«Lo ha ucciso perché non l'ho aiutato»

«Lo ho ucciso perché non l'ho aiutalo» VOLTI E LUOGHI DI UNA SSBsBBSSSs- «Lo ho ucciso perché non l'ho aiutalo» // padre: voleva soldi, non ho potuto darglieli BARILE (Potenza) DAL NOSTRO INVIATO La porta di casa Cefola è aperta. Il marmo bianco dei pavimenti, i vestiti neri delle persone, il chiarore delle pareti appena ridipinte, l'ombra delle tende abbassate, gli scoppi improvvisi di lacrime, i lunghi silenzi. Così, di estremo in estremo, si avanza fino al cuore di questa spelonca del dolore, dove un uomo si nasconde il volto fra le mani. Di lui si vede la schiena e si ode un lamento. «Assassini, assassini» ripete a sè stesso, come una litania. Qualcuno lo sfiora con una carezza. L'uomo si scuote. Dalle mani appaiono due occhi spenti. Li ha spenti un colpo di pistola sparato a pochi centimetri da altri due occhi identici ai suoi: quelli del figlio. L'uomo guarda la porta con un'ansia malcelata, poi solleva il busto. Si offre ad amici e parenti per quello che è: Mauro Cefola, un padre distrutto. La foDa avanza. Arriva una coppia di amici. Un abbraccio, un tentativo di conforto, poi una domanda. «Ma tu quel D'Andrea lo conoscevi?». Il volto di Mauro Cefola si anima all'improvviso. «Se lo conoscevo? Abbiamo trascorso intere estati seduti fuori, di sera, tutti insieme. Il primo figlio lo abbiamo cresciuto qui, in questa casa. Ha dormito non so più quante notti fra me e mia moglie. E questa è la sua riconoscenza». I due amici insistono, l'incredulità più forte della discrezione. «Come ha potuto comportarsi così, proprio con te? Era accaduto qualcosa fra di voi? Ti aveva chiesto un prestito?». L'uomo ha un gesto d'insofferenza. Lancia un altro sguardo alla porta, poi risponde. «Aveva bisogno di soldi, questo me lo aveva detto. Pensava che per il semplice fatto di lavorare in banca avrei potuto aiutarlo. Invece non è così che funzionano i prestiti in una banca». La coppia di amici si allontana. Avanza il gruppo dei compagni di scuola di Donato, guidati dal preside. Donato si era iscritto tre anni fa all'istituto tecnico commerciale di Melfi. Promosso il primo anno, il secondo non ce l'aveva fatta. Ma il problema non era lo studio, aveva spiegato Donato. Qualcosa non funzionava con la classe, con i professori. I genitori gli avevano creduto: lo avevano iscritto all'istituto tecnico commerciale di Venosa. Una scelta giusta. «Donato era così felice con voi. Andava di nuovo bene. Avevo tanti progetti per lui» ricorda l'uomo guardando uno per uno con i suoi occhi spenti i ragazzi che avevano restituito al figlio la gioia di andare a scuola. Vorrebbe trattenerli, avverte in loro la forza di quella giovinezza che ora il figlio non potrà più dargli. Ma più li guarda, più si commuove. Alla fine si rassegna. Stringe le mani a tutti, e li implora: «Non dimenticate Donato. Per favore». 11 gruppo dei compagni si allontana. Un silenzio improvviso, pesante, cala sul salone. L'omone si abbandona di nuovo sulla sedia, sfinito. La folla continua ad avanzare. L'omone continua a stringere mani e restituire abbracci, ma sembra non avvertire più nulla. Giù, in strada, passa mi lungo corteo di ragazzi. Avrebbe dovuto essere il corteo della speranza. I manifesti affissi nemmeno ventiquattrore prima per annunciarlo hanno l'amarezza degli eventi superati; «L'ainministrazione comunale rivolge a Donato di cui è certa la vivacità, l'umanità e la voglia di farcela, l'affettuosa e sincera partecipazione di tutti i suoi amici e l'invito a tener duro perchè insieme auguriamo di festeggiare il ritorno». E' diventato il corteo del dolore, una processione senza più voci. A parlare sono gli striscioni: «Voghamo giustizia», «Donato forever», E le lacrime che rigano i volti di tutti. Il fruscio delle centinaia di passi sull'asfalto ba¬ gnato di pioggia sale fino al salone, ma l'uomo non si muove dalla sedia. Si limita a fissare con i suoi occhi spenti la porta d'ingresso. Nella stanza accanto alcune figure femniinih si affaccendano intorno alla moglie, Rosa Cacalano. La sera dell'omicidio aveva avuto la forza di dire soltanto ima frase al vescovo di Melfi, monsignor Vincenzo Cozzi, giunto in visita: «Gli assassini di Donato sono malati». Poi ora scoppiata in un pianto dirotto. Nemmeno il monsignore era riuscito a frenarla. Nè ci riescono le tante donne intorno a lei il giorno seguente. La donna piange senza vergogne. Neanche a questo l'uomo sembra fare caso. Fissa con i suoi occlù spenti la porta d'ingresso tormentandosi le mani. Fuori, il corteo ha attraversato tutto il centro, ed è giunto davanti alla stazione dei carabinieri. E' la seconda volta in poco più di dodici ore che la folla si ritrova lì. La prima volta, la sera di mercoledì, i volti erano torvi, l'atmosfera carica di rabbia. Soltanto per un pelo si era evitato il linciaggio dei due assassini. La seconda volta della l'olla davanti alla stazione dei carabinieri i volti non sono più torvi, l'atmosfera ò carica soltanto di un gran dolore. Un applauso chiarisce ogni dubbio. Nè l'applauso, nè l'allentarsi della tensione giungono nella casa del dolore. L'uomo resta fermo sulla sedia, spalle alla libreria dove sono allineati e mescolati i libri di Donato e i suoi, volumi di tecnica bancaria, ragioneria, contabilità. Continua a tormentarsi le mani e a l'issare la porta d'ingresso. Ormai è chiaro: pensa a qualcosa, è distratto. Qualcuno dice «ci vorrebbe la pena di morte». Lid nemmeno risponde. Pensa alla figlia, Assunta, venti anni. E' in viaggio da Milano dove studia Economia all'Università Bocconi. E' lei che attende con tanta ansia senza mai perdere di vista la porta. L'uomo ha lui dubbio dentro di sè, uno di quei dubbi in grado di scavare un solco nell'animo di un padre. Donato è morto per colpa di una persona che attendeva un favore da lui. Donato è morto perchè lui ha negato un favore a un amico. Donato è morto per colpa sua. E' questo il tormento dell'uomo. E' questo il rimprovero che teme di sentire dalla voce della figlia: papà, se tu lo avessi accontentato... Squilla il telefono. E' Assunta. Sta arrivando. Ormai è questione di pochi minuti, ma l'uomo si macera nell'attesa. Il suono di una portiera d'auto, il campanello dell'ascensore. Assunta è arrivata. E' l'una e mezzo. Gli vola fra le braccia. «Papà ti voglio più bene di prima». Flavia Amabile «Che riconoscenza per un'amicizia che durava da una vita Pensava che bastasse il mio lavoro in banca a risolvere i suoi guai» IL DIRUPO. In una scarpata lungo la provinciale che collega Ginestra a Barile è stato trovato il corpo di Donato Cefola, ucciso con un colpe di pistola poche ore dopo il rapimento avvenuto martedì mattina LA VÌTTIMA. Donato Cefola, sedici anni, studente in un istituto superiore, è stato rapito prima che entrasse a scuola a Venosa. Ad avvicinarlo è stato D'Andrea IL DOLORfc. Dopo la rabbia, il dolore degli amici LA BANDA. A sinistra, Domenico D'Andrea, a destra Carmela Lamorte. Sotto, Angelo Volonnino e Raffaele Larotonda La madre, tra in singhiozzi, dice al vescovo: solo dei malati possono aver ammazzato mio figlio NELLA CASA DEL DOLORE

Luoghi citati: Barile, Donato, Melfi, Milano, Potenza, Venosa