«Pensioni un errore sugli operai»

7 Il ministro del Tesoro: «Oggi certe distinzioni nel mondo del lavoro sono anti-storiche» «Pensioni, un errore sugli operai» Ciampi: ma è l'unico prezzo pagato a Bertinotti TRA ITALIA E EUROPA AROMA LLE quattro del pomeriggio, con un briciolo di autocompiacimento Carlo Azeglio Ciampi sfoglia ì'Handesblatt, il quotidiano finanziario tedesco, dove campeggia in prima pagina una sua intervista, che trasuda di sano orgoglio italiano, ma anche di diplomatica politic d'abord verso l'alleato di Francoforte, sulla stabilità della moneta unica, sulla nomina del futuro governatore della Banca centrale europea, sulle ritrovate virtù del Belpaese. Il ministro del Tesoro, rilassato in poltrona nel suj ufficio di via XX Settembre, si gode il tributo che i fieri teutoni ormai non gli lesinano più. Sotto questo profilo, per Carlo Azeglio la battaglia su Maastricht noi l'abbia già vinta. Perchè - dice - «i nostri conti pubblici sono in ordine, il fabbisogno '97 sarà inferiore a 67 mila miliardi e il criterio del 3% nel rapporto deficit/Pil sarà centrato, vivaddio: sarà il 3 pieno, il 2,9, vedremo il decimale, l'importante è avercela fatta». Ministro, sta finendo il '97, è quasi tempo di bilanci. A questo punto lei si sente davvero tranquillo? «Sì. Era proprio il 1997 l'anno di fuoco per il nostro Paese, quello che richiedeva il massimo sforzo, per portare il rapporto deficit/Pil dal 6,7 al 3% e l'avanzo primario dal 4 al 6,5%. Ecco, guardi questo grafico che è la mia "stella polare" dall'estate scorsa. Se io un anno fa avessi tentato di fare questa scommessa solo con tagli e tasse, mi avrebbero portato in manicomio, perché avrei causato la rivolta sociale». E invece cos'ha fatto? «Appunto, ho scommesso sulla riduzione dei tassi, sulla fiducia del mercato nella ,no-; stra credibilità. Ho scommesso sul fatto che una.manovra effettiva da 2,5 punti percentuali di Pil quest'anno, grazie all'effetto indotto sulla fiducia dei mercati, avrebbe fatto calare i tassi e ampliato nella misura a noi necessaria i risparmi di spesa sugli interessi, e quindi accresciuto in misura molto maggiore la riduzione del deficit. E' andata così». La critica ricorrente al governo e a Prodi è proprio questa: avete avuto fortuna. «No, abbiamo ragionato ed agito. Quando questo grafico e il marchingegno del risanamento che le ho appena spiegato lo mostrai un anno fa a De Larosièrè lui restò di stucco. Lo stesso fece Camdessus, che mi venne a trovare in albergo a Lione: mi disse "Carlo, ma allora ce la potete fare sul serio!". Infatti ce l'abbiamo fatta». La Coni industria e il Polo continuano a dire che è vero il contrario... «Vecchie polemiche, l'azzardo, la fortuna, la "finanza creativa", adesso persino l'ipotesi che già circola di una nuova manovra aggiuntiva!». Tutto falso? «Sto al grafico che le ho appena mostrato, secondo cui nel '98 avremo un rapporto deficit/Pil al 2,7% e nel '99 al 2,4%. Chi la pensa diversamente mi deve dimostrare, dati alla mano, che le mie previsioni sono sballate. Ad oggi io non vedo una sola condizione che renda plausibile l'ipotesi di una manovra aggiuntiva: la stessa Commissione europea, non certo un organismo di parte, ci assegna un 2,7% già quest'anno!». Preoccupa la «sostenibilità» futura, del risanamento. «Io non ho dubbi. I risultati del '96 e '97 li abbiamo raggiunti in una fase di basso sviluppo. E poi invito tutti a riflettere: io avevo il compito di ridurre gli interessi, e ci sto riuscendo, Visco aveva quello di recuperare l'evasione, e con la riforma fiscale che inizierà a dare frutti dall'anno prossimo ci riuscirà anche lui. Insomma, le riforme strutturali le abbiamo fatte, noi: prima e meglio degli altri». Manca la riforma dello Stato Sociale. Considera strutturale anche quella? «Quello raggiunto sul Welfare State è un compromesso globalmente positivo». Ma tutt'altro che entusiasmante. Intanto, sul piano delle quantità finanziarie Micheli Io nega, mail Dpef. «Il Dpef, ecco qua, a pagina 49, parlava di risparmi per complessivi 10 mila miliardi tra previdenza, sanità e tagli a Poste, Ferrovie. Il Documento si prefiggeva poi un doppio obiettivo: risparmiare 5.600 miliardi tra previdenza e sanità, e 4.100 miliardi sul restò, e poi contenere il tasso di crescita della spesa previdenziale entro la dinamica de! Pil del biennio '97/98. Ora.rispetto a queste indicazioni saremmo fuori di circa 3.000 miliardi». Quindi hanno ragione Fossa, e oggi anche Agnelli e Marzotto, a dire che le misure scelte sono insufficienti? «Sì, ma quelle stime sono state fatte in base al Pil di giugno, oggi le previsioni di crescita sono al 2,5%! La statistica non può giocare sempre a sfa¬ vore del governo quando le cose vanno peggio, ed essere volutamente ignorata quando le cose vanno meglio. Lo scostamento, voglio dire, si è già ridotto di 1.000/2.000 miliardi...». Ministro Ciampi, a parte queste disquisizioni tecniche, c'è un giudizio politico che pesa, sulla riforma del «Welfare State», sulla sua scarsa portata rifor- mista. Questo lei non lo può negare. «Lo ammetto: avrei voluto fare di più, per qualità e per quantità. Ma teniamo conto che la misura sui dipendenti pubblici è strutturale, come lo è l'equiparazione ai privati. E poi vediamo come si è arrivati al compromesso: la trattativa si è complicata con la mini-crisi...». Ed ha avuto effetti pesanti: avete dovuto pagare un prezzo salato a Bertinotti. E' lui, secondo gli industriali, il vero vincitore sul «Welfare», «Non sono d'accordo. Prodi non ha inseguito Bertinotti, ma ò dignitosamente salito al Quirinale a rassegnare le sue dimissioni. La vera retromarcia, allora, l'ha l'atta Rifondazione. Si vada a rileggere il testo del primo intervento di Prodi alla Camera, poi la replica e il discorso conclusivo dopo la sfiducia. Dov'è il cambiamento di rotta, dov'è il cedimento?». C'era già nel primo intervento: dove già si rinviavano le privatizzazioni, si salvavano gh' operai, si risuscitava l'Iri, si annunciava la legge sulle 35 ore. Non erano tributi pesanti a Rifondazione? «L'unico errore che abbiamo fatto e che non ho condiviso, e questo lo scriva pure, in questa intesa sulle pensioni, è stato proprio quello che riguarda gli operai. Io, da cittadino prima ancora che da ministro, trovo quella distinzione antistorica. Nel '44, quando tornai a Livorno dalla guerra, trovai tutti i miei amici di allora, Furio Diaz, Nicola Badaloni egli altri, che si iscrivevano al Pei. ìo non lo feci proprio perché già allora, a 24 anni, non credevo a un partito "di classe". Oggi che di anni ne ho 77, si figuri se posso accettare che si divida proprio per classi il mondo del lavoro...». Però l'ha accettata, questa divisione. Perché? «A un certo punto della trattativa bisognava concludere. Ho capito che i benefici di un'intesa, anche con i paletti già visti, erano maggiori dei rischi di un mancato accordo. Mi hanno convinto due fatti. Il primo: siglata questa intesa, di pensioni non parleremo più...». Lei crede? Non dovrete intervenire tra un paio d'anni? «No, mi creda, non ne parleremo più per un pezzo, di pensioni. Almeno fino a quando nuovi dati non ci dmiostreranno che servono nuovi aggiustamenti. Il secondo aspetto che mi ha convinto è stata la reazione dell'opinione pubblica di fronte alla prospettiva di una caduta del governo Prodi, che ci avrebbe allontanato da Maastricht. Nessuno voleva la crisi, tra la gente. Ecco, lì ho capito che gh italiani, ormai, l'Europa ce l'hanno nel sangue. Hanno fatto sacrifici per anni, gli abbiamo detto in questo anno e mezzo "fatene ancora, perché vi porteremo a vedere il mare", cioè la moneta unica: poi quando hanno iniziato a vederlo davvero, e a gridare talatta, talatta come gli antichi greci, è arrivato qualcuno che ha detto "fermi tutti, il mare ve lo tolgo". Gli italiani hanno risposto no». Da questo punto di vista, quindi, secondo lei è stata persino una crisi salutare? «Non esageriamo: se non ci fosse stata sarebbe stato meglio, ma comunque, per il modo in cui si è risolta, è servita a portare un riequilibrio nella maggioranza, un chiarimento solido, palese». E' stato un bene anche promettere a Bertinotti una legge sull'orario a 35 ore? «lo dico che su questo servirebbe un gruppo di studio, che facesse raffronti internazionali, e poi suggerisse soluzioni. C'è tempo per riflettere, e poi gli strumenti, la delega, o il disegno di legge, sono tutti da decidere. Comunque le norme possono anche essere di indirizzo, non di imperio. Via, qui nessuno pensa che dal 2001 in Italia si lavorerà 35 ore, in tutte le aziende e in tutti i settori!». In compenso, se avete accontentato Bertinotti, sulle pensioni avete scontentato il governatore della Banca d'Italia. E' vera la storia della lettera a Prodi? «Chiedete a Fazio, non a me. Per quello che mi riguarda, posso dire e ripetere che qualcosa, in termini di sacrificio, l'abbiamo chiesta a tutte le categorie». Una battuta: non è che cosi vi siete giocati la riduzione del tasso di sconto? «Guardo ai mercati: il differenziale tra i rendimenti dei nostri titoli c quelli tedeschi è 62 punti sui 10 anni e 290 punti sui 3 mesi. Lo spazio per ridurre i tassi c'è, ed io me lo aspetto». Ministro, quando pagheremo un po' meno tasse? «Non prometto niente. Ma ripeto, l'anno più duro è stato questo, il 1997. Uscirne bene ci dà sicurezza per il futuro. Tonio al mio grafico, un avanzo primario al 5,6% del Pil nel '98 e al 5,5% nel '99 significa proprio questo: la pressione fiscale si ridurrà. Ma sta a noi: non dobbiamo fare più onori, sulla strada per Maastricht». Lo scontro sulla nomina del governatore della banca centrale europea, con la candidatuira francese di Trichet, non rischia di far saltare tutto? «No, l'Euro, con i suoi tempi e le sue modalità, ormai non è più in discussione. Quanto alla candidatura Trichet, non ne sapevamo nulla. Se sia stato un errore non sta a ine dirlo». Ma l'Italia può avere davvero un suo candidato? «Non l'ho escluso per ragioni di orgoglio nazionale. Abbiamo espresso governatori del calibro di Einaudi, Menichella, Baffi, Carli. Per due volte gli italiani sono stati eletti governatori dell'anno, io nel '90 e Fazio nel '96. Questo non vuol dire che avanzeremo una candidatura, ma che abbiamo comunque tutti i numeri per farlo». Tra Trichet, Tietmeyer e Dui- senberg lei chi sceglie? «Non mi chieda nomi. Io mi batterò per un vertice forte, autonomo e rappresentativo della futura banca centrale. Noi siamo i primi a chiedere una politica monetaria rigorosa: una gestione accomodante si tradurrebbe in tassi più alti, avremmo tutto da rimetterci». Salterebbe la scommessa... «Appunto. E io invece voglio vincerla. Questo anno e mezzo di rincorsa su Maastricht lo ha dimostrato: volere è potere. Ora in tanti salgono sul carro dei vincitori. Ma voglio ricordare che fino a un anno fa chi era anche solo neutrale sull'Europa lavorava contro di noi, contro i nostri sforzi. Essere oggi a un passo dal traguardo è una soddisfazione grande, anche per questo». Massimo Giannini fi i Nel 1944 ho deciso di non iscrivermi al pei perché già allora ero contro il partito di classe y j La crisi e servita a portare un solido e buon chiarimento. Mia fine ha ceduto Rifondazione e non Romano Prodi jj | Sulle 35 ore dobbiamo procedere con cautela. Bisogna riflettere, la legge può essere d'indirizzo e non di imperio n Il segretario di Rifondazione comunista Fausto Bertinotti

Luoghi citati: Europa, Francoforte, Italia, Lione, Livorno