Ma le carte le dà Scalfaro di Augusto Minzolini

Ma le carte le dà Scalfaro Ma le carte le dà Scalfaro Prevale la tattica del Temporeggiatore LA commedia prevede un'ulteriore trattativa in cui invece di 300 mila posti Rifondazione ne chiede 100 mila. La sceneggiatura introduce un'altra scena, un altro dibattito al Senato, mentre si rinvia di 24 ore la salita del premier al Quirinale. Inutile dire che chi comincia a dare le carte non è nè Prodi, nè D'Alema, nè Bertinotti: sul palcoscenico di questa crisi «virtuale» che si consuma senza essere stata mai dichiarata il dominus è Scalfaro. Basta restare ai fatti. Qual è l'obiettivo sempre più dichiarato dell'uomo del Colle? Prendere tempo, fiaccare il partito delle elezioni, costringere per quel che è possibile Prodi e Bertinotti ad un accordo - più o meno basso poco importa - e in caso contrario, se i due proprio non ne vogliono sentir parlare, inventarsi qualcos'altro. Un governo ad ogni costo, senza grandi pudori: anche perchè Scalfaro, a differenza degli amanti del bipolarismo, di D'Alema o del Prodi ultima maniera, non ama le tinte forti, la chiarezza del bianco e del nero, ma si accontenta del grigio. Così tutto si trascina. E sta succedendo esattamente quello che Prodi e D'Alema avrebbero voluto evitare. Ha detto ieri mattina il premier nel vertice dell'Ulivo: «Non dobbiamo farci logorare. Ogni volta che vado incontro alle loro richieste, Bertinotti si inventa qualcos'altro. Hanno un solo obiettivo: ottenere qualcosa di più del sindacato per metterlo nei guai. Ecco perchè bisogna andare presto a un chiarimento o altrimenti puntare ad avere le elezioni il 30 novembre o, al massimo, domenica 7 dicembre». Inutile dire che anche in quella stanza, nello studio del presidente del Consiglio a Palazzo Chigi, Scalfaro ha fatto sentire le sue «voci». «Ma quali elezioni - ha spiegato Marini -, la finanziaria non vale tutto questo. Prendiamo tempo, andiamo al Senato dove abbiamo la maggioranza e lì vediamo». ((Adesso le elezioni non sono possibili - gli ha fatto eco Maccanico - casomai un domani...». «Ma siamo matti - ha rimarcato il solito Dini - elezioni mai eppoi mai. L'Europa non ci capirebbe e neppure gli italiani». Più o meno la stessa scena si è ripetuta al Bottegone. Anche qui D'Alema ha suonato lo spartito del chiarimento con Rifondazione. «Vedete ha spiegato ai suoi - Bertinotti e Cossutta non hanno voluto bloccare la finanziaria, ma rompere uno schema, interrompere il processo che può portare ad un bipolarismo maturo. Ecco perché loro da una parte vogliono mettere in crisi il governo e dall'altra vogliono evitare le elezioni. Noi abbiamo l'interesse opposto: arrivare ad un chiarimento in tempi rapidi per tenere aperta la strada del voto. Non voglio farmi certo logorare con strascicamenti alla Fanfani». Raccontano che anche lì, nella for- tezza dalemiana del Bottegone, Scalfaro sia riuscito a far sentire una sua «voce». Con le dovute cautele che fanno parte del suo inconfondibile stile, Giorgio Napolitano ha fatto un discorso che è pressappoco quello del Colle: «Per me - ha detto al vertice del pds - bisognava e bisogna ricercare con maggiore decisione l'accordo con Rifondazione. Inoltre non si possono definire "pasticci" governi che in altri Paesi vengono chiamati di grande coalizione». Insomma, tutto tranne le elezioni. A poco a poco rispondono all'appello di Scalfaro tutti quei personaggi che fanno parte del partito del Colle. Anche Ciampi ci ha ripensato: qualche giorno fa aveva dichiarato che il voto era meglio dei «pasticci», ma adesso non la pensa più così. Pure Mastella, Casini e Buttiglione, i «demo¬ cristiani» del Polo, hanno fatto capolino. Idem i piccoli dell'Ulivo. Addirittura la canzone di Scalfaro comincia a cantarla Berlusconi che, messo al corrente da Letta delle intenzioni del Colle, è tornato a parlare di governo di programma, o per l'Europa. Ma questi discorsi, quelli che ripete il Cavaliere, sono l'«extrema ratio» del Quirinale, sono le ipotesi della seconda fase, semmai ce ne fosse bisogno. La prima fase del piano di Scalfaro è un'altra e punta a rimettere insieme la maggioranza che ha sostenuto il governo Prodi. Tanto con questo obiettivo il presidente prende, è il caso di dirlo, due piccioni con una fava: se riesce nell'impresa bene, altrimenti guadagna il tempo necessario per rendere l'ipotesi elettorale improponibile. Inutile dire che Scalfaro ha diversi alleati, a cominciare da Bertinotti, che vuole stringere al muro Prodi, arrivare anche ad ima rottura, ma, nel contempo, evitare le elezioni. Entrambi mirano a prendere tempo, e per farlo «trascinano» una trattativa che non fa passi avanti. Venerdì, nell'unico faccia a faccia segreto che D'Alema e Bertinotti hanno avuto a Montecitorio, il segretario del pds ha fatto di tutto per strappare un «sì» al suo interlocutore. Gli ha proposto di tenere il taglio alle pensioni fuori dalla finanziaria («Prodi non è d'accordo ma ci si può provare»). L'altro ha risposto con un niet: «Non basta, il governo deve dire che le pensioni non si toccano». D'Alema è arrivato a valutare anche una simile ipotesi in cambio di un accordo forte con Rifondazione, dell'ingresso dei neo-comunisti nel governo. Bertinotti si è messo a ridere e ha risposto: «Ma allora dovete anche rigettare Maastricht». Ebbene, da una settimana il confronto con Rifondazione si svolge in questa atmosfera surreale. Eppure con la benedizione del Quhinale le file dei trattativisti ad oltranza si mgrossano. Tutto pur di arrivare ad un accordo: ieri sera Marini è arrivato a mettere sul piatto del negoziato anche il «non intervento» sulle pensioni di anzianità, che più o meno equivale a dare a Rifondazione quello che il governo non ha dato ai sindacati. Sarebbe come offrire in pasto ai neocomunisti Cofferati. Magari a questo non si arriverà, ma intanto si continua a trattare, trattare, trattare. Anche se da Bertinotti arrivano solo parole che lo stesso segretario di Rifondazione definisce la riproposizione «liturgica» del «no» alla finanziaria. Ma spesso da chi vuole trattare ad ogni costo anche un «no» viene recepito come un «sì». Così ieri sera, davanti ai bagni di Montecitorio uno sconfortato D'Alema ha dovuto spiegare al verde Manconi fautore del negoziato: «Guarda che Bertinotti ha fatto un falso rilancio. Questa non è politica...». Ma la politica è ancora di casa qui? Augusto Minzolini

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