le pri¬ me belle pagine di questo denso romanzo breve, che parte un poco in chiave di elegante noncuranza, e via via s'accende di vividi bagliori, di inquietanti presagi...). Ora, infatti, s'apre, nella vicenda, una zona di più cupa e fitta penombra: lasciati soli in quella villa misteriosa da un imprevisto banale, Luigi e la nipote non hanno più pretesti per sottrarsi al fato che da tempi li assedia. La giovane Clara è entrata di nascosto nelle segrete stanze della zia, ne ha assaporato, in un misto di controllato pudore e di ribelle oltranza, attraverso le pagine di un diario, il segreto rapporto con la Vita, appena sfiorata, e con la Morte, sensualmente vagheggiata, nel suo abbraccio definitivo, come l'Amante per eccellenza. Ora la seconda Clara sa tutto della prima, può indossare le sue vesti, ornarsi dei suoi gioielli, muoversi come lei era usata fare, negli ambienti che erano lo scrigno geloso del suo splendore: «per questo, io non volevo essere io, non mi importava... Io ero di più, ero il riflesso in me di un'altra, un'altra che era la fonte della luce che in me si specchiava e io raddoppiavo e rifacevo vera, reale, continuavo a farla splendere...». Ecco emergere d'impeto il motivo che ho definito dell'«esistenza vicaria»: ed ecco esplodere l'amore tra zio e nipote. E, se stessimo alla lettera del plot, un amore incestuoso: ma ciò né preoccupa la Fusini, né incide su quella che è, come avrete inteso, il climax della vicenda. Qui, anzi, la scrittura dell'autrice detta pagine sontuose per forza trasfigurante dei sentimenti, per l'allucinata tensione che li trasumana e li purifica, rendendoli perentori e assoluti. La lezione della Woolf, nell'anglista pervicace e nell'amorosa sua traduttrice, si fa sentire, è inutile negarlo: ma non scade mai a maniera, è come un legato sottoteso al testo, che lo innerva e lo esalta. Ora, dopo il climax, il lettore è tutto proteso a chiedersi quale esito la Fusini darà alla fabula. Verrebbe spontaneo citare l'Eliot dell'ultimo dei Quat- Uno zio e una nipote che le ricorda la moglie, un amore incestuoso, l'impronta della Woolf tro quartetti: «La mia fine è il mio principio...». Qui la Morte, che sembrava sconfitta, si riprende i proprii diritti. Muore all'improvviso lo zio Luigi (ed è forse un eccesso di coerenza narrativa, sarebbe bastato farlo uscire in qualche modo di scena): si dispone a morire, presaga di una fine che ha qualcosa di propriamente ciclico, Clara. Prima, compiacendosi di uno spettacolo che la vede sola attrice e testimone, nella villa che lo zio le ha lasciato, sarà, per diversi giorni, Clara davvero, vivendo fin nei minimi istanti e dettagli la vita breve, la vita da falena, di lei...
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