«Serve subito una legge» di Francesco La Licata

i 1 «Serve subito una legge» Del Turco: e Don Masino vive di nostalgie IL PRESIDENTE OROMA TTAVLANO Del Turco ha appena votato, al Senato. E'sera. Dice che per tutto il giorno s% portato dietro una sorta di sgradevole sensazione: quella di vivere in una società che non riesce più a discernere, a cogliere le dovute differenze tra cose e cose, tra uomini e uomini. Il presidente della commissione Antimafia dice anche di essere rimasto senza parole leggendo «l'autorevole quotidiano La Repubblica che dedica le due pagine di apertura al collaboratore di giustizia Tommaso Buscetta». Suvvia presidente, cosa c'era che non andava? E' stato un buon colpo giornalistico. «E' il tono che non andava. Il senso complessivo dell'operazione. Ma si può montare un simile teatrino, enfatizzando il "testamento" di Buscetta? Lo Stato italiano, i giornali, possono considerare testamento due pagine d'intervista a De Gasperi, Nenni, Togliatti, Gramsci, ma che si possa considerare testamento per una intera società la dichiarazione di un uomo che si chiama Tommaso Buscetta e che per tutta la vita ha fatto il mafioso, io lo considero un insulto alla storia del nostro Paese». Però una mano l'ha data anche lui, quando gli è stato chiesto. Non bisogna dimenticare che Buscetta è stato invi- tato a collaborare. «Perfetto, ha collaborato ed ha avuto anche il suo tornaconto. Mi sembra che su questo piano bisognerebbe rimanere, non tracimare nell'enfasi». Ma allora ce l'ha col giornale, non con lui. «Non ce l'ho con nessuno. Non posso però tapparmi gli occhi di fronte a certi errori. Considero un errore avvicinarsi a Buscetta come ad un ex presidente della Corte Costituzionale. E non è, questa, la prima volta: ricordo che in passato gli sono stati chiesti lumi persino su cosa fare per salvare lo Stato. Considero un errore interpellare il collaboratore Gaspare Mutolo per chiedergli una valutazione sulla riforma dell'art. 513. Posso sostenere che così si rischia di alimentare equivoci e pericoli come quelli paventati dall'Osservatore Romano che intravede il timore dell'avvento di una "pentitocrazia"?». Ma qualche suggerimento, lo accetterebbe da Buscetta? «L'uomo non è stupido. Ha letto con attenzione il dibattito che si è svolto in questi ultimi tempi in Italia attorno alle problematiche legate alla lotta alla mafia e agli strumenti di cui lo Stato si è dotato. Credo abbia scelto, alla fine, un partito». Quale? «Quello che si è strappato le vesti sulla riforma del "513", che grida allo scandalo per qualunque aggiustamento poco gradito, quello che paventa la sconfìtta delle Istituzioni alimentata da una presunta disattenzione dello Stato...». Se sta parlando dei magistrati, devo farle notare che anche per loro Buscetta ha avuto qualche battuta al vetriolo. I tempi andati, quella sì che era antimafia. «Già, Buscetta vive di nostalgie. Rimpiange la vecchia mafia, la sua stagione col pool antimafia di Palermo. Diciamo che gli piacciono le cose che non ci sono più. E non sempre ha torto, per esempio quando rimpiange la riservatezza di Giovanni Falcone». E' una critica alla magistratura di oggi? «C'è sempre stato un eccesso di contiguità tra stampa e procure. Capisco il mestiere, le esigenze del mercato, la voglia di scoop, ma sarebbe opportuno proporre qualche riflessione sull'argomento. Cosa che Caselli, persona intelligente, certamente starà facendo». Presidente, il caso Di Maggio sembra si stia risolvendo in un «crucifige» per il Servizio Protezione. Condivide le critiche? «Sarebbe ingeneroso scaricare tutte le responsabilità su un organismo che nella vicenda del pentitismo di mafia non è mai stato centrale. Il dibattito ha ruotato sempre sulla legge e sulle esigenze della magistratura. Esistono molteplici e diffuse responsabilità. E' un metodo che, secondo me, deve essere messo in discussione». La legge non va? «Deve essere modificata. Ho già chiesto la priorità al Senato». E perché il Parlamento non l'ha fatto in questi mesi? E la legge sulle videoconferenze? «Sono inadempienze del Parlamento; che non ha raccolto tanti richiami e le proposte del governo». Caso Di Maggio: la Commissione Antimafia non era al corrente delle «voci» su San Giuseppe Jato? «Se allude al famoso dossier dell'on. Fragalà, devo dirle che la questione fu posta alla precedente presidenza, quella dell'on. Parenti. Noi il "caso Di Maggio" lo abbiamo scoperto quando il collaboratrore si è rifiutato di testimoniare al processo per la strage di Capaci perché, diceva, non aveva avuto quanto promesso». Che idea si è fatta? «E' un criminale che non ha scontato un solo giorno di carcere». Ma era ricercato per reati di poco conto. «Certo, eppure in seguito lui stesso ci ha detto che aveva commesso molti omicidi. Forse andava, per questo, premiato?». Del Turco, che va a fare oggi a San Giuseppe Jato, patria di Di Maggio e Brusca? «Vado a dire che quello è territorio dello Stato. Non è proprietà di Cosa Nostra "uno" né "due"». Francesco La Licata «Di Maggio, un criminale che non ha scontato un solo giorno di carcere per i suoi delitti»

Luoghi citati: Capaci, Italia, Palermo, San Giuseppe Jato