Tramonta in Qatar la pace americana di Fiamma Nirenstein

F ANÀLISI Tramonta in Qatar la pace americana Il leader egizianoETEL AVIV RA stato inventato dal processo di pace il «Summit economico annuale del Medio Oriente», e per tre anni aveva messo insieme emiri con le kefiah di tutti i colori, guerrieri e dignitari arabi con i pugnali al fianco, più un grosso, prosaico mazzo di uomini d'affari, di giornalisti e di politici di tutto il mondo. Peres, si può dire, ne era stato il vero reuccio con il suo utopico «New Middle East», ovvero il nuovo Medio Oriente dove ognuno profitta delle reciproche risorse e tecnologie traendone nient'altro che vantaggi. Ora, giusto dopodomani, domenica, si apre una ben povera edizione del summit in Qatar, un sabbioso staterello ricco di petrolio sulla costa orientale dell'Arabia Saudita, abitato da appena mezzo milione di persone di cui solo il 40 '^k per cento sono arabi, e il resto pakistani o iraniani. La conferenza era una grossa scommessa per gli Stati Uniti che proprio in queste ore in cui sta per decidersi il destino di un possibile scontro con Saddam Hussein in un clima di isolamento internazionale, sperimentano quanto poco attraente è in definitiva risultata la presenza, promessa, di Madeleine Albright a Doha. Di tredici laesi arabi invitati infatti dall'emiro del Qatar, soltanto tre, ovvero Yemen, Kuwait e Giordania manderanno delle vere e proprie delegazioni. L'Oman manderà qualche delegato, ma nessun uomo d'affari; il Kuwait, che l'anno prossimo dovrebbe (ma ora sembra impossibile!) ospitare la conferenza, spedirà solo il direttore generale del suo ministero dell'Industria e del Commercio. Altri Paesi arabi manderanno uomini d'affari ma non delegazioni politiche. Gli ultimi tocchi della campnna a morto sono venuti dall'Egitto e da Israele stessa. Mubarak ha addirittura richiamato l'ambasciatore egiziano indietro dal Qatar dopo che - avendo il Presidente dichiarato che «il popolo del Qatar non aveva in realtà nessun interesse in una conferenza economica» - la stampa del Qatar gli aveva risposto per le rime pregandolo di non interferire in affari che non lo riguardavano. 11 retroscena dell'ira di Mubarak però è l'incarico all'ambasciata I americana del Cairo affidato a I Dan Kertzer, un ebreo americano Mubarak osservante e un pioniere del processo di pace che a sua volta ha come suo capo a Washington Martin Indik, ora sottosegretario di Stato per il Medio Oriente e a sua volta ebreo. Indik a malapena in un giro compiuto in articulo mortis per il Medio Oriente la settimana scorsa allo scopo di salvare il summit, aveva ottenuto un sì stentato dai sauditi che invece alla fine pare non vengano lo stesso, e che sul loro giornale Ashrak al Awsat hanno attaccato apertamente gli Stati Uniti scrivendo: «Ma gli arabi sono ormai così subalterni che gli Usa possono costringerli a ricevere a casa loro il nemico (ovvero, s'intende Israele, ndr)? ». Nel frattempo, com'era logico, di fronte a tanta repulsione, il ministro degli Esteri israeliano David Levi si è tirato indietro: in Qatar, ha telefonato gentilmente al ministro degli Esteri di quel piccolo Paese, vengano pure gli uomini d'affari. Il summit, in definitiva, si è mostralo come un fallimentare banco di prova della forza americana in Medio Oriente fin dalla sua prima pianificazione. Infatti, alcuni mesi fa, in stile mafioso, i sniani cominciarono a dire che sarebbe stato meglio per «il bene del Qatar» cancellare il summit, altrimenti «per quel piccolo Stato si creerà una situazione pericolosa». Poi avevano avvertito il Kuwait di starsene a casa, pena un rapporto sempre più stretto con l'Iraq. L'Egitto, poi, aveva un conto aperto con il Qatar per il restringersi della quota d'immigrazione da 65 mila a 30 mila lavoratori. I sauditi con il Qatar ce l'hanno sempre, anzi se lo mangerebbero volentieri in un boccone, e proprio per questo il Qatar aveva immaginato questo incontro come un momento di gloria sotto l'egida americana. Gli è andata davvero molto male. Ha avuto sfortuna per l'escalation della tensione con Israele, Netanyahu ha fatto i suoi guai e fra gli arabi è comunque di gran moda scuotere la testa a proposito e a sproposito, intorno a qualunque occasione che riguardi il processo di pace. E' anche un momentaccio per gli americani. E' chiaro che i Paesi arabi aspettano, prima di ricercarne le amicizie, di vedere come sviluppa la storia di Saddam. Fiamma Nirenstein^J '^k Il leader egiziano Mubarak