ERNESTO ROSSI IL SOLISTA di Giuseppe Fiori
ERNESTO ROSSI IL SOLISTA ERNESTO ROSSI IL SOLISTA Una vita «italiana» secondo Fiori UNA STORIA ITALIANA VITA DE ERNESTO ROSSI Giuseppe Fiori Einaudi pp. 309 L 22.000 UNA STORIA ITALIANA VITA DE ERNESTO ROSSI Giuseppe Fiori Einaudi pp. 309 L 22.000 libri, come è noto, hanno spesso un destino diverso da quello immaginato dall'autore. La biografia di Ernesto Rossi cade nel momento in cui la sinistra italiana ha bisogno di nuovi «antenati». Togliatti, Nenni, Longo, Berlinguer e lo stesso Gramsci appartengono alla storia nazionale e hanno diritto all'attenzione degli studiosi. Ma sono difficilmente utilizzabili. E' impossibile parlare di Togliatti e Longo senza ricordare le loro complicità sovietiche o le pagine meno trasparenti della guerra di Spagna. E' impossibile parlare di Nenni senza ricordare che egli è in gran parte responsabile del declino del partito socialista tra la fine degli anni Quaranta e l'inizio degli anni Cinquanta. E' difficile invocare la memoria di Berlinguer senza parlare del contributo che il «compromesso storico» dette al trasformismo italiano. Ed è impossibile, infine, onorare Gramsci senza ricordare che molte sue riflessioni sono storicamente datate e irrilevanti. Ogni epoca la sua «agenda». Chi mai oggi a sinistra, se non i nostalgici di Rifondazione, oserebbe sostenere che il Paese ha bisogno di piani quinquennali, nazionalizzazioni e «potere operaio»? Per governare l'Itali a, la sinistra ha bisogno di riferimenti liberali, eu¬ ropeisti, federalisti. Non so se Giuseppe Fiori, nell'accingersi a ricostruire la vita di Ernesto Rossi, ne fosse consapevole. Ma il suo libro appare in libreria proprio quando l'Ulivo ha maggiormente bisogno del ritratto di un Einaudi di sinistra da appendere dietro la scrivania di Romano Prodi e Massimo D'Alema. Fiori ha scritto uno dei suoi libri migliori. Lo sfondo storico l'Italia dalla prima guerra mondiale alla ricostruzione del secondo dopoguerra - è dipinto con un pennello convenzionalmente progressista. Ma le simpatie politiche e l'ammirazione per la battaglia antifascista di Ernesto Rossi non gli impediscono di comporre un personaggio vivo e contraddittorio. Rossi non ebbe una vita facile e non fu un uomo semplice. Ha sedici anni quando il padre, un ufficiale a riposo, ferisce la moglie e l'amante di lei con un colpo di pistola. E' soltanto la prima delle tragedie che si abbattono sulla sua vita. Un fratello muore in guerra, due sorelle si suicidano, un altro fratello si allontana da casa e conduce un'esistenza inquieta, svogliata. Lui stesso è agitato da desideri diversi e impulsi contrastanti. Nel 1915 è contrario alla guerra, ma un anno dopo parte volontario e sopravvive miracolosamente allo scoppio di una granata. Terminato il conflitto si laurea in giurisprudenza, ma scopre di essere attratto soprattutto dagli studi sociali, economici e finanziari. Politicamente è antisocialista, sostiene la spedizione di D'Annunzio a Fiume e ha forti simpatie per il movimento fascista. Scrive per il «Popolo d'Italia», ma subisce il fascino del pensiero di Luigi Einaudi e pubblica sulla «Riforma sociale» articoli di taglio liberale. L'incontro con Gaetano Salvemini, l'amicizia dei fratelli Rosselli e il delitto Matteotti fan¬ no di lui, nel giro di qualche mese, un antifascista deciso, coraggioso e spericolato. Lo arrestano nel 1930 mentre sta preparando con Riccardo Bauer una serie di attentati terroristici. Al processo si comporta con dignità, coerenza e spavalderia. In prigione e al confino ritrova Riccardo Bauer, incontra Vittorio Foa, si lega ad Altiero Spinelli. Dall'amicizia con quest'ultimo e con Eugenio Colorni nasce un appello alla federazione europea che diverrà noto come il «Manifesto di Ventotene», forse il più coerente e lungimirante documento europeista apparso in quegli anni. Ma anche con Spinelli ha rapporti oscillanti e tavolta tumultuosi. Altrettanto accade più tardi con gli amici del partito d'Azione che egli considera, nonostante le molte affinità, con una certa diffidenza. Come osserva Fiori, Rossi è uno straordinario solista, non un orchestrale; e gli manca l'interesse per la direzione d'orchestra. Ma quando Pani gli affida, dopo la guerra, la presidenza dell'Arar (una grande agenzia per la vendita dell'enorme quantità di residuati di guerra che gli alleati hanno abbandonato in Italia), dimostra di avere, con il rigore morale, uno straordinario talento organizzativo. Per quasi dieci anni l'intellettuale indipendente e scontroso si trasforma in un eccellente manager. Ridiventa intellettuale, a tempo pieno, nell'ultima fase della sua vita e lancia, soprattutto dalle colonne del «Mondo» di Mario Pannunzio, alcune memorabili campagne di stampa contro i monopoli, i privilegi doganali e fiscali della grande industria, i «padroni del vapore». Ma anche con Pannunzio, alla fine, l'amicizia si incrina. Con questi ingredienti, Fiori, uno dei migliori «ritrattisti» della letteratura storica italiana, ha
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