QUATTRO CARTE D'ITALIA di Sergio Trombetta

QUATTRO CARTE D'ITALIA QUATTRO CARTE D'ITALIA L'ISOLA CHE BRUCIA Gianni Farinetti Marsilio pp. 408 L 32.000 Repetti, con Vincenzo Cerami il committente di Fuori gioco. «Stavamo al Salone del Libro di Torino, al bar, di sera, serata ad alta gradazione alcolica. Mi invitarono: "Perché non ci dai qualcosa?". E così misi insieme un florilegio di divagazioni intorno allo sport, agli sport, dalla scherma al rugby, dal calcio alle bocce, dal ciclismo all'automobilismo. Salvo affidare l'opera non a Repetti, nel frattempo . cimentatosi con, la collana, Mi naudiana "Stile libero", ma al Mulino, dopo aver sfiorato Mondadori». Cinquantatré anni, vissuti in spirito oblomoviano, Lucio Klobas. Un albero genealogico (letterario, va da sé) che aiuta ad orientarsi in Fuorigioco. «Sono i tre moschettieri dell'avanguardia polacca a scortarmi. Gombrowicz, ovvero l'ossessione per il dettaglio. Witkiewicz, il sovvertitore della logica (il tipo che, ucciso, si rialza e riprende ad agire, come se fosse ancora vivo). Schulz, Bruno Schulz, Le botteghe color cannella, che mi affascina per l'intensità della scrittura, a tratti poetica». Scompaginare, dunque, disorientare, rivoltare cose e persone e destini, sottrarre peso all'universo mondo, nel caso al barnum sportivo. Lucio Klobas è un dinamitardo à rebours: bagnando le polveri da sparo, mescolandole con i chiodi di garofano di un umorismo mitteleuropeo, kafkiano, o semplicemente nascondendole in infernotti remoti, inaccessibili al mascherato popolo «decoubertiniano», fa esplodere le cortine di ferro: delle regole, dei riti, delle necessità epiche, delle sfide che segnerebbero un secolo o l'altro. E' una sorta di Buster Keaton, Lucio Klobas, vocato a tritare il pianeta in brache corte o, comunque, in divisa da record, e a inciampare nei detriti via via distillati. C'è la partita di football risolta in mezz'ora («nella successiva mezz'ora si è discusso del più e del meno»). C'è il nuotatore che, annoiato «nel ripetere aU'infinito, meccanicamente, sempre i medesimi sciocchi movimenti», sogna di «nuotare in verticale». C'è il ciclista «col viso sagomato dall'aria sfavorevole» che «gareggia in velocità con la propria bicicletta dandole notevole filo da torcere», L'ordigno di Klobas è il linguaggio, l'arte del pastiche simboleggiata nell'epigrafe gaddiana del Fuorigioco (rieccolo) di Arpino: «Si sa che si dice carota e si pensa patata», Che il «footbalb è linguaggio lo sapevano bene i Pasolini e gli Arpi no, i Brera e i Soriano. Che lo è il pallone elastico lo hanno rammen tato i Leopardi e i De Amici s. Che lo è il ciclismo lo ha mostrato Dino Buzzati. Che lo è il gioco degli scac chi lo ha affermato Stefan Zweig. La molla che ha condotto Klobas Fuori gioco, che lo ha sollecitato a scendere nell'agone? «H tennis da tavolo. Mi è capitato di seguire in veste di giornalista (un foglio di settore) la nazionale seniores, over 50: professionisti, cummenda, signori afflitti da una zoppia ora lie ve ora meno. Un giorno, d'improvviso, è sgorgato 2 primo capitolo: "Il tennis da tavolo è uno sport così leggero che in pratica non esiste Forse esistono (ma non necessariamente) i giocatori che giocano vaganti e smarriti nell'aria con palline immaginarie..."». Quale, in Fuori gioco, lo specchio che meglio riflette Lucio Klobas, la sua identità? «"Caccia alle volpe", laddove io sono la volpe. Con un distinguo: rispetto all'oleografia britannica sono inseguito da nessuno. E dire che mi piacerebbe». Per dare, finalmente, scacco agli ottusi, ai vanesi, ai damerini: «Della volpe vera resta nell'aria solo la volpinità che, come è risaputo, nessuno riesce ad afferrare». Bruno Quaranta TORINO CHE BRUCIA Gianni Farinetti Marsilio pp. 408 L 32.000 ASA nuova e romanzo nuovo. Gianni Farinetti, torinese, 43 anni, copy pubblicitario e romanziere, ha appena cambiato casa, si è trasferito in Borgo Po, in uno stabile del primo Ottocento. Intanto, mentre lui si districa fra scatole e scatoloni, Marsilio pubblica il suo secondo libro, L'isola che brucia. Il primo, Un delitto fatto in casa, uscito nell'estate del '96, quattro edizioni, 15 mila copie, gran successo di passaparola, premio Grinzane Cavour Opera Prima, venduto in Francia, Germania, Olanda, Danimarca, era ambientato nella ricca borghesia di Bra, con due morti ammazzati ira le Langhe e la Costa Azzurra. L'isola che brucia, tiratura di partenza diecimila copie, si svolge tutto nel perimetro chiuso di Stromboli: poche case fra il mare e il vulcano e alcune morti violente. Come già nel primo libro, anche nell'Isola che brucia c'è una schiera nutrita di personaggi. Accanto agli «ospiti per le vacanze», diverse facce della Sicilia: la principessa palermitana Consuelo o le sorelle Vancori legate ai riti ancestrali della terra, emigrati che ritornano da Broccolino, gente che ha fatto fortuna e chi ha stentato la vita intera. Su tutti si adagia uno sguardo affettuoso. Con salto antileghista di centinaia di chilometri, dalle nebbie piemontesi al sole estivo del Sud. Un posto carico di memorie cinematografiche: c'è il Bar Ingrid; la casa dove Rossellini e la Bergman soggiornavano durante le riprese di «Stromboli» nel '49 è ancora meta di pellegrinaggi. Farinetti l'isola la conosce bene, la frequenta da vent'anni. «Stromboli fu lanciata turisticamente dal film. I primi a comprare casa furono tedeschi, francesi e anche qualche italiano del Nord che approdò nei primi Anni Cinquanta. Tutti si innamorarono di quel posto praticamente deserto. Dopo l'esplosione del vulcano negli Anni Trenta c'era stata una massiccia emigrazione. Da allora molte case sono state ricostruite, ristrutturate, si è creata una comunità molto chiusa, stretta, ma anche piena di fervore. Una famiglia elettiva di amici che si scelgono per affi Nel mobilificio di Lia Celi parodia di stili e generi letterari, mescolati e stravolti con inserzioni dissonanti: ima famiglia delinquenziale, un salotto lirico, il fantasma «bagnato» di Seneca IDEA è quella di allestire una specie di mobilificio in cui un venditore accompagna i possibili clienti a visitare i vari reparti: cucine, bagni, salotti, camere da letto, (per adulti e per ragazzi). Le esigenze dei clienti possono essere le più varie, pertanto il venditore deve poter suggerire molteplici soluzioni. Il mobilificio, dunque, deve essere, o almeno sembrare, stipato di ogni sorta di mobilio, una specie di esposizione universale dell'arredamento. Ora, si sostituisca al venditore un narratore, al mobilificio il libro e ai clienti i lettori. Ciò IL CASSETTO NEL RACCONTO Lia Celi Sperling & Kupfer pp. 199 L 22.000 IL CASSETTO NEL RACCONTO Lia Celi Sperling & Kupfer pp. 199 L 22.000 che risulterà da queste sostituzioni sarà precisamente il volume di Lia Celi, giornalista e scrittrice satirica. Il suo singolare mobilificio è un repertorio di arredamenti narrati, e il narratore è coerentemente chiamato narredatore. Un arredamento narrato, naturalmente, è un racconto che ha come sfondo o come ambientazione o come ispirazione una certa parte funzionale di appartamento. l d d l l pppIl narredatore conduce in visita il lettore attraverso i reparti del mobilificio, che sono diversi racconti in cui l'estro umoristico dell'autrice ha modo di sguinzagliarsi in molteplici direzioni, la principale delle quali è la parodia di stili e generi letterari, mescolati e' stravolti con inserzioni dissonanti, da cui nasce la principale vena comica del libro. Parodia, contaminazione e rovesciamento sono carte collaudate dell'umorismo che la notevole verve di Lia Celi gioca con vivacità e sicurezza. Questa è la struttura, ma naturalmente sono numerosi gli inserti estemporanei, i frammenti sparsi (pezzi di racconti, cioè di mobili, improvvisazioni stilistiche come la lavatrice dannunziana) e gli interventi diretti dal narredatore chiamati a catturare al volo la battuta, anche la più gratuita, nel momento in cui questa si presenti, pur di non farsene scappare nemmeno una. Il gioco sostanzialmente riesce: il parallelo arredamento-racconto è una trovata che riesce a sostenere la narrazione, così come la voce del narredatore riesce a collegare fluidamente i vari episodi (i vari ambienti). La famiglia delinquenziale che sadicamente, per soldi, costringe il ragazzo adolescente a scrivere un romanzo pulp, il salotto segreto di una villa ereditata che impone alle persone che lo violano di esprimersi come libretti d'opera, il fantasma di Seneca che sgorga dalla vasca da bagno di un inquisito per suggerirgli il suicidio, sono solo alcuni degli spunti più riusciti del libro. Tuttavia la scrittura procede come se dovesse a ogni rigo infilzare per forza una battuta, un gioco di parole, una stilettata al costume (ma quale?), una caricatura di personaggio noto e un doppio senso scurrile. Forse si tratta di un imperativo che la scrittura satirica eredita da ritmi televisivi, o dal fatto che le pubblicazioni satiriche prese a modello sono quasi totalmente fatte, oltre che di immagini, di aforismi. Certo è che data l'ampiezza di un libro è estremamente difficile trovare e inventare un numero di arguzie e battute che possa reggere quel ritmo, soprattutto se si vuole salvare la qualità. Per un dobermann chiamato Bundesbank che strappa il sorriso, sono decine le battute troppo gratuite per non spegnerlo: il simpatico pornodivo che sogna una vita casalinga e abitudinaria, ad esempio, doveva proprio chiamarsi Dick Luccello? Esiste un livello basso, bassissimo del comico, che usato con consapevolezza può dare risultati notevoli e che magari è ricco di possibilità inesplorate. La battuta greve o disperatamente stupida o sentita migliaia di volte può sempre essere rivitalizzata da un uso non greve, intelligente, nuovo. E' un compito molto difficile, ma ce lo si può porre. Quando invece la battuta greve o squallida si mescola al gioco più sottile e complesso solamente per fare numero, per riempire un posto disponibile, allora qualcosa nel congegno umoristico segnala una difficoltà (qualcosa nel genere, non nell'autore o nell'autrice). Dario Voltolini CGDCT Come giustamente diceva il compagno Togliatti Sergio Lambiase edizioni e/o pp. 186. L 24.000 Sergio Lambiase, elogio del compagno di base che attraversa la storia Ira innocenza e incoscienza: gli Anni 50 dì Togliatti il '6S col «manifesto», l'incontro con Warhol in una Napoli senza folklore CGDCT Come giustamente diceva il compagno Togliatti Sergio Lambiase edizioni e/o pp. 186. L 24.000 ENTRO la Storia formicolano le storie minute che l'hanno nutrita (o subita). Prima che la Storia s'ingessi in Mito, le storie aiutano a tramandarne le contraddizioni e le scorie, le illusioni e i passi perduti, senza paludamenti e nostalgie. Il romanzo di Sergio Lambiase, CGDCT ovvero Come giustamente diceva il compagno Togliatti, è una di queste storie: almeno per la generazione che tra i '60 e gli '80 pensava (sognava) di cambiare l'Italia. Autobiografia antiepica di un militante di quella sinistra che veniva da lontano e avrebbe voluto andare lontano, prima galvanizzata, poi logorata dalla Politica. bliDario Fo e Franca Rame, il compagno di l L'alter ego Canio matura le tappe obbligate nella formazione di un comunista italiano Anni 50, la Fgci, il pei, le Frattocchie, Rinascita e II capitale (nella riduzione di Cafiero), Italia-Urss e 0 pellegrinaggio al mausoleo di Lenin, il travettismo del funzionario (propaganda, tesseramento, attacchinaggio, umili mansioni da «sbucciapatate del comitato federale»). Un universo autosufficiente, ivi compresi, naturalmente, amori e matrimonio («Gli enti locali continuano a darmi filo da torcere, disse Costanza mentre ero intento a succhiarle un capezzolo»). Ma non impermeabile alla modernità che avanza: può bastare un cinefonim (sotto l'egida del grande Caccioppoli), il passaggio di Zavattini e De Sica, Fellini e Mastroianni, l'idea (incompresa) che i cartoòns di Beep Beep o Speedy Gonzales letti in chiave antiimperialista forse funzionano meglio della Corazzata Potemkin per sottrarre le masse alla concorrenza (all'«incantesimo» televisivo) delle gemelle Kessler. E già cova la scintilla della fuga: inevitabile quando i carri armati invaderanno Praga. Microcosmo è una Napoli quanto mai sobria, che depura il folklore e rimuove i drammi (lontana mille miglia, per intenderci, dal Mistero napoletano di Ermanno Rea). Ma questa è la cifra di Canio-Lambiase: guardare al centro degli avvenimenti, ma stando ai margini, sottotono (come per dire: io c'ero ma non è rimasta traccia). E così sarà sempre. Negli Anni 70, con manifesto, Lotta di Lunga Durata e la fratricida galassia extraparlamentare, eskimo e rivoluzione al ciclostile («Che fa nella vita?». «Lavoro politico»), fabbrica e territorio, Grundrisse e Monthly Review: passa la Storia con Magri e la Rossanda, Dario Fo e Franca Rame, il compagno di base ascolta, osserva, esegue, «liturgie e vaniloqui», «a lume di naso fra ebbrezze e stupori». Così continuerà ad essere quando la Politica diventerà frusta («avevamo sacrificato le nostre migliori energie») e lascerà il campo all'Estetica, purché e comunque d'avanguardia («aderire mimeticamente a ciò che era nell'aria»): la poesia di Lucini e Ricciotto Canudo, l'arte di Twombly e Haring, Beuys e Warhol, a Napoli grazie all'amico gallerista Emilio (Amelio?), scarrozzati dal nostro Canio (e qui è più evidente il richiamo al felice esordio di Lambiase, Memorie di una guida turistica), anche loro spogliati d'ogni aura, «involontariamente comici». Come i politici di un. tempo, come il protagonista-autore, finito a fare il free lance per la Rai, a bazzicare convegni craxiani («la cultura è velocità») fino a ritrovarsi nei titoli di coda come simpatizzante di Rifondazione (con il figlio battezzato Karl multante pds e allevatore di struzzi). Ben altro è successo in tutta questa Storia, ma il nostro non se n'è accorto: nemmeno quando la Lotta si era fatta Terrore e le armi avevano preso il posto delle parole. Innocenza o incoscienza? Lui dice «ottusa vitalità». Canio non si sente Caino, non è un «rinnegato». La sua è stata una vita «gratuita», ha agito sempre con disinteresse. Non gli si può chiedere ora se ne è valsa la pena. Giudicherà la Storia. Lui era presente e tanto gli basta per raccontare la storia sua, in cui non pochi anonimi ex potranno ritrovarsi: in fondo, è stata, la loro «grande occasione». Come giustamente direbbe il già compagno D'Alema. Luciano Genta conosce bene, la frequenta da vent'anni. «Stromboli fu lanciata turisticamente dal film. I primi a comprare casa furono tedeschi, francesi e anche qualche italiano del Nord che approdò nei primi Anni Cinquanta. Tutti si innamorarono di quel posto praticamente deserto. Dopo l'esplosione del vulcano negli Anni Trenta c'era stata una massiccia emigrazione. Da allora molte case sono state ricostruite, ristrutturate, si è creata una comunità molto chiusa, stretta, ma anche piena di fervore. Una famiglia elettiva di amici che si scelgono per affinità, per stare insieme un mese all'anno. E' questa famiglia di ospiti la protagonista del romanzo». Una comunità complice che durante un assolato agosto è sconvolta da alcune morti violente. «Un'isola è un luogo interessante perché dopo un po' il mondo esterno tende a sparire. In più c'è lo straniamonto estivo, le giornate infinite, il gioco dei venti, i rituali: il bagno, asciugarsi al sole, la cena. Non si lavora, è un momento strano. Il sole cuoce tutti. E intanto il tempo passa». C'è un sentimento crepuscolare e nostalgico del trascorrere del tempo che domina parte del romanzo. «C'è malinconia per gli anni che passano. E per un mondo che finisce. Nel mio primo romanzo descrivevo la borghesia ricca di provincia, il sogno di una etema giovinezza spezzato dalla morte. Qui la morte è una presenza più costante: anche in un capodoglio che si arena sulla spiaggia, in una clematide rinsecchita, nel ricordo dei protagonisti. In contrapposizione al vulcano che è vita continua, comunica un senso di inquietudine, di insicurezza. Ma il pericolo non viene della natura, il pericolo più grande viene dalle persone che ti stanno intorno. Dal tradimento dei sentimenti». Sentimenti che si dimostrano una illimitata risorsa. L'amore omosessuale è presentato come una soluzione all'angoscia esistenziale in alcune coppie del romanzo. «L'amore omosessuale è una possibilità. L'errore sarebbe negarsi questa possibilità amorosa». Si ride anche molto nell'Isola che brucia, ci sono personaggi irresistibili. Il cavalier Persutto che non ha nulla da invidiare alla signora Usuelii del primo romanzo, Maria Grazia e Ornella deluse perché sull'isola c'è poco da cuccare. «Sì, vari tipi da spiaggia. Il sole a picco sulla testa fa esplodere iii dili pcretinaggini mondiali», Come cambia la vita di un pubblicitario che diventa romanziere? «Hai molti più inviti a cena. Fai molto meno la spesa». Sergio Trombetta