«Fausto? Vuole scavalcare Cofferati»

1 1 Polo insorge contro lo slittamento proposto da Violante e minaccia l'Aventino Ma il governo non può «sbugiardare» il sindacato ISCORSO chiuso e animo in pace, dunque, con Rifondazione? Prima di scrivere la parola fine - come è noto - il prudentissimo Prodi si è preso altre 48 ore di tempo, anche se ieri mattina alle 11 parlava già al passato del suo governo: «Adesso basta. Sono sereno perché posso proprio dire che le abbiamo provate tutte. Ma dove volevano portarci? Fino a spaccare con il sindacato? Proprio noi, il governo del dialogo e della ricerca del consenso con le parti sociali, dovremmo entrare in rotta di collisione con chi rappresenta il mondo del lavoro?». Ma prima di raccontare il cruciale «fattore Cofferati» su cui ancora si giocherà l'esile filo del dialogo tra l'Ulivo e Rifondazione, è bene ricordare che nella notte tutt'altro era stato l'umore del presidente del Consiglio. «E' matto, mi ero dimenticato che è matto», ripeteva alla moglie Flavia e all'amico Giuseppe Tognon, sottosegretario alla Ricerca scientifica, riferendosi ovviamente a quel Bertinotti che l'ha deluso perché riponeva grande fiducia nel rapporto preferenziale stabilito con lui fin dall'inizio dell'avventura governativa, pure a costo di suscitare qualche sospetto di D'Alema. Perché gli sta simpatico, Bertinotti, e davvero considerava prezioso il suo ruolo nella maggioranza. Per questo il premier ha deciso di rinunciare al letto. Accompagnato all'ascensore il ministro Ciampi, l'ultimo a lasciare Palazzo Chigi dopo l'inutile trattativa con i rifondatori, Prodi è salito nel suo appartamento del quarto piano a riscrivere completamente il suo rapporto alla Camera: per farne un messaggio orgoglioso volto a dimostrare che, quanto a orizzonte di sinistra e dedizione agli oppressi, l'Ulivo non ha proprio niente da apprendere da Rifondazione. Insomma, l'ultimo sforzo per inchiodare Bertinotti di fronte alle sue responsabilità: pensaci bene, stai per buttare giù non solo il governo del risanamento, ma il governo che «tutela il lavoro operaio». Parole mai pronunciate prima da un presidente del Consiglio. Parole che hanno aperto un esile spiraglio, guadagnando le ultime 48 ore per una trattativa difficilissima tra le due sinistre. E' stato lì, nella stanza foderata di damasco dorato e affacciata sulla colonna traiana, che alle 1,24 l'ha raggiunto pure il terremoto: «Lassù si è particolarmente esposti, essendo il palazzo in cima a un colle, e allora l'ho sentito forte», racconta il premier. «Che tristezza,, e che strana sensazióne occuparsi di una tempesta nel governo quando il dovere e i sentimenti ci chiamano a preoccuparci dei terremotati. Mi sono informato sugli effetti della scossa, ho continuato a lavorare. Ma le prime telefonate del mattino sono state per l'Umbria e le Marche». Merita di essere raccontata, questa mattinata nel palazzo del governo vissuta come se fosse l'ultima dallo strano staff di conterranei che Prodi si è portato dietro da Bologna. Alle 8,30 quando i segretari dell'Ulivo si accomodavano al tavolo ovale nell'anticamera di Prodi per il vertice del pessimismo - loro erano già al lavoro da mezz'ora col premier nel retrobottega. Sì, perché il piano nobile della presidenza è praticamente diviso in due. C'è come una facciata di rappresentanza fatta di arazzi, specchiere e sale affrescate; ma poi subito dietro allo studio di Prodi i muri si fanno sporchi e i tappeti logori. Letteralmente ammucchiati in buie stanzette, le teste d'uovo che vanno dal professor Paolo Onofri all'economista Franco Mosconi al sociologo Giulio Santagata hanno già radiografato col portavoce Ricki Levi il fallimento della trattativa con Rifondazione. E' qui che viene fuori il «fattore Cofferati». Racconta Santagata: «Abbiamo messo sul tavolo, davanti a Bertinotti e Cossutta, diversi provvedimenti concreti in favore delle classi più deboli, dalla salvaguardia delle pensioni d'anzianità per gli operai all'abolizione dei ticket per i malati cronici. Ma sa perché questi risultati importanti, perfino spettacolari, non bastavano a Rifondazione?». La risposta è forse la chiave di volta di questa crisi scritta in un'altra lingua, cioè contraddistinta dai codici della guerra a sinistra, e che solo per questo appare a Prodi «la più pazza del mondo»: «Rifondazione vuole fermamente dimostrare di fronte al sindacato, in particolare alla Cgil, la sua capacità di incassare risultati proprio là dove Cofferati si era già dichiarato disponibile all'accordo col governo». Traduciamo: Rifondazione vuole scavalcare la Cgil, dimostrare che hanno ragione i suoi dirigenti indisponibili al compromesso come il piemontese Giorgio Cremaschi o il metalmeccanico Claudio Sabattini, mettere in crisi la leadership riformista della confederazione svelandone l'incapacità di tutelare gli interessi operai. Questo è prioritario, l'assalto alla «grande Cgil», la fortezza che con i suoi milioni di iscritti rappresenta ancora il più radicato insediamento sociale del Pds. E lo distingue da un semplice partito socialista. Una clamorosa sconfessione di Cgil, Cisl e Uil. Questo voleva Rifondazione e questo il governo Prodi ha ritenuto impossibile concedere, pena il dissolvimento di tutta una quinquennale politica economica fondata sulla concertazione. «In questi giorni - racconta Onofri - ho sempre di¬ scusso ogni possibile modifica al sistema pensionistico con l'esperto della Cgil, Beniamino Lapadula. Sarebbe criminale che noi sbugiardassimo i rappresentanti dei lavoratori e il loro grande senso di responsabilità». Poiché passa attraverso la sorte del sindacato e dentro la sua vasta platea di militanti lo scontro per l'egemonia sulla sinistra italiana tra Rifondazione e il Pds, è facilmente immaginabile come il «fattore Cofferati» cioè nessuna concessione che delegittimi il segretario della Cgil - sarà l'unico punto fermo delle prossime 48 ore di trattativa. Soprattutto per gli uomini della Quercia. «Bell'obbiettivo di sinistra davvero, spaccare il sindacato». Alle 9,50 Massimo D'Alema è appena tornato alle Botteghe Oscure dal vertice con Prodi e i segretari dell'Ulivo. Alla stessa ora, al teatro Colosseo di Torino, Sergio Cofferati non si lascia intimidire da una raffica di fischi all'assemblea di duemila delegati. In piedi nel corridoio davanti al suo ufficio D'Alema si rigira ancora tra le mani l'ultimo origami di una riunione che lasciava intravedere ben poche alternative alla crisi. Accanto a lui Walter Veltroni non si stanca di ripetere il passaggio della trattativa che più lo ha impressionato: «Noi gli proponevamo la garanzia delle pensioni d'anzianità per gli operai dell'industria e loro rilanciavano per tutti i dipendenti del settore privato. Anche per i bancari e le agenzie di pubblicità?, ho chiesto. E loro impassibili: certo, anche per loro». D'Alema: «Vorrei vederli annunciare una spaccatura non in difesa degli operai ma degli impiegati della pubblicità. La verità è che sono una forza significativa che difende interessi corporativi. Anche se purtroppo la sinistra di governo le ha concesso di rastrellare consensi giovanili grazie agli ideali zapatisti di cui si ammanta». I tempi della crisi nelle ore successive si allungheranno ulteriormente, nonostante la ferrea convinzione di D'Alema che in alternativa al salvataggio di questa maggioranza vi possano essere solo le elezioni anticipate. Su questo punto è in perfetta sintonia con Prodi: il discorso dei 500 giorni di governo dell'Ulivo va scritto comunque come se fosse l'ultimo, perché - dirà il premier - «non siamo disposti a coalizioni continuamente mutevoli e equilibri sempre incerti». Ormai sono le 14, Prodi ha già indossato l'abito blu. Nel suo studio rilegge il testo con Veltroni mentre vanno e vengono i sottosegretari Parisi e Micheli. La signora Flavia preferisce aspettare seduta nella stanza delle segretarie. L'ultimo visitatore prima del passaggio alla Camera sarà Silvio Sircana, il portavoce dell'avventura in pullman, che si presenta con un omaggio in versi, dedicato a Romano, dal titolo «L'accrescitivo». Sbirciamo sul tavolo del presidente la pagina con versi come questi: «Ma, dunque, se io leggo sui giornali/ che "un grande scoglio" incontri senza uguali/ in questo Fausto dalla erre moscia/ un'intuizione mi coglie e ancor mi angoscia:/ è un grande scoglio? allora è uno s/coglione!». Converrà bruciarlo questo foglietto, perché da oggi si torna a trattare. Gad Lerner Il presidente del Consiglio si sfoga con la moglie «E' matto, scordavo che è matto» «Ho passato parecchi anni a risanare Tiri, ora non posso appioppare 300 mila assunzioni» 1 11 ——^ (2) Interruzioni j|| Durala discorso | Applauso in secondi nraiiailMIirTlTWlWTi llll lilèliil IH 11 nllllllI lllft Hill llillHIW^^^^^BMBMllWÌMlHWlilHIIIIIWP8^^

Luoghi citati: Bologna, Marche, Torino, Umbria