Addio a San Vittore, inferno di Milano di Fabio Poletti

7 Otto detenuti in ogni cella, rischi di malattie. Il 40% dei reclusi sono extracomunitari Addio a San Vittore, inferno di Milano Albertini ha deciso di chiuderlo, pronto nuovo progetto MILANO. Ci pensava già Paolo Pillitteri, che a piazza Filangieri 2 voleva un complesso residenziale, miniappartamenti, praticamente celle singole. Sono passati tre sindaci, un paio di governi, una mezza rivoluzione che ha portato San Vittore sotto i riflettori, e il carcere è ancora lì. Forse per poco, se è vero che ad ottobre u sindaco Gabriele Albertini darà il via al progetto per la costruzione di un nuovo carcere, destinato a sostituire San Vittore. Chiude il Bronx, insomma. Più torre di Babele che inferno, oggi. Più di 2000 persone, 40 per cento extracomunitari, ammassate in un posto che al massimo ne conterrebbe meno della metà. Talvolta in otto per cella, due metri per tre bugliolo per i bisogni compreso, divisi in sei raggi su due piani, irradiati a stella, geometria del dolore nel cuore della città. «In cella ci sono 100 lingue diverse e nessuna nazione, perché si è tutti uguali, lì dentro», spiega Katib, detenuto semilibero, adesso a Scienze politiche con il progetto «Cayenna». Come le prigioni della Guyana francese dove era rinchiuso Papillon, quello delle fughe mirabolanti con la faccia al cinema di Steve Me Queen. «In carcere si pensa a vivere ma si muore per niente», scuote la testa Katib. L'ultima volta si chiamava leptospirosi, l'infezione che arriva dai topi e che a San Vittore ha ucciso un extracomunitario forse solo perché giocava a pallone a piedi nudi. Altre volte si chiama suicidio, basta un asciugamano, perché non si può vivere come topi. Una lapide all'ingresso del carcere ricorda un agente di custodia, morto nel '46 per fermare una rivolta. . Reginaìdo Isaias Marin, uruguayano morto nell'87 dopo uno sciopero della fame infinito e mal curato, nessuno sa più chi sia. A San Vittore innocenti e colpevoli sono messi tutti nello stesso posto. Al sesto raggio stanno quelli che hanno commesso reati contro donne o bambini. Più i tangentisti, quando Di Pietro li mandava dentro. I più sfortunati sono al terzo raggio, secondo piano, quello che tutti chiamano il «Bronx». «In cella si sta in otto, albanesi, tunisini, algerini, marocchini, egiziani, tutti insieme. Per capirsi si parla in italiano, anche se nessuno lo sa bene», spiega Katib, scampato almeno di giorno all'incubo del sovraffollamento, delle rivalità, dei clan, degli albanesi che la fan¬ no da padrone e dei cinesi che tra un letto a castello e un altro stendono un lenzuolo che sembra una vela, ma la barca non si muove di un centimetro. A San Vittore ci sono i muri verdi, quando sono puliti, le porte blindate marrone e gli agenti penitenziari vestiti di blu. C'è 0 direttore Luigi Pagano, che fa i miracoli, e Sergio Cusani, «ufficio» al primo raggio, che sogna un'agenzia di solidarietà per i de¬ tenuti e per questo tutti lo chiamano San Francesco. A San Vittore se sei un tossico in astmenza non ci sono santi che tengano. Una volta stavano tutti al secondo raggio, il Coc. Le loro urla, di notte, si sentono dappertutto. Mischiate alle preghiere e alle bestemmie di quelli del «Bronx» che non sanno se sia peggio rimanere in cella oppure tornare in patria, dove sono già degli stranieri. In piazza Filangieri si consumano 70 litri di Valium all'anno, poche gocce per dormire, un fiume per tener calmo un carcere che sembra sempre sul punto di esplodere. Non bastano mai le ore d'aria, in cortile, dove c'è solo il cemento sopra e sotto, grigio come i muri che guardano su viale Papiniano. In cella, chi può, cucina i cibi che arrivano con il pacco settimanale, mai più di cinque chilogrammi, vietato il cioccolato, vietate le noci e gli alcolici e tante altre cose. Poi gioca a carte e guarda la televisione, scrive a casa, all'avvocato, al giudice, a un santo protettore. Più spesso, all'ammmistrazione penitenziaria, modello 393: «Prego la Signoria Vostra di poter essere autorizzato a comperare un mazzettino di prezzemolo». Il modello 393 lo devono compilare anche i capi, i malavitosi duri, se vogliono il prezzemolo, la testa d'aglio o l'ultima cassetta di Mango. Tutti contano i giorni, nessuno guarda i minuti. Anche perché a San Vittore, nessun orologio segna la stessa ora. Fabio Poletti A destra l'interno di due raggi di San Vittore A sinistra Vallanzasca il «bandito dalla faccia d'angelo» Mike Bongiorno e Montanelli finiti in carcere dopo una retata nazista

Luoghi citati: Mango, Milano