GOBINEAU il teorico della disuguaglianza

Amato da Nietzsche e Wagner, saccheggiato da Hitler Amato da Nietzsche e Wagner, saccheggiato da Hitler ritorna un saggio maledetto, sepolto da 50 anni GOBINEAU il teorico deh disuguaglianza A- LEKSANDR Pushkin riempì un bicchiere di vino, lo alzò alla luce della lampada e disse: ecco, questo è il sangue russo di Pietro il Grande. Prese un altro bicchiere, lo riempì per metà di vino e per metà d'acqua: ecco questo è il sangue russo di Pietro II, nipote di Pietro il Grande, figlio di Alessio e di Carlotta di Brunswick. Prese un altro bicchiere, lo riempì per un quarto di vino e per tre quarti d'acqua: ecco, questo è il sangue russo di Pietro III, figlio di Anna e Carlo Holstein-Gottorp, nipote del grande Pietro e della vivandiera lituana Martha Skavronska. Prese ancora un bicchiere, vi mise una parte di vino e sette parti d'acqua: ecco, questo è il sangue russo di Paolo I, figlio di Pietro III e di Sofia di Anhalt Zerbst. Il piccolo gioco di Pushkin andò in scena davanti a un gruppo di amici in un salotto di Pietroburgo negli Anni Trenta del secolo scorso. Qualcuno, dopo la Rivoluzione d'ottobre, continuò il calcolo e constatò che nelle vene di Nicola II, ucciso a Ekaterinburg nel luglio 1918, scorrevano, per ogni goccia di sangue russo, più di trecento gocce di sangue tedesco. Il gioco avrebbe increspato di un malinconico sorriso le labbra di Joseph-Arthur conte di Gobineau, nato a Ville d'Avray nel 1816 e morto a Torino nel 1882, autore di un famoso Saggio sulla disuguaglianza delle razze umane. Ciò che Pushkin spiegò agli amici allineando l'uno accanto all'altro una dozzina di bicchieri, Gobineau lo disse, con straordinaria erudizione storica, in un migliaio di pagine. Le razze, la superiorità di alcune e l'inferiorità di altre, le loro combinazioni e contaminazioni furono la passione e l'angoscia della sua vita. Quando si mise al lavoro, verso la fine degli Anni Quaranta, credette di avere trovato in esse la chiave della storia umana e la causa del declino delle nazioni. Non poteva immaginare che le sue idee sarebbero piaciute a Nietzsche, Wagner e a un inglese germanizzato, Huston Stewart Chamberlain, che aveva sposato la figlia del grande compositore tedesco. Non poteva immaginare che la «Gobineau Verein», creata in Germania verso i primi del secolo, sarebbe stata un vivaio di teorie razziste in cui Hitler, Rosenberg e Goebbels avrebbero pescato a piene mani. Colpito da una sorta di anatema il Saggio sulla disuguaglianza fini nello scaffale dei libri malefici dove rimase sepolto per più di cinquant'anni. Ne esce ora, a cura di Jean Boissell, in una splendida edizione Rizzoli, nella elegante traduzione di Francesco Maiello. La sua storia s'intreccia con quella della vita di Gobineau. E' impossibile parlare del libro senza parlare di lui. Nacque da una antica famiglia di cui raccontò più tardi le origini in un libro intitolato Storia di Ottar Jarl, pirata norvegese, conquistatore della terra di Bray, in Normandia, e della sua discendenza. Come Tocqueville, di cui fu amico, anche Gobineau vide nella Rivoluzione francese una sventura e un flagello. Ambedue cercarono di esorcizzarne gli effetti morali: il primo studiandone le origini e con un lungo viaggio al di là dell'Atlantico da cui nacque uno straordinario libro sulla democrazia americana; il secondo con i viaggi, la scrittura e una lunga riflessione filosofico-letteraria sulla storia umana. Entrò in diplomazia, grazie a Tocqueville, e lavorò in Svizzera, Germania, Persia, per diventare poi, negli ultimi anni della carriera, ministro ad Atene, Rio, Stoccolma. Viaggiò instancabilmente nel Mediterraneo, in Persia, nel Caucaso, nell'Asia Centrale, e da quelle esplorazioni trasse spunto per alcuni gioielli letterari, piccoli capolavori di fantasia e finezza psicologica, raccolti poi nelle Novelle asiatiche e in Ricordi di viaggio. Gli piaceva cogliere e portare alla luce, nei suoi personaggi, ciò che altri chiamerebbe il «carattere nazionale», ovvero quella combinazione di fattori culturali, religiosi, sociali che distinguono i gruppi umani. In uno di essi [Il fazzoletto rosso) raccontò la storia di una perfida vendetta femminile, consumata nella società-veneto-greca di Cefalonia da personaggi in cui appaiono ora la scaltrezza di Ulisse e di Penelope ora la bonomia di Pantalone e Colombina. In un altro {Akrivia Phrangopulo) descrisse l'incontro, nell'isola di Nasso, fra una incantevole ragazza greca e il comandante di una corvetta inglese. In un altro ancora raccontò un viaggio in carovana da Erzerum a Tabriz e si servì di una giovane coppia di italiani meridionali per meglio disegnare il contrasto fra il loro espansivo temperamento mediterraneo e l'impenetrabile misticismo delle popolazioni asiatiche. Questi racconti sono i cascami di seta del grande arazzo storico a cui dedicò la parte centrale della sua vita. L'obiettivo del Saggio sulla disuguaglianza è sfacciatamente ambizioso: comprendere le ragioni per cui gli Stati e le nazioni sorgono, si affermano, si espandono, raggiungono il vertice della loro potenza e si avviano, prima o dopo, sulla strada del progressivo declino. Gobineau conosce le teorie classiche sulla decadenza e sulla morte degli imperi. Sa che gli storici e i filosofi ne trovano abitualmente la cause nel lusso, nella cattiva amministrazione, nella corruzione dei costumi, nel degrado delle virtù morali. Ma non ne è convinto e offre esempi storici da cui si desume I che il lusso e la corruzione non so- no sempre sintomo di decadenza. Il cattivo governo, la pessima amministrazione, la scomparsa del sentimento religioso e il fanatismo sono «accidenti privi di portata». La vera ragione, secondo Gobineau, è nella «degenerazione» dei popoli. Un popolo è «degenerato», a suo giudizio, quando nelle sue vene non scorre più lo stesso sangue, quando il «suovalore è stato modificato da successivi connubi». Comincia così il lungo viaggio di Gobineau attraverso la storia umana. Armato della propria esperienza e di una prodigiosa erudizione - ha letto tutti i libri letterari e filosofici esistenti sull'argomento - il giovane diplomatico racconta che esistevano alle origini tre razze, nettamente distinte - la bianca, la gialla, la nera - fra cui la prima dette subito prova di coraggio, intraprendenza, intelligenza, spirito di sacrificio e di conquista. Ma nell'espandersi attraverso la terra i bianchi vennero in contatto con le razze inferiori. Vinsero e conquistarono, ma furono a loro volta vinti e conquistati dai popoli sconfitti. Ogni vittoria politica e militare contiene in sé il presagio di una sconfitta razziale. Nascono da questi connubi le razze miste: gli assiri, gli indù, gli egiziani, i cinesi, e più tardi i «graeculi» (come i romani della Penisola italiana chiamavano i romani di Grecia), i greci semitizzati del periodo ellenistico, i malesi, i filippini, le infinite combinazioni di meticci, mulatti e metechi da cui è popolata la Terra. Appaiono tuttavia, dopo la decadenza di Roma, i germani. Sono ariani, nobili, coraggiosi. Sono l'oro e l'argento di una immensa tela su cui è disegnata la storia del genere umano. «La stoffa - dice Gobineau -, non è di un solo colore, né si compone di un'unica materia. (...) Le due varietà inferiori della nostra specie, la razza nera e la razza gialla, costituiscono il fondo grezzo, il cotone e la lana che le famiglie secondarie della razza bianca ammorbidiscono mescolandovi la loro seta, mentre il gruppo ariano, facendo circolare i suoi fili più sottili attraverso le generazioni innobilite, applica alla loro superficie, in un abbagliante capolavoro, i suoi arabeschi d'argento e d'oro». Ma anch'essi soccombono al pericolo della contaminazione e della degenerazione. Compiuta la loro missione, quindi, persino i germani scompaiono nel gigantesco frullatore dell'umanità. Riappaiono qua e là come principi solitari, figli di re scomparsi, esemplari miracolosamente intatti di un'epoca onnai conclusa. E non sono necessariamente tedeschi. In una delle sue ultime opere letterarie, Le Pleiadi, Gobmeau descrive l'incontro, in una locanda del Lago Maggiore, fra tre giovani, un tedesco, un francese, un inglese. Scoprono, parlando, di essere «fratelli», di appartenere a una razza superiore, di condividere lo stesso disprezzo per le tre grandi famiglie di cui si compone ormai la società moderna: gli imbecilli, i bricconi, i bruti. Li unisce, insieme alla coscienza della loro superiorità, il disprezzo per le masse che hanno assaltato la Bastiglia, indossato il berretto frigio, decapitato il re, usurpato il suo trono. Qualcuno, come sappiamo, si servì delle sue malinconiche riflessioni per costruire con esse la teoria del superuomo e della razza superiore. Il suo grande libro afferma esattamente il contrario e intravede, di lì a qualche secolo, la «fine della storia». I mille anni trionfanti del Reich hitleriano sono quelli durante i quali, secondo Gobineau, si compirà la «perfetta» decadenza del genere umano. «Le nazioni, (...) oppresse da una cupa sonnolenza - scrive nella conclusione generale della sua opera vivranno così intorpidite nella loro nullità, come i bufali che ruminano nelle pozze stagnanti delle paludi pontine». Hitler, a modo suo, credeva nel progresso e fu ottimista, rivoluzionario. Gobineau credeva nella decadenza, fu disperatamente pessimista e appartiene, con Joseph de Maistre, a quel piccolo gruppo di geniali intellettuali reazionari per cui la Rivoluzione francese fu una punizione divina o più semplicemente la prova della stupidità umana. Nella sua introduzione Jean Boissell osserva che Gobineau non definì mai nel suo Saggio il concetto di razza. Ne fece la base delle sue argomentazioni storiche, ma non potè darne una definizione scientifica. Il suo mausoleo in memoria di un'umanità decadente poggia così su fragili palafitte di legno. Non è tutto. Oggi, grazie agli studi di Alberto Piazza e Luca Cavalli Sforza, noi sappiamo che le razze non esistono. Potremmo quindi considerare il Saggio come la splendida lamentazione, in chiave autobiografica, di un grande aristocratico francese alle soglie della modernità. Ma è difficile chiudere il libro senza provare un sentimento d'inquietudine. Se le razze non esistono, perché siamo ancora, a dispetto della comune appartenenza a un «villaggio globale», così profondamente e irrimediabilmente diversi? Se tutti gli uomini sono provvisti degli stessi strumenti intellettuali, si chiede Gobineau, e «il cervelletto dell'Hurone contiene in germe uno spirito assolutamente simile a quello dell'Inglese o del Francese (...), perché dunque, nel corso dei secoli, egli non ha scoperto né la stampa né il vapore?». Perché? Sergio Romano L'obiettivo dell'opera è ambizioso: capire le ragioni per cui gli Stati giunti al culmine della loro potenza si avviano verso il declino Per il diplomatico esistevano in orìgine bianchi, gialli e neri. I primi avrebbero dato subito prova della loro superiorità zsche e Wagner, saccheggiato da Hitler a e i a o o n a , i o i o o o o e è i t n antica famiglia di cui raccontò GOBINEAU ritorna un saggio maledetto, sepo«frastfalabrimrichinpisefledn ifii Vi i Joseph-Arthur conte di Gobineau, nacque a Ville d'Avray nel 1816 e morì a Torino nel 1882. Oltre al «Saggio sulla disuguaglianza» scrisse numerosi resoconti dei viaggi compiuti come diplomatico