La vegetazione alpina migra verso l'alto

La vegetazione alpina migra verso l'alto La vegetazione alpina migra verso l'alto LW AUMENTO della temperatura media terrestre origina fenomeni vari che gli scienziati stanno tenendo d'occhio. Tra questi la distribuzione della flora in montagna, poiché il calore ne agevola la propagazione a quote finora non raggiunte a seconda delle latitudini: un fatto positivo al quale può far da contraltare la scomparsa di specie che si trovano ad affrontare a quote inferiori condizioni più difficili. L'esame di questi equilibri e dell'evoluzione del pionierismo vegetale sulle Alpi è uno dei tanti temi toccati nei giorni scorsi al 2° Congresso «Ecologia e biogeografia alpine» che si è tenuto a La Thuile, in Val d'Aosta. E' stata anche l'occasione per ricordare i cento anni del Giardino Botanico Chanousia, fondato dall'abate Pierre Chanoux e oggi situato in territòrio francese a causa delle spartizioni territoriali postbelliche; Hanno1 partecipato ai lavori circa 140 studiosi iscritti, più un buon numero di uditori, e le discussioni sono state suddivise in sette simposi. La questione della diffusione vegetale ha ottenuto una notevole attenzione sia nel seminario che ha trattato di «periodi glaciali e loro eredità genetica» (presidente il britannico Richard Abbot) sia in quello che aveva per tema «le unità di vegetazione delle Alpi e l'importanza delle influenze esterne» (presieduto dall'elvetico Jean Paul Theurillat): due aspetti diversi di una medesima realtà. Le tecniche di ricerca basate sui metodi della biologia molecolare e della chemotassonomia permette di valutare la variabilità genetica di molte specie artiche e alpine, suffragandola e confrontandola con i dati ottenuti da reperti fossili, in particolare frutti, pollini e semi. Se a questo si aggiungono le opportune considerazioni riguardo i meccanismi particolari di sviluppo della vegetazione, è anche possibile disegnare un quadro probabilistico di ciò che potrebbe succedere in futuro ipotizzando per esempio fra i parametri di valutazione proprio quell'au- Ma potrebbero sparire specie che si sono adattate alle basse quote mento di temperatura che si registra sul globo terrestre. E a questo proposito forniscono preziose indicazioni le osservazioni fatte in relazione a quanto già si conosce riguardo la penetrazione della vegetazione mediterranea in zone alpine (dalle Alpi liguri a quelle jugoslave, dal Friuli al lago di Garda). Un altro tema ha tenuto banco in modo specifico nel simposio che si occupava del «ruòlo ecologico delle micorrize negli ecosistemi alpini» (organizzatori Kurt Haselwandter di Innsbruck e Paola Bordante Fasolo di Torino). La micorriza è il risultato di una simbiosi tra l'apparato radicale di una pianta e un fungo. L'opinione pubblica ne ha una conoscenza indotta, determinata dalla popolarità assunta da quella forma micorrizica commestibile che è il tartufo. Ma al di là di questa fama da gourmet, la micorriza interessa i botanici perché è un segno di stress nutrizionale da parte della pianta, che ne trae così benefici ai fini dell'assorbimento di sostanze indispensabili e della crescita. Ciò è stato ben evidenziato, per esempio, studiando l'«Arnica montana», il lampone e il niirtillo. Ne deriva un'importanza cruciale della micorrizazione nel funzionamento degli ecosistemi e anzi il simposio ha dimostrato proprio come le comunità vegetali delle zone alpine, artiche e subartiche siano dominate da piante micorriziche. Una componente di rilevante importanza, e non solo in montagna, sono i licheni (forme di associazione tra un fungo e un'alga) e le briofite (tra le quali si annovera¬ no per esempio muschi ed epatiche). Anche queste forme vegetali sono finite sotto la lente dei botanici convenuti a La Thuile, in particolare quelli che si occupano di fitogeografia e che hanno lavorato nel simposio presieduto da Pier Luigi Nimis di Trieste. Infatti dalle briofite si traggono indicazioni relative alle variazioni climatiche e alla biologia delle zone acquitrinose (sfagni), mentre i licheni costituiscono un indicatore prezioso del grado di inquinamento dell'aria in insediamenti urbani vallivi. I rapporti biologici pongono conflittualmente a contatto le piante con gli insetti fitofagi, che da esse traggono alimento. Parametri ecologici e genetici permettono di valutare la resistenza dei vegetali a questi attacchi e di ciò si sono occupati i ricercatori organizzati in simposio da Mar- tùie Rowell-Tahier di Neuchàtel. Di grande interesse, anche a livello progettuale, le discussioni che hanno animato il gruppo coordinato da David Aeschimann, del Conservatorio e Giardino Botanico di Ginevra. Qui si è parlato di progetti floristici e si sono definite alcune collaborazioni interistituzionali e transfrontaliere, come ad esempio un piano per la gestione della biodiversità vegetale in Valle d'Aosta e in Savoia. Da sottolineare infine, sempre per le prospettive progettuali che la materia sottende, il ruolo dell'ingegneria naturalistica in zone alpine. Il gruppo coordinato dal triestino Giuliano Sauli ha fatto il punto della situazione sull'impiego di forme vegetali a scopo antierosivo e di consolidamento del suolo. Fra i contributi in merito, ne è venuto uno dai ricercatori torinesi Siniscalco, Barni, Montacchini e Rosa, riguardo un caso di inerbimento in piste da sci della Valle di Susa. E anche qui hanno fatto capolino le micorrize, che irrobustendo l'apparato radicale offrono un efficace supporto all'attività di consolidamento del terreno. Leonardo Osella SI dice poliglotta chi parla molte lingue. Quindi da un uccello chiamato «mimo poliglotta» ci si aspetta che sappia fare altrettanto. Ma non crediate che il Mimus polyglottus, un grazioso uccello dalla lunga coda, si esprima in inglese, russo o tedesco. Lui si accontenta di mimare il canto di altre specie di uccelli. E non è davvero cosa da poco, visto che è capace di imitare il canto di moltissimi colleghi canterini. Non solo. Nella sua mania di riprodurre i suoni che gli giungono all'orecchio, è capace di imitare perfettamente il gracidio delle rane, il rumore di un treno o qualunque altro suono. Per la verità, l'imitazione che il mimo poliglotta fa del canto di altre specie è leggermente diversa dal canto originario, ma la voce dell'uccello imitato è chiaramente riconoscibile nella versione del mimo. Ti singolare imitatore, chiamato anche «tordo beffeggiatore», vive nel Nordamerica, dàlia California settentrionale fino allo Stato di New York, a Nord-Est. A Sud si spinge fino al Messico a a molte isole delle Antille. Pugnace, difende accanitamente il suo territorio, ingaggiando spesso battaglie di confine con i vicini. Pur cu far vaiare i suoi diritti, non esita ad attaccare anche