QUANDO RUPPE CON PANNUNZIO

QUANDO RUPPE CON PANNUNZIO QUANDO RUPPE CON PANNUNZIO La mediazione di Galante Garrone NON c'è bisogno di lunghi discorsi per ricordare di Ernesto Rossi, sopra tutto, la stupenda figura morale. A volte il suo carattere impetuoso, quale appare dal libro di Giuseppe Fiori, potrà sconcertare i lettori troppo timorati ed equilibrati; ma tutto in lui era un proiettarsi nella coraggiosa intransigenza, nella sfida insofferente di cauti compromessi. Fedele discepolo di Salvemini, che amò come un padre, non disdegnò eccessi giacobineggianti, ma sempre suscitati da un impulso di coscienza. Scriveva al suo unico vero maestro: «Mi sento tuo figlio. Cosa sarebbe stata la mia vita se non avessi avuto la fortuna d'incontrarti?». Due altri maestri furono per lui Einaudi e Pareto. Sentì e assorbì il meglio del loro pensiero. Poi anche Carlo e Nello Rosselli furono «la sua nuova gioventù». Con loro fondò a Firenze il foglio clandestino «Non Mollare». Tali gli uomini che rischiararono e irrobustirono per sempre la sua mente e la sua coscienza. Altrettanto forte in lui lo sdegno per i «molluschi», i «rivoluzionari benpensanti e guar- h i i Ernesto Rossi, al confino con la moglie Ada creato un personaggio affascinante e accattivante. Per il modo in cui è stato scritto e accolto, tuttavia, questo bel libro rischia di accreditare la tesi che Rossi possa considersi l'antenato liberale del nuovo progressismo italiano. Non ne sono sicuro. Nonostante l'esperienza dell'Arar fu un personaggio anomalo, isolato, libertario, insofferente della realtà stupida e ottusa con cui ogni uomo deve fare i conti. Fu il pizzico di sale che insaporisce la politica e la rende, se al cuoco scappa la mano, indigeri¬ bidedeuchrucenindmpn bile. Forse la migliore definizione del suo liberalismo è quella che ne dette egli stesso: «Per me, disse, un liberale sistematico è un anarchico dotato di senso storico», il ruolo che maggiormente si confaceva al suo talento e alle sue inclinazioni fu quello dell'oppositore individuale, incapace di qualsiasi disciplina e di qualsiasi compromesso. Credo che nessun partito possa appendere il suo ritratto nella galleria dei propri antenati. Sergio Romano pgdinghi», i «pantofoloni di tutti i partiti», i troppi italiani sprovvisti di una «spina dorsale». E amaramente arguto come sempre, concludeva: «La poesia del Giusti sul Girella dovrebbe essere musicata come inno nazionale». Polemista implacabile e ironico, attaccò le esorbitanze in certi casi spinte sino alla rapacità - della grande industria, dei «padroni del vapore», e, per un certo periodo,, del clericalismo dilagante nella politica italiana. Dopo la guerra, nominato alla testa dell'Arar, ente destinato alla liquidazione dei residuati bellici, fu rarissimo esempio di totale disinteresse personale, impegno fattivo, efficienza. E non volle un soldo. Aveva sopportato molti anni di carcere, e poi di confino, con stoica allegria. E dalle sue lettere nacque il grande Elogio della galera, un capolavoro, oggi riapparso a cura di Gaetano Pecora con una sua magnifica introduzione (ed. Il Mondo 3 Edizioni, Roma 1997, pp. 564, lire 40 mila). Su un punto, in particolare, desidero richiamare l'attenzione: la vivace polemica sorta, e trascinatasi a lungo, fra Ernesto e un altro degnissimo italiano, Mario Pannunzio, direttore del settimanale «Il Mondo», del quale lo stesso Rossi era stato a lungo collaboratore di primo piano. Lo spunto, piuttosto pretestuoso, era nato in realtà da un contrasto di orientamenti politici fra un insigne collaboratore del settimanale, Leopoldo Piccardi, e una parte degli altri, col direttore Pannunzio alla loro testa. Nell'arroventarsi della polemica, Pic¬ cardi era stato (ingiustamente, come poi si accertò) accusato di atteggiamento antisemita per la partecipazione a un convegno di studiosi nella Germania nazista: accusa di per sé grave ma, come ebbi modo di convincermi, frutto di errore, e raccolta con eccessiva leggerezza. Ernesto Rossi, del tutto estraneo, personalmente, a tale polemica, vi intervenne per convinzione profonda, e senza particolari interessi politici di parte; e vi portò, impetuoso com'era e sincerissimo, la sua accesa passione in difesa di Piccardi, attaccando, al di là dello stretto necessario, lo stesso Pannunzio. A questo punto, mi offersi d'intervenire fra i contendenti, per proporre una via d'uscita dall'incresciosa polemica. Le parti, in conflitto parvero accettare, per un momento, la mia proposta; che si rivelò ancora prematura. Solo più tardi si potè raggiungere un equo e sincero accordo fra i contendenti. Conservo le lettere a me di Rossi, Pannunzio e Piccardi: tutte sincere, nella loro veemenza. E le conservo, perché non vorrei che in qualche modo la questione venisse risollevata, anche solo per pettegolezzo o inutile curiosità, o, peggio, malanimo. Tutti ne soffersero, anche ì il «Mondo», caro alla nostra memoria. Ma più di tutti soffrì dell'ingiusta accusa Leopoldo Piccardi, che morì poco dopo. Il nostro dovere è piuttosto quello di ricordare quanto tutti dobbiamo all'impegno civile di questi uomini, oggi così lontani da noi. Alessandro Galante Garrone CARLO ROSSELLI: L'ESILIO DEL SOCIALISMO LIBERALE DALL'ESILIO Carlo Rosselli Passigli pp. 310 L. 38.000 DALL'ESILIO Carlo Rosselli Passigli pp. 310 L. 38.000 N molte città d'Italia una targa stradale, intitolata ai fratelli Rosselli, ricorda il sacrificio dei due antifascisti, che la dittatura fece assassinare il 9 giugno 1937, in terra francese». Così esordisce l'introduzione di Leo Valiani all'Epistolario familiare (Carlo, Nello Rosselli e la madre) apparso nel '79. Un incipit che custodisce il dubbio, di lì a poco manifestato: «Ma quanti conoscono davvero l'attività ed il pensiero di Carlo e Nello Rosselli?». i ii dl pA distanza di quasi vent'anni, nel sessantesimo anniversario del sacrificio a Bagnoles-de-l'Orne per mano di «La Cagoule», l'editore Passigli rinnova l'interrogativo licenziando un ulteriore mannello di lettere, Dall'esilio (a cura di Costanzo Casucci, prefazione di John Rosselli). Mittente Carlo Rosselli, destinataria la moglie, l'inglese Marion Cave e viceversa (in sovraccoperta la riproduzione di un dipinto di Nello). Epoca: dal 1929 al 1937. Per la precisione: dal 26 giugno 1929. E' la vigilia di una data cruciale nella biografia rosselliana: il 27, Carlo evade con Lussu e Fausto Nitti da Lipari. Il regime ve lo aveva confinato perché corresponsabile della fuga di Filippo Turati, nel dicembre appena trascorso. «Le ore del tramonto sono proprio belle, dolci e fresche. Dopo me ne torno lemme lemme a casa, previa puntata dai Pani. Mangio alle 8 e poi passeggiatala o tuffo nell'orizzonte della terrazza. Alle 9 piano sin verso le 10. Poi scrittura, lettura, nanna». Quasi tutte le missive di Carlo Rosselli hanno il timbro di Parigi (ma alcune vengono inviate Carlo Rosselli da Londra, da Berlino, da Madrid, dal Fronte aragonese: partecipò alla guerra civile spagnola). E' la città dove nasce il movimento «Giustizia e Libertà», il prologo del Partito d'azione: l'uno e l'altro nel solco della testimonianza di Piero Gobetti, fra i primi esuli. Vita politica e vita domestica si avvicendano nella corrispondenza. In particolare risalta il difficile tentativo di conciliarle. «Cara Marionellina, l'unico vero sacrificio è il distacco. (...). Bisogna contemplarlo come più breve e infinitamente meno drammatico di quanto tu pensi». Cose minute, le letture («Ti spedisco oggi il Maurois e i due "Manchester Guardian"»), l'educazione dei figli (con John, Amelia, la futura poetessa), la febbre civile. Gli inchiostri di Carlo Rosselli via via pennellano un quadro mai oleografico, mai pedante, naturalmente esemplare dell'Italia che non acconsentì. Un cammino nel segno di un'idea che alimenta il saggio ora riproposto da Einaudi con vari scritti di Norberto Bobbio: Socialismo liberale, la scommessa di muoversi «nello spirito del liberalismo e nella pratica del socialismo». Giustizia e Libertà. Bruno Quaranta RISCOPRIRE MURRI E DE GASPERI UN nuovo profilo di Alcide De Gasperi, composto da Enrico Nassi, esce per i tipi di Giunti (Alcide De Gasperi, L'utopia del centro, pp. 314, L 28.000). Dal periodo austriaco alla Democrazia Cristiana, forza di centro che guarda a sinistra. Una parabola ricostruita - ' assicura l'editore - sulla scorta di documenti pubblici e privati rimasti finora segreti. l gA un altro personaggio del mondo cattolico in politica, Romolo Murri, è dedicata l'opera di Giovanni Gronchi (Quello che ha significato Romolo Murri) ora riproposta dall'editore Quattroventi (pp. 135, L 15.000. a cura di Lorenzo Bedeschi). Vissuto fra il 1870 e il 1944, il sacerdote venne sospeso a divinis per l'adesione a! modernismo. Gronchi ne «rivaluterà» la figura asserendo che «senza Murri non ci sarebbe stato Sturzo».

Luoghi citati: Berlino, Firenze, Germania, Italia, Lipari, Londra, Madrid, Parigi, Roma