Scoperta dell'Essere

Scoperta dell'Essere Scoperta dell'Essere La morte di Lady D. dal virtuale al reale §^H f§^gH pP* nostra disponibilità all'acquisto. L'auspicio è che queste cinquemila famiglie non solo si applichino quotidianamente con meticolosa solerzia al loro mestiere di utenti accendendo e spegnendo il meter secondo i pulsanti di riferimento, controllando l'uso che fanno del videoregistratore (novità dal primo agosto) ricordandosi di connettere e sconnettere gli ospiti in visita davanti alla tv, ma che insegnino ai loro piccoli che hanno una grande responsabilità perché gestiscono con le loro scelte televisive non solo centinaia di milioni al giorno di investimenti pubblicitari, ma si sono accollati per tutti la responsabilità di essere la «gente». Marina D'Amato Università La Sapienza, Roma AL primo sbarco sulla Luna assistettero in mondovisione 600 milioni di persone. I funerali di Diana, si dice, avrebbero avuto quasi due miliardi di telespettatori, un terzo della popolazione mondiale. Ammettiamo che la stima sia per eccesso e applichiamo la tara della diffusione dei televisori, senza dubbio ben diversa nel 1969 e nel 1997. Il fenomeno rimane. E richiede una analisi scientifica, sia pure ricorrendo a quelle scienze inesatte che sono la sociologia, la psicologia, ed eventualmente la filosofia. In questa pagina Marina D'Amato parte proprio dai dati di ascolto della diretta sui funerali di Diana per analizzare in termini sociologici la realtà virtuale nella quale viviamo e il suo dio Auditel, che ci vuole tutti ai suoi piedi nella veste di fedeli consumatori. Ma quei funerali sono stati soltanto la manifestazione più vistosa di un fenomeno che continua a svilupparsi sotto i nostri occhi: l'attenzione collettiva è tuttora polarizzata da trasmissioni televisive come quella di Augias e da altre ancora più vicine al facile sciacallaggio dei sentimenti, da perizie e controperizie sull'incidente, dal nuovo libro-scandalo di Andrew Morton. Dietro tutto questo ci sono, ovviamente, i ben noti meccanismi della comunicazione di massa. La sinergia di giornali, televisione, libri scandalistici. La voglia di mito che da sempre accompagna l'uomo. L'identificazione con la ragazza dall'infanzia difficile e con la moglie tradita. La suggestione della donna ricca e potente che china la misericordiosa messain-piega sui malati di Aids. La tenerezza per la madre che accompagna i suoi bambini a Eurodisney resistendo per loro a tentazioni bulimiche e suicide. Il personaggio pubblico schierato contro le mine antiuomo (il Nobel per la pace è stato assegnato, si è detto, alla sua memoria). La perseguitata dai fotoreporter. La vittima delle trame di Buckingham Palace. Ma basta tutto questo a spiegare le reazioni alla morte della principessa Diana? Ho il sospetto che sotto si nasconda qualcosa di più profondo. La ferraglia accartocciata della Mercedes ci ha messi tutti di fronte a un «fatto» concretissimo e irrevocabile. Tra quelle lamiere, il virtuale e il reale sono entrati in cortocircuito. L'incidente nel sottopassaggio parigino ha reso evidenti, crudamente esplicite, le biforcazioni di cui è fatta la nostra esistenza. In genere non le percepiamo, né quando siamo noi, più o meno consapevolmente, a scegliere nel bivio, né tanto meno quando è il flusso dell'e¬ sistenza a spingerci avanti. Eppure ogni biforcazione ne esclude molte altre, e la biforcazione apparentemente più irrilevante può rivelarsi decisiva. Noi, ora e qui, non siamo nient'altro che il prodotto delle biforcazioni da cui proveniamo. Basta inciampare per perdere un aereo destinato a precipitare e ritrovarsi vivi per miracolo. Basta l'anticipo o il ritardo di un attimo per capitare su un incrocio dove un altro automobilista non rispetta lo stop. E, alla faccia di La Palisse, non è affatto lapalissiano che un istante prima si sia vivi e un istante dopo morti. Nel flusso indistinto e ovattato degli eventi superficialmente ordinari (ma nessuno lo è), succede che qualche evento ci metta in contatto diretto e brutale con la Realtà vera, cancellando per un istante la realtà virtuale, mediatica, immateriale. Talvolta basta una distrazione: per esempio, ci tiriamo dietro la porta di casa senza aver preso le chiavi, e di colpo eccoci in una situazione scomoda, complicata, che ne influenza tante altre, che ci cambia la giornata (specie se è domenica e i fabbri sono chiusi). Il filosofo Luigi Pareyson ha analizzato i fattori di imprevedibilità e irrevocabilità che rendono speciali certi eventi, mostrando come essi rappresentino l'emergere della libertà e dell'essere nella loro purezza. L'evento rivelatore, osserva Pareyson, «è la rottura di un contesto»: «Nulla di ciò che lo precede basta a spiegarlo, nessuna continuità lo lega agli antecedenti (...). Non tollera né il concetto di causalità né il concetto di probabilità». Pareyson ricorda, in proposito, un racconto di Singer nel quale un vecchio ebreo improvvisamente viene sedotto dalla co- Il filosofo Pareyson ci aiuta a capire la «rivelazione» dell' incidente fatale guata: «Meno di due ore prima Reb Mendel era ancora un ebreo onesto, eminente; ora era un depravato, un traditore di Dio» («Ontologia dulia libertà», Einaudi, 1995). Dunque l'irrevocabilità, l'impossibilità di tornare indietro, di ricacciare l'accaduto nel non-essere, crea il contatto con l'Essere, fuggevole e vertiginoso. E poiché niente come la morte è irrevocabile, la morte di Diana, anche per le sue circostanze, è stato un evento in cui tutti abbiamo intravisto, al di là dell'esistente, l'Essere. Non ci ha scossi solo la morte della «principessa triste», ma il fatto che quella morte ha rivelato la nostra personale precarietà, la nostra eroica fragilità davanti alle biforcazioni esistenziali e il nostro rimosso bisogno di un ancoraggio metafisico. Piero Bianucci E Bill Gates cancellò gli spazi PER la sventura di traduttori, giornalisti, scrittori e quanti generalmente scrivono con il computer e hanno bisogno di conoscere il numero preciso di battute dei testi da consegnare ai committenti, Microsoft Word, il programma di video scrittura più venduto al mondo, dalla sesta versione in poi non conta più gli spazi tra una parola e l'altra. Di norma si intende come «battuta» lo spazio occupato da un carattere a stampa e lo spazio bianco ottenuto battendo la barra spaziatrice della tastiera, e siccome nell'un caso come nell'altro sempre di spazio si tratta, per stabilire le dimensioni di un testo è indispensabile che al numero dei caratteri sia sommato anche il numero degli spazi bianchi. Per il programma della Microsoft, gli spazi tra una parola e l'altra semplicemente non esistono. E' possibile che, avendo sviluppato proprio in quasti anni un vivo amore per i codici antichi, Bill Gates abbia pensato d'introdurre surrettiziamente i presupposti informatici necessari perché gli utenti del suo programma tornassero a vivere epoca antica (preclassica e classica) in cui non si separavano le parole. Lo prova la presenza in Word di un «glossario» che è l'equivalente high tech dell'uso delle abbreviazioni (troncamenti o contrazioni) comuni in epoca romana. Verso la fine del Medioevo - dice l'Enciclopédia Cambridge delle scienze del linguaggio - erano in uso nitro 13.000 abbreviazioni e segni, j Oggi il comune utente Microsoft Word non ha nel suo «glossario» ''■ altrettante abbreviazioni, ma ! non è tuttavia detto che in tutu- | ro non possa anch'egli essere og getto di studi paleografici. La rimozione degli spazi bian chi in Word - una iattura per i traduttori a numero di battute prodotte - ha equivalenti suggestivi in altri ambiti della moderna comunicazione. In un bel racconto dello scrittore tedesco Heinrich Boll, La raccolta di silenzi del dottor Murice, il protagonista - un redattore radiofonico - ha V abitudine di collezionare silenzi. Forse non è noto a tutti che una parte nient'affatto trascurabile del lavoro redazionale in una stazione radiofonica consiste nel rimuovere le pause tra una parola e l'altra, tra una frase e l'altra, in modo da rendere più spedita la comunicazione. Talvolta gli intervistati sono poeti, scrittori e filosofi che, per rispondere alle domande, riflettono, si prendono un momento di pausa per trovare la parola più adatta, la costruzione del periodo più efficace per la comunicazione del loro pensiero. Non appena essi hanno lasciato gli studi radiofonici, impietosamente il redattore di turno rimuove tutte le pans-, togliendo in tal modo tutti i segni tangibili del moto che il pensiero compie per trovare una espressioni! adeguata al contenuto e illudendo cosi gli ascoltatori non tanto che gli ospiti intervistati parlino bene, quanto piuttosto che il pensiero sia l'atto solo di parole senI za soluzione di continuità - coI me se fosse stato scritto con Microsoft Word. Pause, ridondanze e silenzi : sono sempre meno tollerati. E' j l'horror vacui il sentimento che governa la ricerca degli infor1 mutici che escogitano sempre j più perfezionati sistemi per la ! compressione dei dati. Sullo schermo di un computer i silenzi, le pause del pensiero, vale a dire i momenti in cui la riflessione rischia di tralignare nella vertigine e si misura col vuoto del non pensiero sono solo sottili linee alle quali si contrappongono le grandi masse grafiche che rappresentano sul monitor il suono delle parole. Dopo Atto senza parole Samuel Beckett scrisse L'ultimo nastro di Krapp. In quest'opera teatrale le pause registrate nel magnetofono sono fondamentali e concorrono non meno delle parole a produrne il senso. Se l'ultimo nastro di Krapp venisse registrato nell'hard disk di un computer e poi compresso, il silenzio non sarebbe che un elemento residuale - non conterebbe nulla, come non contano nulla gli spazi nei documenti di Word. Certo, molte poetiche del 900 hanno fin troppo esaltato il valore espressivo degli spazi bianchi e dei margini, ma chissà che invece dei codici antichi gli informatici della Microsoft non abbiano pensato - evitando di far computare gli spazi bianchi che è bene far capire agli utenti del loro programma che, presto, sarà sospetto chi si permetterà di far pause e fennarsi a pensare tra una parola e l'altra. Lorenzo De Carli I

Luoghi citati: Cambridge, Roma