BANANA: TUTTE LE BUONE DONNE DI UNA GRANDE CASA SENZA PADRI di Guido Ceronetti

IL CLASSICO IL CLASSICO 9 traduzI , Suz 9 traduzi Suzi di Alessandro Fo 9 traduzi I UASI a controbilanciare , l'estro straripante della storica Suzione di Guido Ceronetti con la sua centrifuga deflagrazione di variazioni, Einaudi inserisce nel proprio catalogo (collana dei tascabili) il più «filologico» Catullo a cura di Guido Paduano (Le poesie. Commento di Alessandro Grilli, testo a fronte, Einaudi Tascabili, pp. 478, L. 19.500). La traduzione, linea controverso, si ispira sostanzialmente a un criterio di fedeltà ingentilita dalla ricerca della pasta lessicale di volta in volta più adatta a restituire una determinata scelta espressiva dell'originale. Difficile dire se l'introduzione colga davvero il fulcro della poesia catulliana: muovendo da una matrice psicanalitica, lo ravvisa in un «processo di infinitizzazione emotiva». Ad Alessandro Grilli sono affidati i ragguagli biografici e prosodico-metrici, le note di presentazione e di commento, aggiornate e criticamente agguerrite, anche nel porgere. Catullo è un poeta «totalizzante», di quelli cui si dedicano volentieri sia una vita letteraria sia una collezione di titoli, fatalmente vocati a notevoli divaricazioni dei punti di vista. Gli appassionati potranno dunque proficuamente aggiungere sul loro scaffale questo nuovo e lepido libretto alle altre numerose edizioni (Chiarini per Frassinelli e Canali per Giunti). E raccomanderei loro qualora non le possedessero - di mettersi frattanto sulle tracce di due splendide rarità: la traduzione in versi curata da un poeta quale Enzo Mazza (Guanda, Fenice dei Classici 1962); e le folgoranti versioniriscntture in piacentino (ne esiste anche audiocassetta d'autore, di rara potenza) di Ferdinando Cogni, col tìtolo Li èran bai chilo zog (cioè: 8,6: Ibi illa multa tum iocoso fiebant), uscite presso Scheiwiller, All'insegna del pesce d'oro, nel 1976. BANANA: TUTTE LE BUONE DONNE DI UNA GRANDE CASA SENZA PADRI «Amrita» conferma la bravura della vulcanica scrittrice giapponese LL'ERTA, amiche lettrici e amici lettori! Dopo i cicloni nostrani del cuore e dell'anima e quello d'oltralpe dei faraoni, prepariamoci all'ormai periodico, e inevitabile, ciclone dagli occhi a mandorla. Banana Yoshimoto ha colpito ancora e anche questa volta ha fatto centro. Dal 1994, in Giappone, il suo romanzo Amrita, che ora Giorgio Amitrano ha tradotto per la Feltrinelli, è tra i più venduti. E in Italia Banana va sul sicuro. Lei è una entusiasta del nostro Paese, dell'italiano, come lingua, e degli italiani, come persone. Come non ricambiare la simpatia se non leggendo e facendo leggere i suoi racconti e i suoi romanzi? Anche se Banana non ha bisogno del passaparola, basta che compaia in libreria. Non nego il mio atteggiamento ambivalente nei confronti delle opere precedenti, ammirazione da un lato, irritazione dall'altro. Questa volta però pollice eretto per un ottimo romanzo in cui il contenuto e la forma hanno trovato l'equilibrio. Amrita è una conferma matura e convincente del talento di Banana Yoshimoto e delle sue spiccate capacità di narrare storie inchiodando chi legge dalla prima all'ultima riga, o meglio colonna. Intanto il titolo. Amrita non è una persona, né una località. E' un termine proveniente dalle isole del Pacifico. Ha a che fare con la divinità. La scoperta del significato è un motivo in più per non lasciare il libro fino alla conclusione. Il romanzo è in prima persona e rappresenta l'interno di una famiglia, peraltro insolita, della Tokyo degli Anni Novanta: un preludio con gli antefatti, un ampio nucleo centrale in cui confluiscono ritorni al passato, sogni, lettere, pagine di diario, testi di canzoni, un breve capitolo con un finale aperto. Affabulatrice trascinante, Banana racconta lutti, perdite della memoria, assenze momentanee, partenze definitive, drammi, amicizie, affetti, amori, con una vena fluente inarrestabile e coinvolgente. Lei stessa, nel postscriptum per l'edizione italiana, riconosce di aver scritto il romanzo con spontaneità e abbandono. La pagina rivela una palese ebbrezza visionaria e un palpabile stato di sovraeccitazione emotiva e intellettuale: cieli di un azzurro profondo che sembrano risucchiare, estatiche contemplazioni di trasparenze marine e di abbaglianti solarità, tramonti impressionanti che travolgono, notti immense solcate da stelle cadenti luminosissime e da spirali di luci psichedeliche accecanti, perfino da Ufo. Lo stile è febbrile, ma controllato: brevi tratti, frasi ellittiche, elenchi di immagini, di pensieri, di sensazioni, che esprimono un intimismo impressionista e che fanno ripensare alle incomparabili enumerazioni di Sei Shonagon (cose piacevoli, cose spiacevoli, rare, disarmoniche, che appagano, che deludono, situazioni che provocano noia, che tengono in ansia, che ispirano fiducia). Amrita, che ha come filoni la parapsicologia e la chiaroveggenza (temi trattati anche nei racconti di Sonno profondo e di Lucertola], è la storia di una rigenerazione e di una conquista dell'identità: il percorso parallelo di iniziazione alla vita di Sakumi e di Yoshio, due fratellastri, lei primogenita, lui ultimo nato di una famiglia singolare. Nella stessa casa, infatti, vivono: la madre Yukiko, sposata una prima volta, con due figlie, vedova e risposata, con un figlio, poi separata, che ha una relazione con un compagno più giovane di lei; Junko, l'amica d'infanzia della madre, che è in attesa del divorzio; la cugina Nikiko, che studia all'università; l'undicenne Yoshio e Sakumi, l'io narrante. Una famiglia allargata, ma monca. Non ci sono padri, come spesso nelle opere di Banana: i padri o sono morti o sono assenti per lavoro, e non solo, o si sono rifatti una vita altrove. Un microcosmo matriarcale specchio della società giapponese? Un buon argomento per una tesi o per una ricerca. Banana però non è una sociologa, è una narratrice convinta che la mancanza della figura paterna comporti scompensi, inquietudine, senso di separatezza e di solitudine. Il libro inizia con la tragica morte della sorella di mezzo. Mayu è deceduta in un incidente automobilistico che ha fatto pensare al suicidio: un altro vuoto per Sakumi e per Yoshio. Inoltre entrambi escono da due prove traumatiche, fisica lei, psicologica lui. Sakumi è caduta su una ripida scalinata di una stradina secondaria, battendo forte la testa. Operata, ha perduto temporaneamente la memoria, «Tu sei morta a metà», dirà in seguito l'amica sensitiva. Piano piano i ricordi riaffiorano e lei vive le nuove esperienze affettive e sentimentali con intensità come a rimpadronirsi della propria esistenza. Il progressivo ritorno della memoria segna la rinascita e il passaggio a ima più matura consapevolezza. Anche Yoshio si trova in uno stato confusionale. Non ha superato la crisi dovuta all'abbandono della famiglia da parte del padre. Il ragazzo è precoce e intelligente e la sua già accentuata sensibitìtà.è acuita ancora di più dalla prova. E' disturbato nel carattere e nel comportamento e dà segni di possedere facoltà paranormali: sente delle voci, per¬ cepisce i pensieri altrui, avverte presenze misteriose, annuncia fatti avvenuti a distanza, predice il futuro. Le sue premonizioni hanno effettivi riscontri. «Cadrà l'aereo», dice alla madre in partenza per una vacanza a Bali. Lei parte lo stesso e un aereo cade davvero, ma, per uno slittamento di orario, non è quello della madre. Il problema cruciale di Sakumi e di Yoshio è la ricerca del padre come modello di riferimento. Nel graduale recupero psicofisico essi incontrano persone dai poteri medianici ora liberatori, ora inquietanti: una donna di rara dolcezza con la vocazione di consolare gli spiriti con vibranti concerti rivolti al mare, un aspirante santone che vive ai margini dei movimenti che gravitano nelle nebulose del New Age e delle ambigue sette religiose. Non sono lì le soluzioni. Banana, che crede nelle risorse positive dell'individuo, ne indica due possibili: per Sakumi, la presenza di un compagno, per Yoshio, una sana attività sportiva. In fondo Banana Yoshimoto è un'ottimista. Visto l'argomento del romanzo, azzardo una previsione: Amrita scalerà le classifiche detronizzando i faraoni d'Egitto. Azzardo? E' già avvenuto. Angelo Z. Gatti COL DIO DI ARUNDHATY ROY L'INDIA DELLE PICCOLE COSE IL DIO DELLE PICCOLE COSE Arundhaty Roy traduzione di Chiara Gabutti Guanda pp. 360 L. 29.000 IL DIO DELLE PICCOLE COSE Arundhaty Roy traduzione di Chiara Gabutti Guanda pp. 360 L. 29.000 LI elogi sperticati con cui la stampa di lingua inglese ha salutato il romanzo di esordio di Arundhaty Roy, indiana del Sud, che vive a Nuova Delhi, lavora nel cinema e ha studiato architettura e restauro (anche a Firenze) sono, per una volta, confermati dal prodotto. Questo è stato tempestivamente e anche assai finemente tradotto da Chiara Gabutti, non senza un opportuno sfoggio di competenza in vocaboli e usanze del Subcontinente, tanto che intimidito non le contesterò il suo trattare al femminile la parola sari (l'indumento), contro il parere di tutti i dizionari italiani a me noti. Come tutti i romanzi, anche II dio delle piccole cose racconta una storia, ma procedendo a sbalzi, ossia ricostruendo un episodio cruciale di ventitré anni fa tramite una serie di spostamenti avanti e indietro: così l'accaduto emerge a brandelli e per barlumi, fino al rush finale dell'ultima sessantina di pagine, in cui finalmente tutto si chiarisce. Questo metodo non deve far pensare al giallo - al lettore non si chiede di indovinare proprio niente -, semmai a una imitazione del modo con cui la vita ci plasma, accumulando impressioni che rimangono sommerse a lungo prima di agire in modi imprevedibili, ovvero facendoci accadere cose della cui importanza ci rendiamo conto solo chissà quando, magari perché noi stessi a lungo ci rifiutiamo di accettarla. Razionalizzata e ridotta all'osso, la storia riguarda la dissoluzione di una famiglia del Kerala, piccoli proprietari di terreni e di una fabbrica di conserve, cattolici, dei cui due figli il maschio, Chacko, è un simpatico buono a nulla che ha studiato senza costrutto a Oxford dove ha sposato una inglese e ne ha avuto una figlia, e poi, divorziato da costei, è tornato a dirigere l'industrietta paterna con conseguenze rovinose; e la femmina, Ammu, è una malmaritata che ha abbandonato il coniuge tenendosi i due gemei]i dizigoti avuti da lui. Il gesto è stato coraggioso, perche nell'ambiente antiquato e provinciale dove Ammu è tornata la condizione di donna separata è social¬ mente derelitta; ma Ammu ha un carattere fiero, che la porta ad amare segretamente nientemeno che un intoccabile per di più comunista, l'onesto e bel bracciante Velutha. Questi è per i gemelli di Ammu il dio delle piccole cose del titolo: colui che li porta sul fiume a pescare, che gli ripara la barca, che gli insegna mille segreti. Il romanzo comincia oggi, ossia nel 1993, quando i gemelli di Ammu, trentenni, si ricongiungono in quello che resta della casa familiare. Non si vedevano da quando avevano sette anni, che le conseguenze dell'episodio traumatico il cui segreto ci viene rivelato per intero solo alla fine comportarono, oltre alla morte di Velutha e poi di Ammu, la loro separazione eprima di questa, una loro terribile perdita di innocenza, provocata dalla vendicatività della prozia Baby Kochamma, ex suora nonché comare ciabattona, il cui cieco furore fu innescato dalla rivelazione della liaison illecita della nipote. Questa sintesi tralascia molti episodi e personaggi minori, e inArundhaty R mente derelitta; ma Ammu ha un carattere fiero, che la porta ad amare segretamente nientemeno che un intoccabile per di più comunista, l'onesto e bel bracciante Velutha. Questi è per i gemelli di Ammu il dio delle piccole cose del titolo: colui che li porta sul fiume a pescare, che gli ripara la barca, che gli insegna mille segreti. Il romanzo comincia oggi, ossia nel 1993, quando i gemelli di Ammu, trentenni, si ricongiungono in quello che resta della casa familiare. Non si vedevano da quando avevano sette anni, che le conseguenze dell'episodio traumatico il cui segreto ci viene rivelato per intero solo alla fine comportarono, oltre alla morte di Velutha e poi di Ammu, la loro separazione e, prima di questa, una loro terribile perdita di innocenza, provocata dalla vendicatività della prozia Baby Kochamma, ex suora nonché comare ciabattona, il cui cieco furore fu innescato dalla rivelazione della liaison illecita della nipote. Questa sintesi tralascia molti episodi e personaggi minori, e in Arundhaty R Arundhaty Roy y particolare il triste destino della piccola Sophie Mol, la cuginetta inglese dei gemelli. Facendo affiorare a tratti il passato remoto che, stroncando l'infanzia dei gemelli, li consegnò a una vita di spaesamento e di infelicità, l'autrice ricostruisce infatti, con affetto, ironia e una precisione di particolari minuti addirittura portentosa, il mondo sparito di quell'India provinciale in quel fatidico anno 1969, così come si poteva presentare a bambini a un tempo intelligenti e ingenui, impegnati contemporaneamente ad assorbire e a respingere le comu nicazioni e le proposte degli adul ti. Magistrale nel controllo del materiale e degli strumenti espressivi che si è scelta, Arun dhati Roy continua a girare intor no alle stesse situazioni con una ricchezza di immagini («Pioveva, quando Rahel tornò ad Ayemenem. Argentee funi frustavano la terra sfatta, arandola a colpi di can none») e con una fantasia di espedienti (ad esempio, l'uso delle maiuscole per dare una pati na fiabesca, mitica, alle percezioni dei bambini) che ri schiano continuamente la leziosità e che la evitano sem pre. Elegiaco senza rimpianti, duro senza aggressività, scorato davanti alla stupidità della cattiveria e tuttavia privo di odio, eloquente nella lingua di grande comunicazione scelta, ossia l'in glese, ma tutt'altro che rinuncia tario nei confronti di quella sapo rita sottotraccia, il «malayam», che si affaccia ogni tanto a ricor dare la sua presenza, questo libro a inizio di stagione ferma i cronometri su un tempo che chi verrà dietro troverà arduo avvicinare Miagolino d'Amico ^^

Luoghi citati: Ayemenem, Egitto, Firenze, Giappone, India, Nuova Delhi, Oxford, Tokyo