Ankara, eutanasia per il partito islamico
Ankara, eutanasia per il partilo islamico In nome della laicità del Paese, sul banco degli imputati l'ex primo ministro Necmettin Erbakan Ankara, eutanasia per il partilo islamico Processo al Refah che governò la Turchia. Obiettivo: lo scioglimento CORTE COSTITUZIONALE ANKARA. «Se gli obiettivi del "Refah" diventassero realtà, la Turchia sarebbe un Paese retto secondo regole religiose». Vural Savos, procuratore generale dello Stato, pensa sinceramente che questa ragione ia sufficiente a mettere fuori legge un quarto del Paese. Questa prospettiva, secondo il procuratore, dovrebbe condurre la Turchia a bandire non solo il partito che fino a cinque mesi fa l'ha governata, ma in qualche modo anche i milioni di cittadini che lo sostengono. Ieri ad Ankara dinanzi alla Corte Costituzionale si è aperto uno di quei giudizi che possono segnare la storia di una nazione. Estromesso dal potere non più tardi del giugno scorso Necmettin Erbakan, primo capo di governo islamico in un Paese occidentale, più che se stesso cerca di difendere un'esperienza. L'idea che il «Refah», o partito del benessere, abbia rappresentato un fatto nuovo. Dal giorno della sua costituzio- ne, nel 1961, la Corte Costituzionale turca ha già messo fuori legge una ventina di movimenti politici, in genere d'ispirazione curda, e ieri il procuratore ha detto che «in 'Turchia e nel mondo nessuno meritava di essere disciolto più di quanto non lo meriti il Refah». Sul banco degli accusati c'era un Erbakan ironico e disinvolto, come d'abitudine. Ha chiesto un rinvio di venti giorni, l'ha ottenu- to per una settimana: il diciotto di novembre l'udienza riprenderà col procuratore pronto ad esibire un «dossier» di mille pagine, ed il politico a difendersi con le solite armi, che sono poi quelle della tolleranza e della bonomia, almeno apparenti. Negli ultimi due anni la figura di Erbakan ha cercato inutilmente di sovrapporsi ai fantasmi del secolarismo. Un ingegnere specializzato in motori diesel, educato in Germania, rotto a tutte le astuzie dell'Occidente, è stato capo di un partito che trova i suoi voti so¬ prattutto fra profughi e diseredati. Un uomo anziano ma moderno alla guida di un movimento che predica il ritorno all'antico, alle scuole coraniche ed al «turbano che deve coprire il viso delle donne. Per mesi, finché si è trovato a capo di una coalizione di governo, Erbakan ha coniugato gli opposti con abilità perfino eccessiva. Se parlava di «turban» lo faceva non per imporre un obbligo ma per cancellare un divieto: quello che nell'amministrazione pubblica impedisce alle donne di abbigliarsi in questa maniera. Se parlava di scuole coraniche lo faceva con argomenti occidentali: in Turchia le scuole pubbliche sono peggiori delle nostre, e allora meglio aprire al privato. In questo caso - ecco uno dei capolavori del «Refah» privato equivaleva però (ed ancora equivale) a capitali e donazioni di istituti e banche. Banche ed istituti islamici, controllati dal partito, pronti a concedere presti¬ ti a tassi coranici e ad intervenire nel finanziamento di ogni istituto che svolgesse attività religiosa. Il sistema occidentale piegato agli interessi della fede. La pericolosità del «partito del benessere» sta soprattutto in questo. Oggi in Turchia il «Ret'ah» è un movimento die dispone di grandi mezzi, di banche, di emittenti televisive, di un volto presentabile. E' l'Islam che si modernizza. Il suo vicepresidente, Abdullah Gul, oggi ha i numeri per dichiarare che «in una democrazia non esiste partito che possa essere sciolto a causa delle proprie idee». La tesi del potere è opposta: dietro questa vernice di modernità, il «Refah» ha portato avanti un progetto di appropriazione della società turca che solo adesso sta per essere smascherato. Il Consiglio Supremo di Difesa, massimo interprete della laicità militare, qualche mese fa aveva imposto ad Erbakan «regole di comportamento» che avrebbero condotto alle dimissioni chiunque, tranne questo consumato navigatore. Adesso siamo alla resa dei conti. Il potere dei militari tenta di far passare la ventunesima cancellazione, al presidente del «Refah» s'impone un compito diverso. E' quello di dimostrare - se ce la fa che bilanciando le componenti del «Refah» ed assorbendone le spinte lui stava lavorando a un progetto diverso. Alla dimostrazione cu come l'Islam politico possa esprimersi talvolta in forme democratiche, tolleranti, non prevaricatrici, compatibili con una società che vuole svilupparsi in forme simili a quelle d'Occidente. Scoprire se tutto questo era vero o se faceva parte di un progetto di arretramento è compito che tocca alla Corte di Ankara. Come militante di un partito islamico disciolto, ad Erbakan è già toccata la galera. Il risultato, anche allora, fu una ripresa dell'integralismo. Giuseppe Zaccaria Sarebbe il ventunesimo movimento politico messo fuorilegge §§ Necmettin Erbakan, leader del partito islamico Refah: la sua esperienza al potere è durata pochi mesi
Persone citate: Abdullah Gul, Erbakan, Giuseppe Zaccaria, Necmettin Erbakan
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