Angelo o diavolo? I'enigma della baby sitter di Andrea Di Robilant

Angelo o diavolo? I/enigma della baby sitter Angelo o diavolo? I/enigma della baby sitter Accusata di aver ucciso un neonato colpendolo alla testa, continua a dichiararsi innocente Tutti davanti alla tv per il processo della bambinaia killer WASHINGTON DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Amo i bambini», dice con voce dolcissima alla giuria. Siede composta, quasi rigida nel suo abito di gabardine blu. Il suo volto paffuto porta ancora qualche traccia di acne giovanile. I suoi lunghi capelli castani sono tenuti da un cerchietto di velluto nero. Ogni tanto una lacrima le segna il viso, ma subito l'asciuga con i kleenex che si è portata dietro. Louise Woodward è una baby sitter inglese di 19 anni. Ed è accusata di aver ucciso il piccolo Matthew Eappen, di appena nove mesi, strapazzandolo violentemente e sbattendogli la testa contro il muro durante una sua sfuriata lo scorso 4 febbraio. Ora il processo a Cambridge (Massachusetts), trasmesso in diretta dalla Cnn e da vari siti «on line», sta calamitando l'attenzione degli americani come non succedeva dai tempi in cui O.J. Simpson era alla sbarra. E si capisce perché. Louise Woodward rappresenta l'incubo di un'intera generazione di baby boomers, coppie di quarantenni e cinquantenni in cui i due genitori lavorano e che sono costrette ad affidarsi più di quanto vorrebbero a giovani ragazze a volte inaffidabili, pescate nel grande circuito in¬ ternazionale delle baby-sitter. Ma c'è un secondo motivo che spiega lo straordinario interesse che suscita questa vicenda. All'inizio sembrava un caso chiuso, la colpevolezza di Louise evidente. Ora, dopo la deposizione degli esperti presentati dalla difesa e, soprattutto dopo l'interrogatorio a Louise Woodward, la morte del piccolo Matthew appare in una luce molto meno chiara. E il pubblico si comincia a dividere tra colpevolisti e innocentisti. Il 4 febbraio scorso Louise chiamò la polizia dicendo di aver trovato il piccolo Matthew in preda a convulsioni nella culla («Rantolava ed era diventato blu», ha ricordato in aula). Matthew fu rico¬ verato d'urgenza all'ospedale, entrò in coma e morì cinque giorni dopo. Sunil e Deborah Eappen - lui fa l'anestesista, lei l'oftalmologa passarono le pene dell'inferno inizialmente sperando nella salvezza del loro figliolo, pene acuite dalla certezza che era stata Louise a provocarne la morte. Nello scenario evocato in aula dall'accusa, la ragazza inglese, stanca e frustrata dal pianto di Matthew e arrabbiata con i genitori perché non l'avevano lasciata uscire, lo avrebbe scosso con tale violenza da fargli perdere conoscenza. Gli avvocati di Louise dicono che non è vero, che il bambino entrò in crisi da solo, probabilmente a causa di una malattia congenita. Quanto a Louise, durante l'interrogatorio ha dato di sé l'immagine di una ragazza cresciuta in una famiglia piena di bambini, tenera e scrupolosa, la perfetta baby-sitter di cui parlava la brochure. «Ha mai scosso il pic¬ colo Matthew?», gli ha chiesto il suo avvocato. «No», ha risposto Louise con voce ferma. «Lo ha mai picchiato?». «No». «Lo ha mai scagliato contro il muro?». «No». «Si è mai arrabbiata con lui?». «No, mai, assolutamente». Gli innocentisti dicono che la sua testimonianza è stata efficace e soprattutto convincente. «Una ragazza così calma e composta insistono - non può essersi lasciata andare ad una furia omicida». Per loro (e in questo sono in piena sintonia con l'opinione pubblica inglese), Louise non è altro che una sfortunata ragazza andata negli Stati Uniti per fare una bella esperienza di vita prima di cominciare a lavorare e finita per sbaglio nelle maghe crudeli della giustizia americana. I colpevolisti ribattono che l'intervento di Louise in aula dimostra quanto sia stata ben addestrata dal collegio di difesa. E quanto cinismo, quanta freddezza si celino dietro all'immagine della perfetta baby sitter. «Louise non amava il suo lavoro», dicono. «Voleva soltanto andare a divertirsi a Boston. Ed era arrabbiata perché i genitori di Matthew le avevano imposto di tornare a casa ad un'ora ragionevole». Su un piedistallo al centro dell'aula del tribunale è stato adagiato un modello plastico di una calotta cranica. In questi giorni gli esperti dell'accusa e della difesa si sono alternati per illustrare con le loro bacchettine le rispettive ipotesi sulle cause del decesso del piccolo Matthew. Nessuno sa con certezza cosa sia successo in casa degli Eappen la sera del 4 febbraio, forse neppure Louise. E con ogni probabilità saranno proprio loro, i medici messi in campo dai due schieramenti, a determinare il verdetto. Come il processo a O.J. Simpson, anche quello a Louise Woodward si profila come un'altra «battaglia degli esperti». Andrea di Robilant La difesa sostiene che il bambino si ferì da solo per delle convulsioni causate forse da una malattia congenita MASSACHUSETTS Louise Woodward, accusata di aver ucciso il piccolo Matthew Eappen, durante il processo nel tribunale di Cambridge [foto reuters)

Persone citate: Deborah Eappen, Louise Woodward, Simpson

Luoghi citati: Boston, Cambridge, Massachusetts, O.j. Simpson, Stati Uniti, Washington