Csm, Vigna e Salamone a processo di Francesco Grignetti

f Csm, Vigna e Salomone a processo Risponderanno di esternazioni ej<petsonalismh MAGISTRATI NEL MIRINO PROMA ROCESSO disciplinare per Piero Luigi Vigna e per Fabio Salamone, due tra i magistrati più famosi d'Italia. Il procuratore generale della Cassazione, Ferdinando Zucconi Galli Fonseca, dopo un anno di riflessioni, ha deciso che Vigna e Salamone devono essere sottoposti a processo disciplinare da parte del Csm. I due, agli occhi del severo titolare dell'azione disciplinare sui magistrati italiani, hanno «colpe» molto diverse: Vigna perché esternò in pubblico sul caso-Brusca, quando il boss mafioso aveva appena iniziato a parlare con i giudici; Salamone perché non si astenne dal procedere contro Di Pietro nonostante la questione pregressa del fratello. Solo ventiquattro ore prima, analoga procedura era stata avviata dal ministro Giovanni Maria Flick nei confronti dei tre giudici della corte di appello di Milano, che aveva respinto una richiesta di ricusazione contro il giudice milanese Carlo Crivelli, per la famosa frase del «bastone e carota» contro Berlusconi, ma accompagnando il tutto con frasi ritenute abnormi e improprie. Sono segni di un clima che cambia nei confronti dei magistrati? Commenta Luigi Saraceni, deputato pds ed ex magistrato: «Credo che il procuratore generale farebbe meglio a concentrare la sua attenzione anziché sulle esternazioni, su certe violazioni dei doveri d'ufficio». Ma in fondo, che Galli Fonseca fosse molto insofferente di fronte a certi personalismi dei magistrati italiani, s'era capito da tempo. Basti ricordare le sue parole del gennaio scorso, alla inaugurazione solenne dell'anno giudiziario, quando si soffermò sul «costume di non pochi magistrati di farsi essi stessi soggetti attivi di informazione». L'anno prima già avvertiva dei «pericoli della popolarità che può portare, e più volte li ha portati, a uscire dal riserbo e dalla compostezza» e ricordava che «il commento pubblico di iniziative o provvedimenti del proprio uffficio non è consentito». Ma Galli Fonseca, ora, è passato dalle enunciazioni di principio all'applicazione pratica. Iniziando con magistrati di altissimo profilo. Sul conto di Piero Luigi Vigna, ad esempio, che a lungo è stato procuratore a Firenze e attualmente è procuratore nazionale antimafia, l'accusa è di «aver violato il dovere di riservatezza e aver compromesso il prestigio dell'ordine giudiziario». Ci si riferisce a un momento ben preciso. Una calda mattina dell'estate scorsa quando esplose il caso Brusca. Il boss, appena arrestato, cominciò quasi subito a parlare con i magistrati. Cominciò uno strano gioco «pentito sì-pentito no» che riempì le prime pagine dei giornali. E Vigna, che era uno di quelli che ascoltavano Brusca disse alla radio, nel corso di un'intervista, che effettivamente il «dichiarante» stava parlando. Aggiunse che Brusca, in questi primi colloqui, metteva in dubbio l'episodio del bacio tra An- dreotti e Totò Riina. Alla luce dei fatti di questi giorni, non meraviglia troppo che Brusca mettesse in discussione le dichiarazioni di Balduccio Di Maggio, che era il suo concorrente nella mafia di San Giuseppe Jato. Ma all'epoca fece scalpore. E la procura generale della Cassazione, «anche a causa della vasta eco avuta dalle sue rivelazioni», se la prese con Vigna. Con quelle sue affermazioni, sostiene ora Galli Fonseca, Vigna violò un «dovere di riservatezza, ribadito in più occcasioni dal Csm e relativo a fatti dei quali i magistrati vengano a conoscenza nell'esercizio delle loro funzioni». Quanto a Fabio Salamone, pm della Procura di Brescia, arcinemico di Antonio Di Pietro, il pg di Cassazione ha prodotto un «atto di incolpazione» in quattro pagine. La prima «colpa» è di non essersi astenuto in un processo in cui Di Pietro si era costituito parte civile, pur in presenza «di gravi ragioni di convenienza, specificamente e formalmente segnalategli anche dal capo dell'ufficio». Finì che Salamone andò avanti finché non venne solle- vato d'autorità. E lui si risentì pubblicamente. Così come criticò in pubblico il gip Spanò quando archiviò le conclusioni della pubblica accusa su Di Pietro. Ed ecco la seconda «colpa» che gli viene addebitata. La frase più scriminata fu:. «Se l'imputato si fosse chiamato Mario Rossi avrei già la toga indosso». Ora entrambi, Vigna e Salamone, dovranno affrontare il Csm. Salamone commenta: «E' una notizia vecchia di tre mesi. Non so perché venga riproposta oggi. Capisco che con l'arresto di mio fratello, alcune cose facciano più notizia. Però questo continuo utilizzo di cose già dette e ben note mi fa riflettere». I due magistrati rischiano, in caso di condanna, una sanzione che va dal semplice ammonimento alla radiazione dall'ordine giudiziario. Francesco Grignetti A decidere Zucconi Galli Fonseca, procuratore generale di Cassazione, dopo un anno di analisi e riflessioni A sinistra il procuratore della Cassazione, Ferdinando Zucconi Galli Fonseca A sinistra Piero Luigi Vigna Qui sopra Salamone

Luoghi citati: Firenze, Italia, Milano, San Giuseppe Jato