NEGLI INFERI DELLA FOLLIA FOUCAULT TROVO IL POTERE di Marco Vozza

IL CONSIGLIO IL CONSIGLIO di Marco Vozza NEL rendere omaggio alla figura di Piero Bigongiari, scomparso la scorsa settimana all'età di 83 anni, è stata rievocata in primo luogo la sua produzione poetica che lo annovera tra i massimi artefici della stagione fiorentina dell'ermetismo. Andrebbe però adeguatamente valorizzata la sua produzione saggistica, non soltanto quella di genere letterario, ma in particolare quella dedicata alla storia dell'arte, predilezione che lo accomuna a scrittori francesi quali Paulhan, Leiris, Butor, Ponge, Bonnefoy e Sollers. Dopo gli scritti raccolti nel 1980 sotto il titolo: Dal barocco all'informale (di cui ricordiamo almeno le pagine di smagliante nitore esegetico dedicate a Soutine, Morandi e a De Staél, oltre all'interpretazione dell'informale come transizione teorica dalla matière et mémoire bergsoniana all'antimateria del fisico Dirac), è stato recentemente pubblicato il Taccuino pittorico (ed. Moretti & Vitali, pp. 330,40 ili., L. 50.000) che è concepito come una jamesiana stagione delle mostre, l'elaborazione critica di occasionali esperienze percettive che la prosa di Bigongiari riesce a restituirci nella loro qualità di piacere gnoseologico dell'occhio e di enigmatica rivelazione dell'imperscrutabile. Questo appare particolarmente evidente nel modello che egli utilizza per l'interpretazione dei sogni: l'idea è che, durante il sonno, desideri rimossi di natura prevalentemente sessuale si facciano strada verso la coscienza superando a fatica la barriera della cosiddetta censura ma restando da questa inevitabilmente deformati, cosicché il prodotto finito, cioè il contenuto manifesto del sogno, risulta incomprensibile e il messaggio occultato deve essere recuperato attraverso una laboriosa opera di decifrazione. E' un'idea di affascinante macchinosità, attraente perché drammatica, ispirata a una concezione poliziesca della funzione della coscienza, e fatta su misura per la pruderie vittoriana: Freud bracca mister Hyde chiedendosi cosa c'è sotto la rispettabilità del dottor Jekyll ed inaugura così, insieme ad altri suoi illustri contemporanei, quella che poi Ricoeuer chiamerà 1'«ermeneutica del sospetto». Sarebbe facile ma illusorio pensare che per questo Freud sia un nemico radicale della mentalità vittoriana. In realtà, egli ne smaschera l'ipocrisia perché il rimosso, stanato dalla sua tana, possa essere meglio addomesticato e l'Io celebrare con maggior sicurezza i suoi trionfi. Malgrado questo, per Sigmund Freud visto da Levine 3 molti lettori superficiali, a cominciare dai surrealisti, Freud resta il liberatore delle energie istintive, l'instauratore della sfrenata modernità, è insomma il Dioniso della Berggasse. Ma torniamo ora ai suoi sogni. Ammirata ancora una volta l'efficacia dello stile, affabile, didattico, a volte garbatamente ironico, ciò che l'autoanalisi estrae dei testi onirici è costituito soprattutto da reazioni irritate a rimproveri, attuali o remoti, che lo accusavano di errori commessi o, più in generale, lo ritenevano incapace di compiere azioni meritevoli. Spesso, queste reazioni assumono la forma di vere e proprie vendette, come quando il padre, che una volta nell'infanzia aveva detto di lui: «Da questo ragazzo non verrà fuori niente», viene trasformato in sogno in un vecchio cieco, debole, impedito e ridicolo. Si tratta dunque, in gran parte di » pii,i t\3 7.5 l T sogni difensivi, in cui Freud si oppone in vario modo a dubbi, timori, accuse provenienti dall'esterno ma ancor più dalla sua stessa interiorità, relativi alle sue capacità. A ciò si accompagnano - ed è il tema di altri sogni - fantasie di autoaffermazione e di grandezza (per esempio, diventare professore) o anche l'egoistico compiacimento di essere riuscito a sopravvivere ai tanti amici defunti. Questo bisogno di immortalità, che si coniuga al desiderio di apparire dopo la morte «puri e grandi dinanzi ai propri figli», trova il suo limite nell'invidia per la gioventù, «che l'uomo avanzato in età crede di aver soffocato» ma che in realtà alimenta impulsi ostili verso le persone giovani. Quanto alle radici sessuali dei sogni, se ne trova qua e là qualche timido accenno, giacché Freud invoca più volte, in vario modo, «il riserbo che si ha per ogni sogno personale». In definitiva, Freud mostra in questi sogni soprattutto perplessità e incertezze che hanno a che fare sia con la sua posizione sociale sia con la verità delle sue teorie. E' questa nascosta fragilità e insicurezza che, compensando il suo abituale piglio assertivo, ce lo rende particolarmente vicino. Che poi questi sogni significhino veramente ciò che Freud vi trova, è altra questione, che tocca il suo metodo interpretativo, ed è stata più volte discussa. Del resto, ai freudiani troppo ortodossi andrebbe ricordata la frase del Maestro che, relativizzando le sue stesse posizioni, si riallaccia alle radici romantiche della speculazione sul sogno: «Ogni sogno ha perlomeno un punto di insondabilità, quasi un ombelico attraverso il quale è congiunto all'ignoto». Augusto Romano NEGLI INFERI DELLA FOLLIA FOUCAULT TROVO' IL POTERE MALATTIA MENTALE E PSICOLOGIA Michel Foucault Cortina pp. 101 L. 15.000 MALATTIA MENTALE E PSICOLOGIA Michel Foucault Cortina pp. 101 L. 15.000 NA folgorante intensità segna le pagine di Malattia mentale e psicologia, operetta poco nota che si trova agli esordi della produzione intellettuale di Foucault e ha conosciuto due edizioni estremamente diverse tra loro. Laureato in filosofia nel 1948 alla Sorbona, diplomato in psicopatologia nel '52 e subito dopo assistente di psicologia alla facoltà di lettere di Lille, nel '54 Foucault scrive e pubblica, su richiesta di Louis Althusser, Maladie mentale et personnalité (la versione italiana è comparsa su «Scibbolet», 1994-1997). La seconda e definitiva edizione di questo testo esce con un altro titolo Maladie mentale etpsychologie - nel '62 per le Presses Universitaires de France. Il primo testo è quasi contemporaneo all'importante saggio con cui il giovane filosofo presenta la versione francese di Traum und Existenz di Ludwig Binswanger ma viene dimenticato e quasi «rinnegato» dall'autore, che riconoscerà come suo primo libro filosofico soltanto YHistoire de lafolie à l'age classique, che è del '61. Nelle due edizioni del '54 e del '62 resta quasi immutata la prima parte, dedicata alle dimensioni psicologiche della malattia, in cui Foucault espone le teorie che si ispirano all'evoluzione organica, alla storia psicologica e alla situazione esistenziale dell'uomo nel mondo. Cambia invece profondamente la parte successiva su follia e cultura, cade il capitolo dedicato a Pavlov e alla riflessologia e su questa scomparsa attira l'attenzione Fabio Polidori nella sua lucida e ricca introduzione. Foucault aveva sperato in un'analisi «realmente materialista» delle malattie attraverso la fusione tra fisiologia e psicologia, tra oggettivo e sog¬ gettivo per superare la contraddizione tra corpo e coscienza. Ma nel testo del '62 al concetto di alienazione storica dell'uomo sostituisce l'ipotesi del rapporto impossibile, dello scjuilibrio profondo tra psicologia e follia. La malattia mentale si rivela come foiba, alienata e inattingibile dallo sguardo della psicologia che l'ha creata. H sapere medico e psicologico, quello stesso che ha internato i folli ed escluso la foiba e l'alterità, ne ha dimenticato e soppresso gli elementi di libertà, è u tema che regge l'Histoire de lafolie, l'analisi che demistifica i procedimenti delle pratiche scientifiche. Il testo del '62 sottolinea la verità ontologica della follia e mette in luce il mito della follia essenziale, che nella sua natura originaria precede le esperienze storiche dell'uomo e apre uno spazio al suo linguaggio tragico e alle sue fondamentali verità. La psicologia si salverà «solo con un ritorno agli inferi», Nietzsche e Heidegger sostituiscono i riferimenti al giovane Marx. Accanto all'opera maggiore, Malattia mentale e psicologia inaugura un modo di ricerca e di analisi in chiave genealogica delle forme storiche del potere. Non vi mancano altri spunti di grande interesse sulla relatività del fatto patologico. Valore e realtà della malattia mentale esistono solo all'interno di una cultura che la legittima e le riconosce un ruolo sociale. «La paziente di Janet che aveva le visioni e presentava le stigmate sarebbe stata, sotto altri cieb, una mistica visionaria e taumaturga». La malattia per Foucault, consiste nella deviazione e nello scarto, diagnosi ed esclusione del malato coincidono. Ma come accade che la nostra società si sia espressa «in quelle forme patologiche nelle quali rifiuta di riconoscersi»? l d idl l fll qNel mondo occidentale la follia era stata vissuta allo stato Ubero e aveva conosciuto un'estensione non bisognosa di supporto Michel Foucault Delacroix, "Faust e Mefistofele" IL MALE E' OGGI LA NOSTRA APATIA? Dal Faust a Zarathustra LA STRANA CREATURA DEL CAOS Eugenio Spedicato Donzelli pp. 182 L. 35.000 LA STRANA CREATURA DEL CAOS Eugenio Spedicato Donzelli pp. 182 L. 35.000 AUDELAIRE, più di un secolo fa, poteva ancora dire al lettore ipocrita dei suoiFleurs du mal: «Regge il diavolo i fili che ci muovono!». Oggi Belzebù è più che mai ridimensionato: frequenta riti satanici per psicotici selezionati o magari cerca un'impossibile redenzione in un film di Benigni. E' diventato veramente •piccolo « non fa più paura a nessuno. Il male bisogna cercarlo altrove: dentro di noi o fuori nella realtà, fra guerre violenze distruzioni. E, perché no, perfino in dotte tavole rotonde. Ne hanno organizzata una anche a Lech, nota stazione di villeggiatura del Voralberg austriaco. Così in alto, vici' no al cielo, il demonio non era ancora salito. E per vederlo in faccia c'è andato anche il settimanale Die Zeit. Ne è venuto fuori un ampio servi zio pubblicato recentemente, ma non il demonio. Lui ha mandato i suoi esegeti, fra cui Rùdiger Safranski, noto anche da noi per una biografia di Schopenhauer e autore di un ampio volume fresco di stampa presso l'è ditore Hanser di Monaco, Dos Bòse oder das Drama der Freiheit. Cioè: Il male ovvero il dramma della libertà. Il filosofo Schopenhauer rifletté, a suo tempo, sull'inesattezza della malvagità proponendo come antl d il ll l medico, solo dopo il 1650 si identifica con l'universo dell'internamento, si collega con l'affermarsi del mondo industriale e borghese e dunque con l'obbligo del lavoro e subisce il rigore del controllo sociale e morale. La foiba finisce allora per coincidere con il mondo della interiorità e dei valori morab e assume lo statuto del peccato e della colpa attraverso l'imposizione di un significato psicologico. Rovesciando l'equazione tradizionale, per Foucault la psicologia non può comprendere la fobia e anzi, con la sua stessa esistenza, ne offusca il rapporto con l'esperienza dell'«Insensato e della Sragione», che i secob precedenti avevano messo in valore. Con l'avvento del sapere positivo l'esperienza fondamentale del negativo e dell'Insensato si tramuta in malattia, in fenomeno di natura e la fobia - molto più «storica» ma anche più «giovane» di quanto abitualmente si creda viene esclusa dal dramma e scompare nel silenzio. Delia Frigessi doto il nulla. Dunque la strada del male per il critico era spianata. E poi Safranski, da buon tedesco, non poteva dimenticare il Faust goethiano. «Sono lo spuito che sempre dice no», è il bighetto da visita di Mefistofele appena entrato in scena. E continua: «MegUo sarebbe che nulla nascesse. / Così tutto quello che dite Peccato / o Distruzione, Male insomma, è il mio elemento vero». Sembra la sorgente del nichilismo, e invece alla fine è l'essere e non 0 nulla ad aver la megbo. C'è in Mefistofele una segreta fiducia nella realtà mondana, che trasmette al vogboso Faust. Ma il male, allora? Confina con tutto ciò che sa di minaccia, ricorda Safranski: l'elemento barbarico, caotico; la violenza, il vuoto angosciante dentro e fuori di noi. Il male come avventura e rischio deUa libertà. Che è il tema stesso deU'uomo dal peccato originale in poi. Nel libro di Sanfranski tutto ciò ha il pregio di tradursi in un racconto filosofico-letterario sui grandi miti, sulle strategie del cristianesimo come deU'iUuminismo, sul fascino del male nell'arte, sulla fobia nazista. Un filo teso sull'abisso, su cui traballa l'uomo-funambolo. A guardar giù da quell'altezza può anche darsi che gli venga il dubbio, come a Joseph Conrad, che «il fine deba creazione non sia proprio di natura etica». L'urlo di Kurtz nel finale di Cuore di tenebra nasce da un abisso in cui l'esistente non ha più senso. E l'esperienza deU'assurdo in Camus, che Sartre ha formulato con altre parole: «L'uomo è l'essere tramite il quale il nulla penetra nel mondo». E solo pochi anni fa Hans Jonas ripropose il problema in termini di teodicea: «Dopo Auschwitz possiamo e dobbiamo affermare con estrema decisione che una Divinità onnipotente o è priva di bontà o è totalmente incomprensibile». Gb orrori del nostro secolo hanno reso attuali e drammatici gb interrogativi sul migliore dei mondi possibili e su quella «giustizia di Dio» che Leibniz difese nei Saggi di teodicea del 1710. Chi vogba ripercorrere questo cammino dal secolo dei Lumi ad oggi può servirsi deU'ottimo libro di Eugenio Spedicato, La strana creatura del caos uscito presso Donzelh. L'autore è sì germanista, ma con un robusto coté filosofico Il male viene storicamente e culturalmente rivisitato attraverso gb iUuministi, l'ideabsmo tedesco, alcuni outsider deUa letteratura, come Kleist e Bùchner, per arrivare, attraverso Nietzsche, a Tho mas Mann, Hesse e Max Frisch. Una scelta che trascura forse un po' troppo i romantici, che con i demoni ci andavano a nozze, ma che si giustifica con rigore e chiarezza e, vivaddio, con un linguaggio leggibile e chiaro. Il percorso è accidentato e Leibniz ha fatto di tutto per renderlo meno gravoso. Non ultimo con un elogio deUa hbertà che governerebbe i destini umani. Sappiamo che non è sempre così, ma come non tentare di dargb ragione? Ci penseranno in tanti a declinare quest'idea: da Gottsched a Rousseau, da Herder a Jean Paul. E poi lo stesso Kant, la cui teoria del male fa leva sul principio moderno deb'autonomia del soggetto. Qualche correttivo però ci voleva: Voltaire scorge nel mondo un palese disordine; Hobbes si rifugia nel pessimismo del potere e Mandevihe con la nota favola debe api, mette a fuoco la società competitiva. «Le api arricchiscono se stesse, - racconta - aumentando la febcità del regno, ma a spese del prossimo...». Un male che sa di Itaba Anni Ottanta più che di metafisica. Se poi si vuol capire la grande rivoluzione contemporanea bisogna passare attraverso Nietzsche, il filosofo che capovolge la cristiana ascesi deUa sofferenza, l'elogio dell'anima, la demonizzazione del corpo. Il male diventa il genio della civiltà, U principio dinamico deba trasvalutazione di tutti i valori e l'arte lo accogbe, lo metabobzza, lo viviseziona nelle profondità deba psiche. Di fronte alla modernità Adorno ha ricordato che «non c'è più bebezza e conforto se non nebo sguardo che fissa l'orrore, gb tiene testa...». Un'ibusione moralmente forte che oggi sempre più si snatura neb'mdifferenza. Chissà se siamo ancora tutti angeb e mascalzoni, come dice un personaggio di Buchner, e non invece apatici di fronte a tutta la violenza che il mondo dei media ci porta a domiciho. Luigi Forte

Luoghi citati: Mefistofele