I telescopi Keck, occhi da 10 metri di Piero Bianucci

I telescopi Keck, occhi da 10 rnetn I telescopi Keck, occhi da 10 rnetn IL Cerro Paranal, sulle Ande del Cile, con il Vlt, Very Large Telescope, 4 specchi da 8 metri equivalenti a un unico specchio da 16, diventerà il paradiso degli astronomi qualche anno dopo il Duemila. Ma per adesso il paradiso è nelle isole Hawaii, sulla cima del vulcano Mauna Kea. Qui sono da poco entrati in servizio due telescopi da 10 metri ciascuno: «Keck 1» (inaugurato nel '93) e «Keck 2» (1996), dal nome del mecenate che li ha finanziati, William Keck. E presto saranno pronti il telescopio nazionale giapponese «Subaru» da 8,3 metri di diametro e «Gemini» da 8,2 metri, una collaborazione tra Usa, Canada, Gran Bretagna, Brasile, Argentina e Cile (dove sorgerà uno strumento identico, in modo che gli astronomi possano avere sott'occhio l'emisfero boreale e l'emisfero australe). I telescopi Keck e i suoi compagni si trovano in mezzo all'oceano Pacifico a 4200 metri di quota. Nessun altro osservatorio astronomico sta così in alto. Il Mauna Kea svetta sopra metà dell'atmosfera. Per gli astronomi l'aria è un nemico perché la sua turbolenza disturba fortemente le immagini. Eliminarne la metà, quindi, è un grande vantaggio, anche se ha i suoi inconvenienti: lassù l'ossigeno scarseggia, mettendo in difficoltà i motori delle auto e rendendo faticosa la respirazione dei ricercatori, con conseguenti mal di testa. Ma per poter scrutare più lontano nell'universo si sopporta questo e altro. E poi i pregi del Mauna Kea sono anche altri. Una inversione termica trattiene le nubi tra i duemila e i tremila metri. Superato lo stra- In questi giorni sulle Ande si prova il primo di 4 specchi da otto metri LE ricerche degli ultimi trent'anni hanno rivelato corpi celesti che emettono radiazione elettromagnetica (onde radio, raggi X, raggi gamma) al di fuori della regione ottica dello spettro. Captare le informazioni emesse a lunghezza d'onda diversa è necessario per comprendere meglio gli oggetti che si studiano. La differenza è la stessa che passa tra vedere un fotografia in bianco e nero e una a colori. Questo è l'importante concetto di «astronomia a tutto campo». Ma le osservazioni fatte con i telescopi ottici non hanno perso importanza. Al contrario, rimangono essenziali per chiarire la natura di corpi celesti identificati ad altre lunghezze d'onda. Da che cosa dipendono le prestazioni di un telescopio? Fondamentalmente dalla sua capacità di raccogliere luce (quindi dalle sue dimensioni), dalla strumentazione di cui è dotato e, ultimo ma non meno importante, dal sito dove è collocato. A parità degli altri requisiti, la differenza di prestazioni dipende dalle dimensioni del telescopio. Costruire un telescopio di grandi dimensioni non è un problema banale dal punto di vista strettamente ingegneristico. Maggiore è la grandezza dello specchio primario (quello, cioè, che raccoglie la luce) maggiore sarà anche il suo peso e, di conseguenza, quello complessivo dell'intero telescopio. A parte le difficoltà insite nella realizzazione di uno specchio di grandi dimensioni, esso tenderebbe inevitabilmente a curvarsi sotto il suo stesso peso, causando una inaccettabile to di nuvole, il cielo è sereno per 300 notti all'anno. Le due cupole dei telescopi Keck sono unite da un edificio basso e lungo in quanto gli astronomi non si accontentano di usare questi strumenti indipendentemente l'uno dall'altro ma vogliono anche farli funzionare come un grande' interferometro: facendo incrociare i fasci di luce provenienti dai due specchi, si ottiene in pratica uno strumento il cui potere di risoluzione, cioè la capacità di separare punti vicini, è equivalente a quella di un telescopio da 85 metri, qual è la distanza tra i due Keck. Così, grazie all'ampiezza record degli specchi e al loro uso come interferometro (sarà messo a punto nei prossimi mesi), questo strumento è oggi di gran lunga l'occhio più potente a disposizione degli astronomi: può spingersi fino a 10-12 miliardi di anni luce, cioè quasi ai confini del cosmo, che dovrebbero trovarsi sui 15 miliardi di anni luce. La concezione dei Keck risale al 1977 e si deve a Jerry Nelson, dell'Università di California. Allora la tecnologia non era in grado di fornire specchi da dieci metri di diametro lavorati con precisione ottica, cioè al decimillesimo di millimetro. Nelson pensò dunque di accostare 36 specchi esagonali da 1,8 metri, applicando un'idea già proposta dall'italiano Guido Horn D'Arturo negli Anni 30. L'insieme dei 36 specchi mantiene una perfetta curvatura sotto la spinta di tre pistoni controllata in tempo reale da un computer che elabora i dati fornitigli da 168 sensori. In questo modo gli specchi conservano la giusta posizione entro lo scarto massimo di 5 milionesimi di millimetro. La superficie di raccolta della luce raggiunge i 76 metri quadrati, 150 mettendo insieme i due strumenti, da confrontare con i 20 dello storico telescopio di Monte Palomar. Diventano così osservabili stelle dieci miliardi di volte più deboli di quelle al limite della visibilità a occhio nudo. Ognuno dei due telescopi pesa 300 tonnellate, le cupole che li proteggono sono alte 25 metri. Il tutto al prezzo, non modico, di un miliardo di dollari: tre quarti offerti dalla Keck Foundation, un quarto fornito dall'Università della California e dal Caltech. L'isola ha due vulcani principali. Il Mauna Kea dorme da migliaia di anni, il Mauna Loa è in attività permanente. All'Osservatorio si sale passando per un colle tra i due crateri. Da una foresta di eucalipti si sale alla prateria di Parker Ranch e di qui all'arido deserto della cima. Le indicazioni sono scarse, la strada è poco più di una pista, 25 chilometri di terra battuta e soltanto gli ultimi due chilometri asfaltati, perché la polvere disturberebbe le osservazioni. Il primo ad apprezzare la qualità di questo balcone sull'universo fu il famoso astronomo americano Gerard Kuiper, che già nel 1964 pensò di mettervi un piccolo telescopio per osservare i fenomeni meteorologici di Venere, Marte, Giove e Saturno. Nel 1979, sul picco più alto, fu installato il primo grande telescopio, un riflettore da 3,6 metri frutto di una colaborazione franco-canadese. Questo strumento è tuttora competitivo grazie alla sua ottica adatti- va: le turbolenze dell'aria vengono analizzate 1000 volte al secondo e in tempo reale un computer provvede a restaurare le immagini correggendo, cento volte al secondo, la forma di uno specchietto largo 80 millimetri e spesso 2. Grazie a questa tecnologia, derivata da ricerche fatte per il progetto dello «scudo spaziale» voluto da Reagan, ricerche allora sotto segreto militare ma declassificate dopo la dissoluzione dell'Urss, qualche settimana fa Frangois Roddier è riuscito a osservare le eruzioni dei vulcani di Io, uno dei quattro maggiori satelliti di Giove. Qual è il ruolo dei grandi telescopi della nuova generazione in rapporto al telescopio spaziale «Hubble» e al suo successore, che potrebbe diventare operativo intorno al 2010? Fred Chaffee, direttore del Keck Observatory, non ha dubbi: la capacità di raccogliere grandi quantità di luce per tempi molto lunghi, cosa necessaria se si deve ottenere lo spettro di sorgenti debolissime, rimarrà sempre il punto di forza dell'astronomia fatta dal suolo. Il telescopio spaziale è insuperabile neh'avvistare gli oggetti celesti più remoti, ponendo nuovi problemi agli astronomi; ma per approfondire le ricerche e risolvere i problemi occorrono i grandi telescopi terrestri. In ciò Mauna Kea ha ancora davanti a sé alcuni anni di dominio assoluto, poi il testimone passerà al Vlt dell'Osservatorio australe europeo. Il primo dei suoi 4 telescopi viene montato proprio in questi giorni. Piero Bianucci

Persone citate: Fred Chaffee, Gerard Kuiper, Giove, Horn D'arturo, Hubble, Jerry Nelson, Parker Ranch, Reagan, Saturno, William Keck

Luoghi citati: Argentina, Brasile, California, Canada, Cile, Gran Bretagna, Hawaii, Urss, Usa