Ad Algeri, la città morta

IL LUNGO MASSACRO IL LUNGO MASSACRO Per timori di attentati integralisti chiusi i mercati, gli stadi, ai camion è vietato circolare Ad Algeri, la città morta Alle urne fra stragi, veleni e orrore ALGERI DAL NOSTRO INVIATO Il quartiere delle ambasciate si chiama El-Biar, guarda la baia di Algeri dall'alto. E' in una zona che si erge sdegnosa da una cintura di palazzi popolari e da essi si separa attraverso strade sbarrate, gruppi dell'antiguerriglia in tute color sabbia. Una zona sicura, insomma: eppure anche lì l'altra sera tintinnavano i campanelli. Spirava un vento leggero, mentre le auto scendevano attraverso i vicoli quel suono diffuso alimentava suggestioni: Algeri «la bianche», l'atmosfera estenuata della sua baia, l'architettura civettuola dei palazzi. Mancava il profumo di gelsomino, ma in cambio negli abitacoli si spandeva il tanfo dei lubrificanti per mitra. E a domanda dello straniero, il solito drappello della «securité» in servizio di scorta ha spiegato sarcastico che quelle migliaia di campanelli sono altrettanti sistemi di allarme. Alle finestre, ai balconi, ai muri di cinta dei giardini centinaia di famiglie hanno fissato reti fitte di quei piccoli rivelatori. Altri riesumano vecchie sirene da fabbrica, campanacci, clacson collegati a batterie: tutto quel che può segnalare un'intrusione, tutto quel che può servire per chiedere aiuto. Sono metodi antichi, ma quando l'orrore ti arriva sotto casa, l'assedio dei fantasmi scatena le fobìe, anche la risposta si fa ancestrale ed una ronda di vicini armata di coltelli sembra più protettiva di un reparto della milizia schierato cento metri più in là. Fra tre giorni in Algeria si vota per rinnovare le amministrazoni locali: meglio, per ricrearle con verniciatura democratica dopo l'azzeramento compiuto cinque anni fa dai militari. Dovrebbe trattarsi di elezioni in tono minore, almeno rispetto a quelle di tre mesi fa - le prime consultazioni politiche dopo il colpo di Stato del'92 - ed invece il clima appare tesissimo. Dicono che per rintracciare memoria di una simile atmosfera ci vorrebbe un salto all'indietro di quasi quarant'anni: raccontano che i giorni che precedettero la battaglia d'Algeri furono preceduti da un silenzio analogo, pietrificati da una simile cappa di terrore. Chissà se è vero. Chi non ha vissuto quei giorni può solo constatare che rispetto a soli tre mesi fa i controlli si sono fatti spasmodici, le misure di sicurezza sfiorano lo stato d'emergenza e la capitale appare vuota, rinchiusa, come avvitata nella psicosi. Le ultime stragi integraliste hanno sfiorato Algeri, le donne e i bambini sgozzati non erano più contadini dell'interno ma gente delle «banlieues». L'altra mattina a Ben Akhnoun, zona semi- Ai finescinta mcampansistema centrale, una bomba è scoppiata di fronte ad un fast-food. Venerdì hanno disinnescato un ordigno di tre chili piazzato in una moschea all'ora della preghiera. Gli interventi decisi ieri dal governo spiegano da soli la gravità della situazione. Oggi in Algeria non si fa la spesa: tutti i mercati resteranno chiusi per cinque giorni. Oggi non si fa sport: anche gli stadi restano serrati fino a dopo le elezioni. Oggi non si circola, una lunga serie di strade restano chiuse dentro ed intorno alle città per questioni di sicurezza. Per cinque giorni almeno, non si lavora nell'edilizia. I grandi camion che trasportano sabbia o cemento non potranno circolare. Fu con mi camion, un grosso camion francese imbottito d'esplosivo che nel gennaio del '95 un commando suicida portò a termine l'attentato contro la cen¬ trale di polizia (42 morti e più di 300 feriti). L'elenco delle cose che nell'Algeria di oggi non si possono fare sarebbe ancora lunghissimo. Eppure, almeno in questo momento, i trenta partiti che da giovedì si contenderanno 1500 municipalità e 48 province paiono propensi a parlare d'altro. I giornali di regime, le poche voci dell'opposizione sono concordi almeno su un punto: nessuno si sarebbe aspettato una campagna elettorale così modesta. «Le elezioni nella capitale si vincono a Rais, Bentalha, Beni Massous», scrive «La Tribune». Chi negli ultimi giorni avrà il coraggio di recarsi nelle aree di periferia, chi sarà più convincente nel promettere sicu¬ rezza prenderà più voti, o almeno trascinerà gli elettori fuori casa. Tre mesi fa, nell'affluenza al voto Algeri ha avuto la più bassa percentuale del Paese, appena il 47 per cento. Adesso la mmaccia si è fatta più vicina, paura o di¬ sinteresse potrebbero avere effetti ancora più devastanti. Eppure a suggerire cautela, a creare questo stato di sospensione perfino nella politica contribuiscono elementi diversi. Una serie di segnali che lasciano immaginare una svolta, iniziative che danno il senso di un mutamento. Nessuno ancora ha potuto coglierlo nei fatti eppure ci sono coincidenze che cominciano ad assumere significato. E' mia storia, questa, che s'inizia con un evento in apparenza illogico. Ai primi di agosto, dopo una serie di incontri più o meno segreti coi militari una delle due grandi organizzazioni terroristiche del Paese, l'«Ais» (l'«Armée islamique du salut»), getta le basi per una tregua che sarà formalizzata solo il primo di ottobre. Alla fine dello stesso mese l'altra metà della galassia clandestina islamica, il «Già», lancia la più feroce campagna di terrore cui l'Algeria di questi an- ni sia stata sottoposta, e fa giungere le stragi lino alle porte della capitale. Cos'è successo? Il «Già» si sente più isolato, è chiaro, ma scatena i suoi sgozzatori in un'area (quel triangolo compreso fra il Sud di Algeri, Blida, Larba) dove le incursioni sono più pericolose, più massiccia è la presenza dell'esercito. La notte fra il 27 ed il 28 agosto, quando a Sidi Moussa gli integralisti sgozzeranno quasi duecento civili, la caserma dell'«Armée» è a pochi chilometri eppure nessuno interviene. La persona che ci spiega tutto questo non ha alcuna ragione per esporsi, però continua un ragionamento che apre qualche spiraglio di comprensione. «Uno degli errori più grandi che si compiono in Europa è di considerare la galassia integralista come organizzazione monolitica». La divisione fra "Ais" e "Già" dimostra che tutto ciò è falso, ma falso è anche ritenere monolitico il potere dei militari. Anche fra loro, all'ùitemo dei loro gruppi d'affari le fazioni si combattono. Tutti sanno ad esempio che la linea dura, quella di chi vorrebbe sradicare "t.out court" l'integralismo, fa capo al generale Lamarie. La notte della strage di Sidi Moussa, a comandare le truppe che non intervennero c'era proprio un seguace di Lamarie, uno "sradicatore", il generale Bej». Qualcuno pensa che il generale non sia intervenuto in polemica con la politica di «armistizio» verso l'«Ais». Altri dicono che quella notte il «Già» abbia sgozzato soprattutto parenti ed amici del gruppo terrorista rivale. Di certo, quella strage ha provocato uno dei rari «conclavi» di generali. Bej non è più capo della prima Armata. Le trattative con l'«Ais» continuano. Giuseppe Zaccaria Ai finestrini e sui muri di cinta migliaia di campanelli, un autarchico sistema di allarme Si moltiplicano le vecchie voci secondo cui l'ala dura dell'esercito favorisce il terrore per bloccare i negoziati usi per cinque giorni. Oggi n si fa sport: anche gli stadi tano serrati fino a dopo le eleni. Oggi non si circola, una nga serie di strade restano iuse dentro ed intorno alle tà per questioni di sicurezza. Per cinque giorni almeno, non lavora nell'edilizia. I grandi mion che trasportano sabbia o mento non potranno circolare. con mi camion, un grosso caon francese imbottito d'esplovo che nel gennaio del '95 un mmando suicida portò a terne l'attentato contro la cen¬ ppgdi regime, le poche voci dell'opposizione sono concordi almeno su un punto: nessuno si sarebbe aspettato una campagna elettorale così modesta. «Le elezioni nella capitale si vincono a Rais, Bentalha, Beni Massous», scrive «La Tribune». Chi negli ultimi giorni avrà il coraggio di recarsi nelle aree di periferia, chi sarà più convincente nel promettere sicu¬ Un soldato di un gruppo di auto-difesa algerino gdelle due grandi organizzazioni terroristiche del Paese, l'«Ais» (l'«Armée islamique du salut»), getta le basi per una tregua che sarà formalizzata solo il primo di ottobre. Alla fine dello stesso mese l'altra metà della galassia clandestina islamica, il «Già»lancia la più feroce campagna dterrore cui l'Algeria di questi anSi moltiplicano le vecchie voci secondo cui l'ala dura dell'esercito favorisce il terrore per bloccare i negoziati ni e sui muri di iaia di li, un autarchico i allarme Donne ieri in piazza a sostegno del leader islamico Nahnah A destra una bimba ferita in un attentato Un soldato di un gruppo di auto-difesa algerino

Persone citate: Ben Akhnoun, Beni Massous, Donne, Giuseppe Zaccaria, Rais, Sidi Moussa