Interrogato il capo dei Ros di S. Riz.

Caso-Lo Forte Caso-Lo Forte Interrogato il capo dei Ros PALERMO. Il comandante del Ros dei carabinieri, colonnello Mario Mori, è stato sentito lunedì scorso a Roma dal pubblico ministero di Caltanissetta Luca Tescaroli che indaga sull'ennesimo «caso Palermo», l'intrigo Siino-De Donno-Lo Forte. L'urgenza dell'atto istruttorio denota come la Procura nissena, guidata da Gianni Tinebra, stia lavorando a pieno ritmo nell'indagine che vede coinvolto il procuratore aggiunto di Palermo Guido Lo Forte, il più stretto collaboratore di Gian Carlo Caselli. Nulla è trapelato sul contenuto delle dichiarazioni del capo dei Ros. Si sa soltanto che la deposizione di Mori, ascoltato in qualità di persona informata sui fatti, è durata parecchie ore e si è protratta fino a tarda sera. «Sul merito del colloquio - si è limitato a dichiarare il p.m. Tescaroli - non intendo fornire alcuna indicazione. Si tratta di temi particolari e delicatissimi che meritano i necessari approfondimenti investigativi per i quali occorre tempo». Non è escluso, però, che il pubblico ministero abbia voluto verificare la «tenuta» delle dichiarazioni rese dal capitano del Ros Giuseppe De Donno, il quale ai magistrati di Caltanissetta ha rivelato che Angelo Siino, nel periodo in cui era detenuto e dunque prima di diventare un pentito - gli confidò di aver ricevuto informazioni riservate sull'inchiesta mafia-appalti dall'allora procuratore di Palermo Pietro Giammanco e dai sostituti Giuseppe Pignatone e Guido Lo Forte. Del tutto diverso il racconto di Siino che, ormai pentito, ha rivelato ai magistrati di Palermo come il capitano De Donno avrebbe esercitato pressioni nei suoi confronti perché indicasse Lo Forte come un magistrato colluso con la mafia. Il «giallo» è ancora tutto da risolvere. E Siino, intanto, continua a parlare. Per due giorni, ieri e l'altro ieri, il collaboratore è stato sottoposto - in una località segreta - ad un vero e proprio bombardamento di domande da patte dei magistrati di Caltanissetta. «Per eliminare Falcone - ha detto martedì - Cosa nostra voleva utilizzare un missile terra-terra». Ricostruendo alcuni retroscena della strage di Capaci, il pentito ha rivelato al p.m. Luca Tescaroli che nel '91, poco prima di essere arrestato, venne avvicinato da due esponenti di Cosa nostra che gli chiesero una «consulenza» su alcune armi. In particolare, i due mafiosi gli chiesero spiegazioni relative all'uso dei missili terra-terra, che dissero di voler impiegare per eliminare Falcone in un attentato che avesse le caratteristiche di un attacco terroristico. [s. riz.]

Luoghi citati: Caltanissetta, Capaci, Mori, Palermo, Roma