Da Riina a Badalamenti il clan degli irriducibili

Molti di loro sono corleonesi Come Nenè Geraci e Matteo Motisi Ottantenni, non si sono mai arresi LA VECCHIA GUARDIA CHE NON CEDE Da Riina a Badalamenti il clan degli irriducibili PALERMO A Totò Riina a Tano Badalamenti sono ormai pochi, non più di una dozzina, i boss della vecchia guardia che tra orgogliose lacerazioni compongono la schiera degli «irriducibili». Tranne un paio, hanno tutti uno o più ergastoli sulle spalle: solo Riina ne ha collezionati 12 fino ad ora. E tutti sono assegnati al regime del carcere duro. L'unica eccezione è quella di Tano Badalamenti, che sta scontando negli Stati Uniti una condanna a 30 anni per «Pizza connection». Più volte il boss di Cinisi, capo della «cupola» di Cosa nostra fino al 1978, ha avuto colloqui investigativi con carabinieri e funzionari della Dia e magistrati italiani. Ma, oltre a respingere le accuse del suo ex amico Tommaso Buscetta e a tenere aperto con interviste televisive e dichiarazioni un canale di dialogo con i magistrati italiani, Tano Badalamenti non ha mai mostrato alcuna disponibilità alla collaborazione con la giustizia. Uno degli «irriducibili» vecchia maniera è Pippo Calò, il cosiddetto «cassiere» della mafia. Calò non ha mai fatto la minima ammissione, anche se il suo stile elegante e salottiero è stato messo sempre in crisi nei drammatici confronti in aula con Buscetta. Duro, malgrado una faccia sofferta, può definirsi anche Nitto Santapaola, il capo della più potente cosca catanese cooptato a pieno titolo nella mafia «stragista». Tutti gli altri «irriducibili» appartengono allo schieramento egemonizzato dai «corleonesi», e due di loro sono ancora in sella, malgrado abbiano superato gli 80 anni. Si tratta di Antonino Geraci det¬ to Nenè, capo del mandamento di Partinico, e di Matteo Motisi, boss della cosca di Pagliarelli. Con loro un altro patriarca della stessa generazione, Francesco Madonia, capo della famiglia di Resuttana, che con i figli Giuseppe, Aldo e Salvino guida una granitica cosca familiare, che risulta coinvolta non solo nelle stragi ma anche nel racket delle estorsioni: avrebbe infatti tra l'altro organizzato l'agguato all'imprenditore Libero Grassi. Tiene duro pure Raffaele Ganci, capo della cosca della Noce, in carcere con due figli divisi da scelte contrapposte: Domenico è rimasto fedele al padre, Calogero si è pentito e lo accusa. Più o meno è lo stesso dramma di Tommaso Spadaro, boss della Kalsa, altro irriducibile come il figlio Franco. Il genero Pasquale Di Filippo ha scelto invece la strada della dissociazione dalla mafia e dal suo sistema di valori. La sua scelta ha avuto uno strascico di profonde lacerazioni familiari e affettive. Esperienza che non ha vissuto invece Totò Riina. Sia la moglie Ninetta Bagarella sia il figlio Giovanni (che si trova attualmente in carcere con l'accusa di associazione mafiosa) hanno sempre testimoniato la loro indefettibile devozione per il boss dei boss di Cosa nostra. [Ansa] Molti di loro sono corleonesi Come Nenè Geraci e Matteo Motisi Ottantenni, non si sono mai arresi Sopra Nitto Santapaola A destra Totò Riina Entrambi sono considerati come irriducibili

Luoghi citati: Cinisi, Palermo, Partinico, Stati Uniti, Tano Badalamenti