DELERM AVANTI A PICCOLI SORSI di Dario Voltolini

IL CONSIGLIO IL CONSIGLIO ! di Dario Voltolini DUE rampe per l'abisso» (Sellerio 1980, poi Editori RiunWSellerio 1997 a L 8500) è il titolo italiano di How Like A God, un'opera del 1929 di Rex Stout, che in seguito sarebbe diventato il celeberrimo inventore di Nero Wolfe. La struttura di questo romanzo è curiosa: William Sidney, il protagonista, sta salendo due rampe di scale per raggiungere un appartamento e questa situazione è frammentata in una serie di diciassette brani brevi raccontati in terza persona, al tempo passato. William tiene in tasca una rivoltella. Intervallati da questi brani ci sono i capitoli in cui si dispiega la narrazione, molto articolata e dal montaggio raffinato, della vita anteriore di William. Questo racconto è alla seconda persona: una voce sta dando del tu a William, ipoteticamente lui stesso, rammemorante. Il risultato, interessante nonostante la meccanicità della struttura, è quello di comprimere il racconto di una vita nel breve tempo che occorre per salire un paio di rampe di scale, azione peraltro culminante e decisiva di tutta quella vita. Ma non è a queste curiosità formali che il romanzo, a conti fatti, deve il suo valore, bensì alla vera e propria storia della vita di William, esemplare figura di personalità difettosa in un punto misterioso (la volontà?, l'istinto vitale?, non sappiamo, certo qualcosa che in un'immaginaria cartografia del mondo interiore sta da quelle parti). William conduce un'esistenza all'apparenza compatta e anche disseminata di successi personali e sociali, ma che però è in verità imperniata su quél punto cieco della sua mente, vale a dire: è fondata sulla sabbia. Attraverso quel suo luogo interiore buio che una figura di donna riesce a mettere in massima evidenza (una donna fatale, genialmente reinterpretata da Stout), William perde, come da una ferita che non si chiude, ogni forza vitale. Stout ha costruito una delle numerose varianti a quella grande immagine della solitudine individuale che la narrativa americana ha portato in letteratura, in questo sta il valore del romanzo. C'è però un'ulteriore curiosità: è possibile leggere Due rampe per l'abisso come una specie di Martin Eden parallelo, con vari componenti rovesciati e numerosi rimandi speculari (tutti intemi allo schema: indeciso William, deciso Martin) e tuttavia con lo stesso esito di caduta presente nel romanzo di London. Solo una curiosità, ma che aumenta l'inquietudine che per osmosi dal libro penetra nel lettore. •* Il Nouveau romancier Claude Simon è infatti meno che mai, qui, privo di padri, e sempre più in contrasto con gli ex compagni di strada della tabula rasa. Lo contestarono ai tempi del dibattito ideologico per la costituzione di un nuovo romanzo, accusandolo di servirsi idi documenti esterni alla finzione narrativa, che fungevano da riscontri con il reale, punti di contatto equivoci con il vissuto. Simon cercò di spiegare, allora, il valore non referenziale bensì strutturale dei suoi inserti. Non fu capito, come racconta qui, continuò dunque per la sua strada, che lo porta oggi a utilizzare citazioni dai Maestri come brani dèi diari di Rom- di esposizioni di quadri, con glande vantaggio della sua scrittura e buona pace di Alain Robbe-Grillet. La grande varietà di materiali «esterni» non turba minimamente il fluire della narrazione, sono al contrario indispensabili al suo procedere, e quésto grazie alla forza di manipolazione della materia verbale raggiunta da Simon, alla sua incredibile capacità di rimodellare il racconto man mano che lo fa, come fosse argilla nelle mani di un tornitore. Lejardin desplantes è un libro UN PASSO «Il cavallo di traverso» Claude Simon, in questo passo, non nasconde la delusione per la copertina del suo maggiore romanzo, «La strada delle Fiandre». HA scosso la testa, di nuovo come irritato. Ha detto SI Ecco Dica, appunto: quando lei si è trovato su quella strada che ha così ben descritto nel suo romanzo e... lo ho detto Grazie lei è molto gentile ma devo pensare che non l'ho poi cosi ben descritta, perché si figuri che uno degli editori stranieri ha ritenuto opportuno (o astuto, commerciale, attraente) decorare la sovracopertina del libro con un disegno che rappresenta il cadavere di un cavallo di traverso su una strada dissestata, fangosa (...). Ci mancavano solo le classiche macerie, i classici muri a loro volta schiantati. Ma a questo hanno pensato altri editori. In generale i colori delle sovracopertine tirano al rosso e al nero. Fuoco e "tenebre. Così il lettore non ha più bisogno di leggere, e se per disgrazia legge resta terribilmente deluso perché là (voglio dire su quella strada) se c'era fumo era appena appena in lontananza, e giusto un filo, e non nero ma azzurro nel sole, qualche camion o vettura che finiva di bruciare, e il cielo tutto blu, e quello che doveva accadere era semplicemente un tranquillo assassinio. Allora devo proprio averlo raccontato male, tutto questo... to le J Claude Simon J sto he to le J sto he era on to le J di memorie, in cui però molto più che il recupero di un tempo trascorso, o le strategie per realizzare tale recupero, conta il movimento della scrittura, il suo plasmarsi in funzione del tempo e delle modulazioni che il tempo imprime al ricordo. Altri nouveaux romanciers hanno scelto la forma autobiografica, da Marguerite Duras allo stesso RobbeGrillet a Nathalie Sarraute. Per loro, in genere, vale il discorso dei frammenti di memoria giustapposti senza ordine cronologico (Robbe-Grillet) o dei detriti trascinati caoticamente dalla corrente del fiume (Duras), veri o inventati non ha senso chiederselo. Per Simon conta il vettore, più che il trasportato. Il risultato è, come si diceva, sorprendentemente sensuale. Forse perché sinuoso, forse per il brusco aprirsi della scrittura, qua e la inaspettatamente, a turgescenze di racconto. Forse, ancora, per i suoi chiaroscuri o le attraenti presenze di persone o oggetti tanto misteriosi quanto familiari: il chef-d'oeuvre, scultura in legno di quelle che servivano ai carpentieri come dimostrazione della raggiunta abilità necessaria per entrare nella corporazione, incastonata da Simon nel salotto di Dora Maar senza scopo apparente eppure centrale nel hbro (la sua forma è di scala a spirale), come la donna che s'immerge nella vasca e ne esce grondante. Al primo approccio Le jardin desplantes può irritare, perché la pagina si presenta divisa in blocchi di misura e forma varie che portano avanti autonomamente parti diverse di racconto. La lettura ne risulta, almeno inizialmente, difficoltosa. Si è costretti a un procedere spezzettato, o a ripetuti andirivieni tra le pagine. Ma superato il primo impaccio, che assomiglia al lento e macchinoso ingranarsi di un meccanismo lasciato fermo troppo a lungo, ci si rende contro che il sistema funziona. Quello che si mette in movimento, all'unisono, è un insieme di ricordi. Simon li fa avanzare tutti contemporaneamente, ognuno un poco alla volta, apportando ai rispettivi racconti piccole aggiunte, variazioni progressive. La comprensibilità dei fatti narrati non è disturbata, 10 si scopre procedendo nella lettura, e in compenso li si vede prendere forma dall'interno. La ritirata sulla via delle Fiandre, maggio 1940, al seguito di un colonnello pazzo, torna per le domande di un giornalista che incalza Simon sulla paura provata, e a questo nodo dell'esistenza si affiancano episodi dell'infanzia, 11 contrabbando d'armi in Spagna a sostegno dei repubblicani, la prigionia, vicende amorose, incontri con personaggi come Picasso, Cocteau, Brodskij, Breton, l'ospedale e la malattia, la mai domata tubercolosi, il lavoro quotidiano, le città del mondo in prospettiva. Ancora un segnale: Simon ci ricorda, in esergo, che «sono state recensite 367 dimostrazioni diverse del teorema di Pitagora». Gabriella Bosco DELERM: AVANTI A PICCOLI SORSI LA PREMIERE GORGEE DE BIERE ET AUTRES PLAISIRS MINUSCULES Philippe Delerm Gallimard PARIGI PREMIERE GORGEE DE BIERE ET AUTRES PLAISIRS MINUSCULES Philippe Delerm Gallimard stato senza dubbio il caso letterario francese della promavera-estate '97. Questo libretto di 93 pagine è uscito in sordina a febbraio. Un timido tam tam si è diffuso tra il pubblico e ad aprile si contavano già due ristampe. A maggio, la svolta: Bernard Pivot invita a Bouilhn de culture - la trasmissione letteraria di France 2 - l'autore di La premieregorgée de bière et autresplaisirs minuscules. Il libro sale ai primi posti delle classifiche: a fine estate si contano 110 mila copie vendute. Un successo che stupisce innanzi tutto l'autore, Philippe Delerm. «Un libro considerato difficile da vendere», spiega. Non è un romanzo è non è un insieme di racconti: i 34 capitoli che lo compongono descrivono in non più di 4 pagine ciascuno i minuscoli piaceri della vita (secondo l'autore). ll dii bbli pInsegnante e scrittore quarantasettenne, alla uundicesima pubblicazione, senza contare quattro libri i d qper bambini, Philippe Delerm deve il successo alla capacità di esplorare la finezza delle cose semplici di tutti i giorni, ma che fretta e stress travolgono fino all'indifferenza. Delerm ha ridato il gusto di fermarsi a considerare il sapore del primo sorso di birra, per esempio, semplice azione che dà il titolo a questa raccolta di testi brevi. Il primo sorso di birra «è il solo che conti. Gli altri, sempre più lunghi, sempre più anodini, impastano il palato con un sapore tiepidiccio, con un'abbondanza sprecata». Splendido il testo dedicato alla frase «Potremmo quasi mangiare mori», tutto costruito intorno a quel quasi e a quel condizionale che creano una sospensione temporale, in un momento in cui la tavola è già apparecchiata in casa e il primo sole primaverile splende in giardino. «Bella la vita al condizionale (...) una vita inventata, che prende contropiede le certezze (...) Ci sono dei giorni in cui quasi si potrebbe». E tutto, con Delerm, diventa quasi fondamentale. Ma un sospetto ci coglie. Delerm vive in Normandia, lontano dalla travolgente capitale francese. A Parigi avrebbe potuto scrivere questo libro? «Non lo so, l'unica cosa che so è che posso scrivere perché vivo in campagna. E' vero che il lettore ha trovato dei ricordi di momenti passati, un po' come la madeleine di Proust. Ma io ho semplicemente evocato la mia vita, quindi non direi che si tratti di momenti che appartengono al passato». Forse non si tratta solo di nostalgia, ma c'è anche un pizzico di invidia per una vita più tranquilla. «Io mi sono spesso detto che forse avrei dovuto vivere a Parigi, là do¬ ve le cose accadono. Sono passati otto anni prima di riuscire a pubblicare un manoscritto. Li spedivo per posta senza conoscere nessuno e aspettavo. Ricordando quei momenti, il successo di questo libro mi rallegra ancor di più, perché dà ragione a un modo di vivere, dà ragione alla mia scelta». Cosa le ha permesso di continuare a credere che un giorno un suo testo sarebbe stato nelle librerie? «Scrivere è un piacere. Insegno al liceo, e per anni mi sono svegliato alle cinque del mattino e scrivevo prima di andare a scuola. Ho dei ricordi di profonda malinconia, di quando pensavo di avere qualcosa da condividere con gli altri, ma non riuscivo nel mio intento». Sembra quasi rimpiangere quei momenti di sofferenza. «Sofferenza è la parola giusta, perché mi mancava qualcosa di essenziale, e la malinconia è un sentimento più forte del successo, perché ci permette di essere più vicini a noi stessi». Due titoli risaltano: «La siesta assassina» e «Soprattutto, non fare niente»... Si direbbe che lei sia un pigro, eppure non solo insegna e scrive, ma anima un gruppo teatrale e una squadra di calcio... «Sono stato a lungo un pigro, soprattutto da adolescente. Ma forse direi piuttosto un contemplativo. Leggevo molto, ma ero qualcuno cui non piaceva capire le cose. In matematica, ad esempio, non valevo niente. Mi piaceva guardare il mondo come uno spettacolo e non come un problema. Ovviamente questa posizione non la si può tenere per tutta una vita. Oggi sono più attivo, ma quei momenti sono Il primo sorso di birra «è il solo che conti. Gli altri, sempre più lunghi, sempre più anodini, impastano il palato con un sapore tiepidiccio». Philippe Delerm è in testa alle classifiche di vendita francesi. Un successo dovuto alla capacità di esplorare le cose semplici della vita ancora un tesoro cui attingere». Lei smentisce l'immagine classica dello scrittore che si tuffa nella vita, che accumula esperienze, che viaggia... «Penso che nella foresta accanto a casa mia succedano un mucchio di cose. Scrivere è portare lo sguardo sulle cose. E al limite, quando si ha una vita tranquilla, il desiderio di scrivere può essere ancora più forte. Ma non pensi che sia rimasto a contemplare per anni... Ho anche un figlio di 21 anni e ho preso il tempo di vivere la sua infanzia». I critici, parlando di lei, hanno citato Proust e Ponge, le sue descrizioni sono state paragonate alle pennellate di Magritte e Monet. Che effetto le fa? «Per fortuna non era il mio primo libro, altrimenti sarebbe stato drammatico! Montarsi la testa sarebbe stato facile. Invece dopo i rifiuti e le lettere sgradevoli di editori che ho collezionato nel tempo, ho imparato a relativizzare. L'importante è che il successo permette a libri pubblicati in precedenza di rivivere. Inoltre il successo mi permetterà di comprare il tempo». Che cosa intende dire? «Questo denaro mi permetterà di insegnare solo part-time e di dedicarmi di più alla scrittura. D'altra parte il mio prossimo libro è quasi terminato e uscirà a gennaio». Argomento? «Le dirò solo che in un'atmosfera parigina si muove un personaggio solitario». Gabriella Gatto rustica pietas sull'altare deli a madre FERDINANDO Camon lo ha anche scritto. Gli dà fastidio che la critica fermi i suoi giudizi più convinti ai «romanzi della pianura», alle due «favole vere» del «ciclo degli urtimi», a quello stesso mondo del sottoproletariato contadino a cui appartiene Un altare per la madre. Eppure se c'è un romanzo che tutti dovrebbero leggere, quello è proprio Un altare per la madre, che si presenta con l'aria di un libretto magro, smilzo, ossuto, ed è invece grande come un vangelo (apocrifo). L'occasione è data dalla più recente edizione appena pubblicata nei tascabili TEA con una postfazione di Gian Carlo Ferretti (pp. 132, L 13.000), che ripercorre il cammino dei giudizi critici. Un libro centrale nel percorso di Camon perché si svolge come un rito di congedo. All'altare «per la madre» che il padre costruisce col rame, lo scrittore accompagna un altare di parole epigrafiche e spesso dialettali, scalpellate dall'energia di una verità ruvida e scabra, dalla coscienza del fatto che la morte è fondamentale. Il compianto del figlio, che si ritrova «solo e ultimo» a seguire il corteo funebre, diventa il principio di un rendiconto gremito di tenerezza e di pudore. La bara delia madre ondeggiante «fra spianate di frumento infestato di papaveri» è uno dei simboli più aiti di un percorso di pietà da cui prende vita la memoria epico-tragica di un intero mondo umiliato e senza storia, intriso di una religiosità rustica e primitiva. Descrivendo l'ardore del padre nel costruire l'aitare, Camon ci parla delia stessa necessità con cui è nato il suo libro: «Come se non lui costruisse qualcosa, ma qualcosa costruisse lui». Giovanni Testo

Luoghi citati: God, Normandia, Parigi, Spagna