TOURNIER Un emulo di Mosè nel Far West

TOURNIER TOURNIER Un emulo di Mose nel Far West ELEAZAR ovvero La sorgente e il roveto Michel Tournier traduzione di Idolina Landolfi Garzanti pp. 99, L 20.000. NDICI anni dopo La goccia d'oro, Michel Tournier torna al romanzo, o meglio pubblica sotto il nome di romanzo una versione ridotta e aggiornata della storia di Mose. traduzione di Idolina Landolfi Garzanti pp. 99, L 20.000. Siamo in Irlanda nella prima metà del XIX secolo. Rispondendo a una forte vocazione religiosa, un giovane pastore di pecore, Eleazar, diventa pastore - protestante - di anime, sposa una cattolica zoppa che suona divinamente l'arpa celtica e inizia con lei una vita morigerata e serena. Una sera però, nel generoso tentativo di difendere un ragazzo crudelmente punito, commette un assassinio. In preda alla paura e al rimorso, decide allora di unirsi alla folla di suoi connazionali che la grande carestia del 1845 spinge ad emigrare. Con la moglie Esther e i figh Benjamin e Coralie, s'imbarca a Cork, dopo quaranta giorni di navigazione arriva a Portsmouth e da lì, colpito dall'assonanza che il suo nome ha con quello della biblica Canaan dove il latte e il miele scorrono a fiumi, si mette in marcia verso la California. Da tempo la quotidiana frequentazione della Bibbia gli aveva rivelato sorprendenti analogie tra il suo povero destino di uomo di fede e quello grandioso di Mose: la sua condizione di protestante in terra cattolica poteva assomigliare a quella del profeta ebreo in terra d'Egitto; analoghe erano state le circostanze del delitto che entrambi avevano commesso; la carestia e l'epidemia che avevano prostrato l'Irlanda ricordavano le piaghe d'Egitto e i quaranta giorni della traversata potevano equivalere ai quaranta giorni trascorsi da Mose sul monte Sinai. Adesso che è arrivato nel deserto del Colorado non ha più dubbi: la sua storia personale è «fortemente attratta, forgiata e dotata di significato dal destino del profeta, così come un mucchio di lunatura di ferro prende ordine e direzione in forza del campo ma- Eleazar, pastore di pecore, lascia la sua Irlanda per cercare in California la Terra promessa Eleazar, pastore di pecore, lascia la sua Irlanda per cercare in California la Terra promessa gnetico di una calamita». Non è così sciocco ed empio da credersi Mose, ma sa che come lui, per uno dei meno comprensibili decreti di Javèh, non potrà avere accesso alla Terra promessa dove sarà comunque riuscito a condurre la sua gente. A lui - e per suo tramite ad un Tournier che da reinventore e manipolatore di miti si è trasformato in esegeta biblico - questo divieto che tanti studiosi hanno visto come iniquamente punitivo appare come un supremo atto d'amore: Javèh chiama a sé il suo profeta prediletto perché con lui vuole restare, risolvendo d'imperio il conflitto tra il sacro, simboleggiato dal roveto ardente, e il profano, rappresentato dalla sorgente, che lo teneva in bilico tra Dio e il popolo ebraico. E la stessa soluzione salvifica sigillerà - toute proportion gardée - anche il destino del suo emulo ottocentesco che dalla terra d'acque della sua infanzia è approdato all'arsura del deserto americano. Non so quanto questa interpretazione possa convincere i biblisti. Certo non basta - come non bastano gli altri frequenti ma più occasionali riferimenti all'Antico e al Nuovo Testamento - a dare un senso alla curiosa impresa di trasporre la storia di Mose tra l'Irlanda e il Far West. E non tanto perché le analogie tra la vicenda biblica e l'avventura western sono spesso forzate e sempre manifestamente didascaliche, quanto perché, oltre a non gettare alcuna nuova luce sul profeta, privano di vita autonoma questa sua spaesata e improbabile reincarnazione che aveva, almeno in francese, un nome ricco di promettenti omofonie (et les hasarde, ailé hasard). Il tutto poi è raccontato con grande parsimonia di mezzi; i personaggi sono poco più che sbozzati, le vicende velocemente riassunte, le dispute di fede appena accennate, i problemi religiosi trattati per sommi capi. Più che un romanzo di Tournier sembra di leggere il copione di un film che solo John Ford avrebbe potuto girare. E' da molti anni - praticamente da quando si è sobbarcato alla fatica di tradurre il suo Venerdì o il Limbo del Pacifico nel meno torbido e complesso Venerdì o la vita selvaggia - che il romanziere insegue una trasparenza tematica e una linearità stilistica che non gli sono congeniali. La sua massima ambizione è, per sua esplicita dichiarazione, quella di essere non tanto uno scrittore per bambini, quanto l'autore di testi che un bambino di dieci anni non abbia difficoltà a capire. Con questo ultimo romanzo che è dedicato alla piccola Coralie - deve esserci finalmente riuscito. E poco deve importargli se i suoi lettori meno giovani in tanto grigiore vedono solo maridimento o furia autopunitiva e cercano di aggrapparsi a qualche rara prova l'«estasi forica» del pastore che stringe tra le braccia l'agnellino appena nato; il vezzo delle opposizioni binarie (cattolicesimo-protestantesimo, nomadi-sedentari, roveto-sorgente); la massima folgorante di uno pseudo-Silesio: «Il caso è Dio quando viaggia in incognito» per cancellare il sospetto che si tratti semplice mente di un ca so di omonimia Gianni Riotta, scrittore segnato fortemente dalla sua esperienza di giornalista in America, si immerge come mai prima d'ora nella Sicilia natale L'ISOLA DELLA GUERRA Riotta: manovre di Sicilia PRINCIPE DELLE NUVOLE Gianni Riotta Rizzoli pp. 274 L. 28.000 Giovanni BogHolo «Principe delle nuvole»: un colonnello fra contadini ribelli e banditi assoldati dagli agrari PRINCIPE DELLE NUVOLE Gianni Riotta Rizzoli pp. 274 L. 28.000 «Principe delle nuvole»: un colonnello fra contadini ribelli e banditi assoldati dagli agrari I promette come un romanzo stendhaliano di giovinezza e avventura, ripiega sul sentimento dello scacco protetto da un amore occiduo^ per impennarsi in cadenze epico-populistiche e rivelarsi poi una originale riflessione sulla vita e sulla storia. Mi riferisco a Prìncipe delle nuvole, il romanzo con cui Gianni Riotta, uno scrittore segnato fortemente dalla sua esperienza di giornalista in America, si immerge come mai prima d'ora nella Sicilia natale. A unificare temi e situazioni stilistiche è la figura del personaggio principale, un colonnello che porta come un blasone il nome di Carlo Terzo. Studioso di arti militari, lo sorprendiamo ad apertura di libro mentre gioca di fioretto, e non solo metaforicamente, con un giovane amico, il tenente Amedeo Campari. Cerca di convincerlo, tra una stoccata e l'altra, che la guerra può essere affrontata nella sua insensatezza con una logica ferrea. C'è una strategia che permette di affrontare il nemico, e qualsiasi avversità, con ragionevoli possibilità di successo. Svetta tra i suoi modelli il generale Desaix che, resistendo alle avventatezze di Napoleone, gli regala morendo la vittoria di Marengo. Scoppia la seconda guerra mondiale, e mentre l'animoso tenente parte per il fronte il colonnello sarà costretto ad imboscarsi allo Stato Maggiore come storico della guerra. Glielo ha imposto Galeazzo Ciano che, invece di approfittare delle sue qualità di studioso, vede in lui il celebratore dei futuri trionfi. La sconfitta passa come un vento alto sulle sue carte e mappe senza scompigliarle. Sposato, è la parola giusta, da una contessa russa che ha un passato di trame spionistiche e mondane, si ritira a Palermo; ma continua a essere ossessionato dalle mosse dei grandi condottieri, da Alessandro a Montgomery, in una radicalizzazione estrema dell'«histoire bataille». La sua è una vera e propria mania citazionistica che la moglie asseconda con tenerezza e humor, cercando di svilupparne il seme di nobiltà. La svolta avviene quando i due conoscono Salvatore, che sembrerebbe destinato all'Accademia Militare mentre, da un lato coltiva ardentemente la poesia, e dall'altro si appassiona alle lotte dei contadini siciliani per ottenere terra e libertà. Salvatore ama Fiore, figlia di una proterva signora del feudo. Ed ecco che il severo militare, la disillusa contessa colpita da un male che non perdona, vengono trascinati dalla forza vitale, idealistica e amorosa, dei due ragazzi. Quando si trovano coinvolti casualmente in una battaglia tra contadini ribelli e banditi assoldati dagli agrari, il colonnello realizza il suo capolavoro. Prende il comando dei suoi protetti, si espone al fuoco e si procura il morto che gli è mancato nella guerra grande. Soprattutto, quasi applicando una epitome delle più celebri battaglie della storia (e dettando con involontario umorismo i suoi «commentari» a Salvatore) impedisce che i contadini vengano sterminati. Ha scoperto che gli amici hanno sufficienti ragioni per vincere, per trasformare in arma la loro sofferenza; quello che è mancato all'Italia fascista e all'amico Campari scomparso nella ritirata di Russia. Certo, le perdite risulteranno dolorose, le ferite ^guaribili, ma il colonnello non può più dire che la vita gli è passata accanto ignorandolo, e insieme alla freddezza del razioci¬ nio apprezzerà anche le risorse dell'entusiasmo, di una «poesia» che ha confortato i passi di Salvatore, baudelairiano «principe delle nuvole». Il racconto, che la pedanteria del colonnello vorrebbe rallentare, sfila spedito e incalzante, ricco di colpi di scena, al limite del feuilleton (lo smascheramento della padrona del feudo). Così, l'effusa tenerezza che circonda i due innamorati e la naturale bontà dei contadini ribelli, quel tanto di manieristico che li connota, trovano la loro giusta misura nel sempre alluso distacco dell'intelligenza. Sul finire del libro, il colonnello e Fiore, seduti al tavolino di un bar, ricapitolano le vicende di cui sono stati testimoni e attori. Ad ascoltare quella che definirà una «storia incredibile» è un corpulento signore che solleva il capo dai fogli sui quali sta scrivendo. E' facile ravvisare in lui Tornasi di Lampedusa, riusciamo a intravedere sulle sue carte l'incipit del «Gattopardo». Il principe, sedotto e presumibilmente commosso da quello che sente, è tuttavia incatenato a una storia diversa. Che si intuisce inevitabile come un prodromo, come un disincanto che dura. Lorenzo Mondo Fulvio Tomizza autore di «Franziska», romanzo ambientato negli anni che seguono la fine della prima guerra mondiale Sullo sfondo, Trieste, percorsa da sussulti irredentisti UN UFFICIALE PER FRANZISKA Tomizza: un amore Anni Vènti FRANZISKA Fulvio Tomizza Mondadori pp. 22S L. 27.000 Una ragazza slovena, un tenente non più giovane, un 'unione che. d'improvviso sfuma FRANZISKA Fulvio Tomizza Mondadori pp. 22S L. 27.000 Una ragazza slovena, un tenente non più giovane, un 'unione che. d'improvviso sfuma REDO che la misura autentica di Fulvio Tomizza sia quella della narrazione di vicende minori di personaggi marginali rispetto alla storia nella quale, anche senza la loro volontà, sono coinvolti, ma che, proprio per tale condizione, meglio rilevano nei caratteri e nelle pieghe segrete di passione, di idealità, di inganno, di sopraffazione. Tomizza si avvale di minimi e occasionali documenti, come, in Franziska, un gruppetto di lettere indirizzate a una ragazza di San Daniele del Carso negli anni che seguono la fine della prima guerra mondiale da un ufficiale italiano, di Cremona, di cui è innamorata corrisposta, con l'aggiunta di qualche lettera di un altro ufficiale in quanto amico e supcriore del primo, e della ragazza stessa. Franziska nasce nelle primissime ore del 1° gennaio del Novecento: o, meglio, con qualche astuzia della levatrice, è fatta venire alla luce proprio nel momento opportuno perché possa godere del dono che l'imperatore Francesco Giuseppe ha promesso a tutti i nati, entro il suo impero, nell'istante dell'inaugurazione del secolo, insieme con il proprio padrinato di battesimo. Franziska è slovena e, fin da bambina, sperimenta vantaggi e svantaggi del privilegio che ha avuto alla nascita. Le muore la madre per le sofferenze del parto protratto; ha un battesimo solenne e l'invidia delle coetanee; viene allevata presso il castello di un'anziana baronessa, vedova di un ufficiale di marina austriaco, morto a Lissa, e ne ha un po' di istruzione e anche un poco di affetto, finché scoppia la guerra e la baronessa ritorna in Austria. Fino a questo punto, la parte dell'invenzione è presso che assoluta. Con la guerra e la conquista italiana di Gorizia si ha il primo incontro della ragazza, diventata molto bella, con il tenente Nino Ferrari, che diventerà l'unico e deluso amore della sua vita. Ma è appena un istante. Franziska, con il padre e con la zia, si trasferisce a Trieste, percorsa da sussulti irredentisti, ottiene, con l'appoggio della parte slovena della popolazione, un impiego nell'amministrazione ferroviaria; e, quando gli Italiani entrano in Trieste nel 1918, alla fine della guerra, proprio lì reincontra 0 tenente Ferrari. Tutta la parte più specificamente storica della narrazione, con la descrizione di Trieste negli ultimi tempi austriaci e nei primi italiani, è la più debole: troppo esplicativamente pedagogica. sempre i momenti più sordi nel racconto, che si risolleva nelle pagine conclusive, con Franziska che ritorna a San Daniele per accompagnarvi nello sfollamento i due figli L'opera ha un deciso e decisivo scatto verso l'alto nel racconto dell'amore fra il non più giovane e abbastanza ricco ufficiale e Franziska: rispettoso, ma vivamente avvinto dalla bellezza della ragazza e dalla sua semplicità limpida e tuttavia appassionata, l'uomo; combattuta fra ritegno e ardore dei sensi la ragazza. Tutto si svolge secondo le regole del tempo: Nino è presentato al padre di Franziska, e questa è, per lettera, annunciata alla famiglia di Nino. Nino cerca di insegnare a Franziska l'italiano, fa venire a Trieste la sorella per farle conoscere Franziska, tutto sembra andare per il meglio; ma Nino si ammala, e, guarito, ritorna in famiglia a Cremona, trascorre ancora una villeggiatura con i suoi e con Franziska al mare, quasi come preannuncio di matrimonio, ma poi, di colpo, l'uomo si stacca, scrive alla ragazza una lettera in cui dichiara la sua impossibilità, per la salute declinante e l'età, di sposarla; e più non risponde alle lettere di lei. Di nuovo, ogni tanto, ritornano inserti storici, a proposito dei contrasti fra Sloveni e Italiani e all'instaurazione del fascismo violento e prevaricatorio. E sono sempre i momenti più sordi nel racconto, che si risolleva nelle pagine conclusive, con Franziska che ritorna a San Daniele per accompagnarvi nello sfollamento i due figli bambini dell'avvocato sloveno presso il quale lavora. Viene cosi fuori la doppia e divisa condizione della donna, profondamente emozionata dall'attentato a un autocarro di soldati italiani a opera dei partigiani sloveni, nel 1943, ma poi pronta a nascondere e salvare un partigiano sloveno durante mi rastrellamento militare. Diventata rigida, severa, nella rinuncia a vivere dopo l'amore fallito, Franziska non dimentica l'ufficiale italiano che l'ha amata e un poco l'ha fatta italiana, ma non rinnega, come, del resto, mai ha fatto, la nazionalità slovena. Ma tutta la vicenda privata dei due sposi mancati, e l'illuminazione delle ragioni di timore di vivere di Nino e di passione autentica di Franziska, sono narrati da Tomizza con perfetta misura e grande discrezione. In realtà, la storia minore non dà lumi sulla storia maggiore, anzi ne è l'alternativa. Metterle troppo a contatto e intrecciarle al di là di quanto effettivamente i minimi personaggi della vita possano sopportare, finisce con il rendere qualche stridore e incongruità. Giorgio Bàrberi Squarotti •V*