IL SOLE DI CONTE

IMA, IMA, , ME IL DESTINO • Keaton, ii attori ivocati ra Pariani io nuovo \ perfezione i elastici cinema)» alto; no Benni inistra; i De Carlo niare che «il destino è inesorabile». Così il magrolino e il ciccione («Li paragonerò ai personaggi delle favole antiche, terribili e affascinanti per il loro meccanismo perfetto»). Così Buster Keaton, l'ombra magistrale che si allunga sul set letterario, pedinata in una Milano «dopo la cometa», gemella della Torino cremoniana, montagne di detriti, il genere umano cancellato, i tram vuoti, i marciapiedi nebbiosi, imperante l'attesa del Giudizio Universale, del Grande Diretùr per la festa finale della Mietitura. E' Buster Keaton lo specchio, il ritratto di Laura Pariani: «Forse non era Buster. Forse era uno scrittore. Mi parve di riconoscerne i segni: sono propri, infatti, di coloro che scrivono l'incertezza, lo sguardo perso nel vuoto, cercando - sognando? - la parola necessaria, immersi nella speranza di trovarla...». Perché se il sonno genera mostri, il sogno li umilia, li incenerisce. IL SOLE DI CONTE Tra India e Liguria EEMBRA davvero partire da molto lontano, dalle remote epoche silenziose di una Terra ancora amorevole madre di riti naturali essenziali - albe, tramonti, venti e onde - e del gioco infinito del tempo senza date, questo arioso romanzo di Giuseppe Conte. Ma l'uomo è comparso e ha scelto, la Terra è diventata spazio di nature diverse, di riti e usanze tra loro incomunicabili, così fino a Babele e oltre. Oltre è realtà recente, anche se filtrata dall'occhio magico del cantore, colui che parla e fa parlare e per l'uomo inventa voce e volto: il Narratore. Così lo schermo si illumina sugli anni Settanta in un'Italia di confine - la Liguria tanto osannata dall'autore - con una congrega di hippies di provincia ostili alla «civiltà», un omicidio casuale, la fuga... Quando corre sulla spiaggia e dialoga col suo amico Sole, Surya - il ragazzo omonimo della stella che ci riscalda ha quindici anni e vive a Chapora; in India, figlio di Amai e Maya, i due fuggitivi di tanti anni prima. E' vita semplice e naturale, priva di conflitti, lontana dalle lotte di ogni giorno, anche perché Surya nulla conosce del suo passato. Poi Amai - Angelo per la cronaca - s'invola con una ricconzola di passaggio, la bella Maya svela l'arcano al figlio prima di affogare in mare, e Surya, solo, saluta il suo splendente amico e improvvisa la strada per la vita. In Italia sopravvive ancora il padre di Angelo, l'ingegner Amadei, che ha sposato in seconde nozze l'assai più giovane Vivien, fiore di Cornovaglia trapiantato in terra ligure per amore. Sull'onda del romanzo Surya, in un tormentato, violento, deamicisiano viaggio dall'India agli Appennini, incontra finalmente il suo passato e ne viene accolto a braccia aperte. H conflitto tra i due mondi quasi non esiste, grazie alla presenza di Perceval, il baldo giovane fratello di Vivien, che instrada Surya alle letture e alla conoscenza di sé. Ma due mondi, a quanto pare, non bastano per fare un vero romanzo di iniziazione, per cui Conte decide, di botto, di far sparire dalla circolazione il buon Perceval, tornato in Cornovaglia per seguire i suoi studi e per mandare avanti la Società dei Liberi Celti. Evidentemente Perceval ha scoperto qualcosa di losco, poiché svanisce nel nulla alla faccia di Artù. Vivien - e soprattutto Surya - si mettono alla ricerca del giovane, e qui il romanzo prende la piega del giallo d'indagine, anche se Conte trova comunque il modo per illuminare noi e Surya sulle romantiche, suggestive tradizioni celtiche. E' una continua lotta, per l'eroe della storia, tra sospetti e illusioni, ricordo e tentazione - il nonno nel frattempo è morto, e Vivien è graziosa assai - ambizione di vita e dubbi ancora adolescenti. Il giallo verrà risolto tra le nebbie di Cornovaglia - in un plateale incontro di destini - anche se non tutto finisce per il meglio. Surya, rinato, sbocciato finalmente alla vita, tornerà comunque a ringraziare il suo omonimo scaldapoveri - un po' meno rovente che laggiù in India - che ha continuato a parlargli e a seguirlo nella sua impervia odissea. fbIL RAGAZZO CHE PARLA COL SOLE Giuseppe Conte Longanesi pp. 415 L. 32.000 pRiassunto così, come un bignami sforbiciato e asfittico, il romanzo rischia di sembrare un polpettone ambizioso e, forse, un po' stravagante. Va detto che, in quanto ad ambizione Conte c'è andato giù di brutto, ma la sua fatica è ripagata - in buona parte - dall'aver colto, del romanzo di iniziazione, tutti gli aspetti umani più delicati, dalla perdita dell'innocenza al tragico conflitto con la realtà. Il resto è un vasto panorama vagabondo che percorre miti remoti e illusioni recenti, anche se i personaggi sembrano piuttosto - crediamo volutamente - le maschere di rappresentanza di una fiaba classica che non figure concrete. Bene e Male, Amore e Odio, Illusione e Destino, hanno raffigurazioni precise ma simboliche, monumenti di carta che attraversano la strada al percorso interattivo del protagonista. La storia, la trama, reggono tuttavia alla distanza e al peso di così tante responsabilità di «crescita)). Troviamo Surya ben calato infine nella realtà, che è quella di oggi. Ma è come se davvero fosse partito da altri tempi per approdare a se stesso. Manca, forse, un pizzico di ironia in più per evidenziare il giusto contrasto tra realtà e invenzione, romanzo realistico e idea di romanzo come spazio di tutte le trame possibili. Ma sono annotazioni in margine al libro di un eccellente poeta e cultore di miti che sempre più riesce ad essere narratore di buone attitudini senza accantonare le sue origini. IL RAGAZZO CHE PARLA COL SOLE Giuseppe Conte Longanesi pp. 415 L. 32.000 Bruno Quaranta ELOGIO DEI GIUDICI IN LOTTA CON I DINOSAURI DEL POTERE I rapporti tra magistratura e politica in Italia e in Europa IL GIUDICE E IL PRINCIPE Paolo Borgna Margherita Cassano Donzelli pp. 205 L. 30.000 REDO che sia consentito a uno come me - che è stato giudice per trent'anni ormai lontani - ringraziare gli autori di questo libro che gli hanno restituito quel senso di orgoglio, non certo di superbia, che lo aveva accompagnato, pur in mezzo a vari ostacoli, nel servizio di Temi. E' un libro alto e sereno, con lo sguardo vòlto anche all'Europa, al passato e non solo al presente: ben al di sopra di certe azioni polemiche che oggi tengono il campo sul tema della giustizia. E' questo il vero spirito animatore del libro: di due eccellenti magistrati che lo dedicano a due grandi avvocati di ieri, Piero Calamandrei e Dante Livio Bianco, quasi a richiamare i due campi della magistratura e dell'avvocatura al dovere di approfondire ciò che li unisce e non quel che li divide. Questo libro rende generosamente giustizia alla migliore magistratura di ieri o dell'altro ieri; e insieme scorge i complessi e intricati e nuovi problemi d'oggi che i giudici di cinquant'anni o sessant'anni fa neppur si sognavano di dover affrontare, quando consultavano, per rendere giustizia, ben più i trattati settecenteschi del Pothier che non i testi di economia politica o finanziaria. Soprattutto, quest'opera percepisce assai bene quanto l'incalzare della realtà in cui viviamo, e soprattutto il rapido succedersi delle generazioni impongano sempre nuovi problemi a giudici e procuratori della Repubblica e avvocati di fronte al potere politico. Borgna e Cassano: la ricerca dì un difficile equilibrio tra legalità e equità Se si ha il coraggio di affrontare, in tutta la sua tormentata complessità, la realtà di oggi, si capisce meglio perché a un certo momento il pool milanese di Mani pulite abbia assunto, senza proporselo, la provvidenziale funzione di rottura di uno stagnante e, per ciò stesso, imputridito sistema politico e, per inevitabile riflesso, anche giudiziario, e di rivolta contro una corruzione inquinante tutta la nostra .vita pubblica ed Borgna e Cassano: la ricerca dì un difficile equilibrio tra legalità e equità economica. Santuari sempre protetti sono stati spalancati e «violati»; e la sorpresa è stata grande per tutti. Di fronte a questa realtà di dimensioni e. gravità insospettate, che cosa dovevano fare i nostri migliori magistrati, se non andare avanti con risolutezza, ad ogni costo? Errori e sbandamenti non po¬ tevano mancare, come in ogni agire umano, ma la via intrapresa non poteva, non doveva essere abbandonata, in Italia come in ogni altro Paese. E' la conclusione a cui approda, senza enfasi o superflue accentuazioni polemiche, questo libro sincero e documentato. E' una ricerca pensosa e accurata, che parte da lontano, dai «pretori d'assalto», come venivano ironicamente battezzati i primi arditi esponenti della magistratura inferiore, che non si rassegnavano a una colpevole inerzia, e quindi risoluti a varcare certe soglie troppo a lungo rispettate; e che via via si sono trovati nella necessità - morale prima ancora che imposta dalla loro specifica funzione - di non fermarsi. Dovremmo tutti essere grati a questi pionieri, e a tutti coloro che, per un istintivo senso del dovere, stanno battendo la stessa strada, spesso difficile e ingrata. Ed è indecente e rivoltante il dilagare di troppo avventate e insultanti accuse. Preoccupano, in questi stessi giorni, certi tortuosi tentativi per mettere la mordacchia o contenere lo slancio di chi, per un elementare senso d'impegno civile verso tutti i cittadini (nessuno escluso), sente l'impulso di non fermarsi di fronte ad alcuna, anche somma, autorità. Come appaiono fruste e poco sincere certe accuse, mosse a una parte o a tutta la magistratura, di «politicizzazione», o di «mancanza Sergio Pent PANSA: BEN ARRIVATA WANDA ■ ■ CON TE SFUMA TANGENTOPOLI ■ ■ ■ ■ ■ Giampaolo Pansa racconta una vicenda d'amore, perché «l'amore è una chiave che porta in tutte le stanze, ti fa vedere gli esseri umani come sono davvero» LA BAMBINA DALLE MANI SPORCHE Giampaolo Pansa Spirìing & Kupfer pp. 314 L 28.900 LA BAMBINA DALLE MANI SPORCHE Giampaolo Pansa Spirìing & Kupfer pp. 314 L 28.900 siamo a quattro romanzi, uno dietro l'altro, uno all'anno. Giampaolo Pansa, condirettore dell'Espresso ed ex vicedirettore di Repubblica, dopo tanti libri-inchiesta fra giornalismo e storia, a 62 anni ha altre furie, altri sentimenti da raccontare. Nei primi tre romanzi, una specie di trilogia, s'è calato nell'Italia dell'ultimo mezzo secolo per capire da che Paese veniva; adesso, per capire in che Paese sta, con La bambina dalle mani sporche scruta l'Italia del '9193, anni di Tangentopoli rovente sulla Pompei dei partiti, di vera e propria «guerra civile tra gli onesti e i corrotti». E usa la stessa tecnica: fonde la storia con l'invenzione, cioè con una vicenda d'amore, perché «l'amore è una chiave che porta in tutte le stanze, ti fa vedere gli esseri umani come sono davvero». «Im bambina dalle i h l'Itli Qui c'è l'amore fra due quarantenni, Wanda e Giulio. Lei è una donna sensuale, segreta, sofferta. Lui un curiosone ingenuo. Lei fa la segretaria particolare di un ministro della Rosa, come Giampaolo Pansa chiama il partito socialista, e lui il giornalista. S'incontrano a Bari, al congresso della Rosa: sono tutti là sul palco, i «Im bambina dalle mani sporche»: l'Italia della guerra civile tra onesti e corrotti politici: il Gran Capo dalla «canottiera infradiciata», il Delfino (Martelli), Capelli Unti (De Michelis), il Monaco fintini), il Topo (Amato) e tutti gli altri. Fa caldo. C'è aria molle, di sfascio. Wanda e Giulio non si rivedono dagli anni dell'infanzia a Casale Monferrato. Lei era una «puciunota», lui il solito «tontolini». Si riscoprono, si amano con timore e dolcezza. Ma su di loro piomba Mani Pulite. Wanda è una specie di «ausiliaria del tangentismo», è coinvolta nell'inchiesta: il suo ministro è difatti arrestato e sbattuto a San Vittore. Lei l'ha anche amato, tutti a Roma conoscono la loro storia: non può non sapere dove il ministro ha nascosto il malloppo, i miliardi accumulati per il suo progetto di scalzare il Gran Capo. Il giudice Di Paolo (cioè Di Pietro) l'avverte. Il Corvo, del partito della Rosa, giunge a minacciarla: anche lui, anche il partito, vogliono mettere le mani su quei soldi. di una base democratica» per non essere stata eletta direttamente dal popolo, o di «protagonismo», o di «indebita assunzione di poteri costituzionali che spetterebbero esclusivamente ad altri poteri dello Stato»! Credo che basti, a respingere tali insinuazioni, richiamare le alte e ancora attualissime dichiarazioni di Calamandrei all'Assemblea Costituente, sui diritti-doveri dei magistrati, oggi decisi a compiere fino in fondo il loro dovere. Questo contegno del miglior fiore della nostra magistratura ci è invidiato da altri Paesi, e citato ad esempio. E, in effetti, non è cosa di poco conto se da noi è impensabile che i giudici possano tornare ad essere quelli degli Anni 50-60 quando si sottoponeva a misure disciplinari lo scrittoregiudice Dante Traisi solo per avere pubblicato una degnissima opera come il Diario di un giudice, o si incarcerava un cittadino onesto come Felice Ippolito, da poco scomparso. Paolo Borgna e la sua valorosa collega Margherita Cassano ci insegnano, in questo libro, come l'ultima nostra magistratura sappia interpretare le leggi esistenti alla luce dei princìpi costituzionali, in un doveroso equilibrio tra legalità ed equità, e non si curi dei grotteschi e patetici dinosauri della giustizia italiana. Alessandro Galante Garrone Antonio Di Pietro il pm di Mani Pulite che nel romanzo di Pansa prende il nome di Di Paolo Wanda è tra due fuochi. Giulio la invita a consegnare tutto ai giudici. Ma lei no, na un suo segreto da difendere, non vuole più stare in questo Paese. Si nasconde in Canada. E lì muore. A Giulio resta il mistero finalmente svelato di Wanda: una bambina, nata dalla relazione con il ministro. La bambina si chiama Wanda pure lei, e le prime parole che gli rivolge sono le stesse che la sua Wanda gli rivolse un giorno nella vecchia casa di ringhiera. Quei lontani giorni onesti in qualche modo continuano. Un romanzo nuovo, per Pansa. Innanzi tutto usa qui una lingua molto più calda, più veemente rispetto ai primi tre romanzi, una lingua densa e su di giri, impastata di parole «basse», dialettali, quasi espressionistica. Non a caso, oltre a Pavese e Moravia, sono ricordati nel libro Fenoglio e Gadda. E poi vien fuori un sentimento forte, che è forse il cuore, il colore più bello del romanzo: Pansa non infierisce affatto sui partiti e sugli uomini sconfitti, e Tangentopoli non è un lavacro purificatore: se ne considerano infatti anche gli aspetti violenti e meno nobili («la giustizia è come il timone: dove la giri va»), e per il dopo non c'è da attendersi un granché («verrà a galla anche il tangentismo del regime che prenderà il posto di quello che sta morendo»). Giulio perviene a un disincanto feroce, a un «rifiuto nauseato» per la politica e per i «merdosissimi giornali». Si sente addirittura «soffocare dall'Italia». Un sentimento di disfatta, di delusione rabbiosa. Anche di paura, di morte che sovrasta. Per fortuna c'è la memoria, «l'isola della fanciullezza», a conservare innocenza e a dare forza. Claudio AHarocca