Giustizia i giochi sono fatti di Antonella Rampino

La Bicamerale chiude i lavori. D'Alema: una riforma di grande portata La Bicamerale chiude i lavori. D'Alema: una riforma di grande portata Giustizia, i giochi sono fatti // «processo giusto» entra in Costituzione ROMA. Il processo penale esce rivoluzionato dal voto di ieri in Bicamerale. Nelle proposte che sono state accolte, se passeranno intonse al momento del voto in aula, davanti al giudice accusa e difesa avranno gli stessi diritti. I magistrati avranno il dovere di avviare indagini solo in presenza della notizia di un crimine, e dovranno avvertire immediatamente l'indagato. Il quale avrà il diritto di far interrogare dal proprio avvocato chi lo accusa. Tra le molte decisioni con cui ieri si è finalmente archiviato il capitolo giustizia, questa è la più importante. Si chiama, in Costituzione, «processo giusto». E ieri, quando si trattava di votare l'articolo 130 bis della sezione intitolata «Norme sulla giurisdizione», D'Alema ha fermato il lungo dibattito che stava profilandosi. «Non è punibile chi ha commesso un fatto previsto come reato nel caso in cui esso non abbia determinato una concreta offensività» e «Le norme penali non possono essere interpretate in modo analogico o estensivo» recitano rispettivamente i commi 2 e 3. E sono commi ad alta densità garantista: «Queste norme hanno alto valore culturale e civile: non apriamo uno scontro di merito», ha detto D'Alema. Perché anche ieri Forza Italia affilava le armi, e Pera dava battaglia, nel tentativo di ampliare ulteriormente le garanzie già previste dall'articolato, accusando D'Alema e Boato di riprenderlo come uno scolaretto. A un certo punto, è intervenuto anche lo stesso Berlusconi, con una filippica rivolta contro i pubblici ministeri che «dominano i giudici». Pera è riuscito a «strappare» che il giudice non sia solo «imparziale», ma anche «terzo». E per una volta, a mettere pace è intervenuta Ersilia Salvato di Rifondazione: «Sono d'accordo con D'Alema. Quello che abbiamo in votazione oggi è la ve- ra parte innovativa in tema di riforma della giustizia: le garanzie per tutti i cittadini. Il resto, la separazione del Csm, o le distinzioni di carriera tra pm e giudici, si potevano benissimo fissare per leggi ordinarie». E d'accordo con D'Alema e con Salvato si esprime anche Lisi di Alleanza nazionale. Fuori dalla sala della Regina, con la commissione riconvocata il 4 novembre per parlare del numero dei deputati, unico scoglio ancora da doppiare prima della chiusura definitiva dei lavori di istruzione del testo, i leader politici hanno esternato la propria soddisfazione, e anche l'intento di ridare battaglia in aula. Ecumenico Silvio Berlusconi, consapevole di aver strappato ciò che gli stava a cuore: «La divisione in due sezioni del Csm equivale alla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri». Il cosiddetto «clan degli avellinesi», ovvero quei Popolari che hanno consentito con il loro voto il passaggio di quell'emendamento, promette che si andrà ben oltre in Parlamento: «Batta- glia in aula» è la parola d'ordine di Giuseppe Gargara. Berlusconi ha fatto sapere che in Parlamento lo schieramento conterà anche sui voti del Polo e della Lega. Ma è D'Alema a tracciare il primo bilancio da presidente della Bicamerale. Dopo aver smentito di aver mai minacciato le dimissioni se i Popolari avessero votato anche per la separazione delle carriere dei magistrati («Il vero punto è che da presidente della Bicamerale non avrei mai potuto sostenere in aula una proposta che non condivido», ha detto), D'Alema ha valutato come «un successo» il risultato emerso dai lavori in sala della Regina. «Una riforma di grande portata, anche se con luci ed ombre». E le ombre, neanche a dirlo, sono tutte quelle sulla giustizia: «In una parte della commissione c'è uno spirito anti-giu¬ dici che ritengo profondamente sbagliato. Il testo che abbiamo varato è equilibrato, salvo l'articolo 122 che divide in sezioni il Csm e aumenta i componenti laici». D'Alema sa benissimo che lo scontro è soltanto rinviato, ed è infatti tornato su un tema a lui caro: il fatto che le riforme istituzionali necessitino di mediazioni, di compromessi, di una maggioranza difficile da trovare. E dunque, «non la miglior riforma possibile, ma una proposta incisiva e significativa» quella che, secondo il suo presidente, è uscita dalla Bicamerale. Ma da oggi D'Alema non è più presidente: è il relatore della legge di riforma in aula. Lo affiancheranno Marco Boato, Ida Dentamaro, Francesco D'Onofrio e Cesare Salvi, i relatori delle quattro parti in cui il testo è diviso. Prima, i 70 costituenti dovranno ancora coordinare, non solo formalmente, l'intero testo. Mentre invece i 70 non dovranno votare il testo finale prima di inviarlo alle Camere. Antonella Rampino Berlusconi attacca i pm Il leader del pds replica: «In una parte della commissione c'è uno spirito anti-giudici totalmente sbagliato» li presidente della Bicamerale Massimo D'Alema

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