« L'arte? Resta indifesa » Gli studiosi: la prevenzione non sconfigge la natura di Gabriele Beccaria
« « L'arte? Resta indifesa » Gli studiosi: la prevenzione non sconfigge la natura ROMA. «Nemmeno i capolavori hanno un diritto automatico all'immortalità», ha sospirato Sir Ernst Gombrich, uno dei massimi storici dell'arte, parlando di Assisi all'«Observer». «Niente dura in eterno»: i sette secoli della Basilica «sono già moltissimi». E contro i terremoti «non c'è niente da fare». Tempo e natura filosofeggia - sono destinati ad avere la meglio. Forse, perfino più presto di quanto lo stesso Sir non preveda, secondo il trascurato e sempre attuale «Rapporto sull'economia della cultura», pubblicato nel '94 dalla presidenza del Consiglio: se non si moltiplicheranno le scarne risorse attuali, entro il 2040 il 75% del patrimonio monumentale sarà perduto. L'elenco macabro che accomuna Cimabue alla Cattedrale di Noto, al Duomo di Torino, alla Fenice di Venezia si allungherà fino alla catastrofe finale di un'Italia desertificata. Se ha ragione l'algido Gombrich, in ballo c'è allora una sfida gerontologica per allungare quanto più possibile la vita di tesori stracarichi di anni. «L'esito dipende da ciò che ora, e in futuro, siamo disposti a fare: si tratta della sopravvivenza della nostra memoria storica», dice Walter Mazzitti, presidente dell'Archeoclub, da tempo in prima linea nella difesa del bello made in Italy. «La situazione è drammatica: rischiamo di ritrovarci presto tra mucchi di pietre irriconoscibili perché chi ha gestito i Beni Culturali non ha elaborato il concetto della manutenzione ordinaria, vale a dire costante e ripetitiva. Pensiamo al caso più familiare, al degrado dei centri storici. Solo adesso si cominica ad affrontare il problema con il disegno di legge appena presentato da Walter Veltroni per la loro difesa». Senza una manutenzione continua i restauri sono destinati a ridursi a interventi isolati e disordinati, oltre che - accade spesso - violentemente controversi. Ma è chiaro che nella corsa all'immortalità ùnpossibile ci vuole «il coinvolgimento dei privati», spiega Nicolò Savarone, amministratore delegato di Civita, un'associazione per la valorizzazione che dal '90 riunisce enti pubblici e imprese. «Da solo lo Stato non ce la fa. Bisogna che la tendenza s'inveita e si affermi il mercato dei Beni Culturali. L'arte nifatti può produrre ricerca scientifica e innovazione tecnologica - dai programmi software per la ricostruzione dei dipinti danneggiati alle animazioni multimediali per siti archeologici e musei - e quindi ricchezza. E il mercato trascina con sé anche una sensibilizzazione diffusa, quel chiacchierato e necessario turismo culturale basato su fruibilità dei monumenti e rispetto dell'ambiente». Vista così, è una catena che si autoalimenta: il cittadino contribuisce alla manutenzione, la manutenzione apre le porte alla valorizzazione gestita da associazioni e imprese, la valorizzazione garantisce il consumo mirato e l'insieme genera le risorse per contrastare tempo e natura, con lo Stato nel ruolo di supervisore. «Il recente progetto della Grande Pompei - spiega Mazzitti - dimostra che si è finalmente rotto il tabù di una burocrazia che voleva tenere tutti fuori». Osserva lo storico dell'arte inglese John Ayers: «Certo che l'arte è mortale e per questo non può fare a meno dell'amore di chi l'ha ereditata». Gabriele Beccaria
Persone citate: Civita, Ernst Gombrich, Gombrich, John Ayers, Nicolò Savarone, Walter Mazzitti, Walter Veltroni
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