«Ecco la grande spartizione» Nicolisi: un meccanismo necessario di Francesco La Licata

Un falso flirt porta Raz Degan in tribunale «Ecco la grande spartizione» Nicolosi: un meccanismo necessario IL MEMORIALE DELL'EX PRESIDENTE PALERMO DAL NOSTRO INVIATO La città - passi il luogo comune - è entrata in fibrillazione. Come in ogni occasione di «eventi traumatici», si parla, si sussurra, si ironizza. In sostanza, si minimizza. 0 si cerca di minimizzare. Il gioco al ribasso è uno sport tradizionalmente diffuso, da queste parti. Tranne che in procura, dove il terrificante intreccio di mafia, appalti e politica viene preso sul serio. Così almeno si intuisce dallo schieramento di magistrati, finanzieri e carabinieri che ieri mattina hanno illustrato l'inchiesta scaturita dal cosiddetto «ciclone Siino», l'ex ministro dei lavori pubblici di Totò Riina precipitato miseramente ai «piani bassi», fino a raggiungere il «sottoscala» (l'espressione è di un avvocato palermitano) dei collaboratori di giustizia. E sarà proprio questa «serietà», che caratterizza il lavoro con cui Caselli & C. intendono procedere, che alimenta racconti ed interpretazioni, polemiche e dibattiti. Sarà per questo che persino i magistrati non si sono trovati perfettamente d'accordo sulla «velocità» da imprimere all'inchiesta che sembra soffrire di una sorta di «bicefalismo». Due teste: una a Catania, praticamente alimentata dal «ciclone Rino Nicolosi», ex presidente della Regione siciliana travolto da diversi «scandali-appalti» e solo recentemente entrato nell'ottica della collaborazione coi giudici; l'altra a Palermo, diretta conseguenza del «pentimento» di Angelo Siino che, a differenza di politici ed imprenditori più o meno «collaborativi», disegna l'inquietante scenario di una classe politica completamente asservita alla mafia e di un mondo imprenditoriale (anche di livello nazionale) ostaggio dei boss. Ostaggio non in senso di vittima, ma di «partecipe» del grasso bottino dei finanziamenti pubblici. Perché Nicolosi preferisce «veleggiare» verso Catania, evitando il «contatto» coi giudici di Palermo? Semplice: l'inchiesta catanese non dispone del - diciamo - «contributo Siino». Quelle carte, dunque, ipotizzano un sistema di corruzione molto simile a quello già sperimentato dalle inchieste milanesi o dalla stessa ((tangentopoli siciliana» di qualche anno fa. Palermo, invece, per via di Angelo Siino, oggi tratteggia un panorama molto più fosco: un ((blocco» di potere imprenditorial-politico-mafioso che decide a tavolino una ferrea ripartizione dei soldi pubblici ed è eterodiretto da Cosa nostra (leggi Totò Riina) per mezzo di imprenditori come Filippo Sala- mone ed Antonino Buscemi. Non sfugge a nessuno la differenza che corre tra una «ordinaria storia di corruzione» e una più articolata vicenda dove la cosiddetta «dazione», la corruzione appunto, prende le caratteristiche del territorio in cui opera, cioè l'intimidazione mafiosa e persino l'omicidio. Rino Nicolosi ha ammesso l'esistenza di una corruzione diffusa. Ma non vuol essere trascinato sul terreno delle «coppole storte». Non ci sta. Anche Filippo Salamone sembra disposto a fare più di una ammissione, ma non fino a sprofondare nel letamaio dell'art. 416 bis, cioè l'associazione mafiosa. Sarà per questo che la procura di Palermo ha accelerato i tempi dell'operazione, per non «scontrarsi» col provvedimento che i colleghi di Catania si apprestavano a firmare sulla scia delle più caute ammissioni di Rino Nicolosi? Un fatto è certo: i carabinieri delle due città hanno cercato ognuno per conto proprio e sulla scorta di ordini dei gip delle rispettive sedi - il costruttore Filippo Salamone e gli altri indagati. Palermo è arrivata prima. Non sarà facile, per l'imprenditore agrigentino, fratello del giudice di Brescia famoso come «l'anti-Di Pietro», respingere l'ipotesi dei magistrati palermitani. Che cosa ammette Nicolosi? Le cose scritte a mano in un «memoriale» inviato ai magistrati di Catania. Ammette di aver ricevuto contributi elettorali dagli imprenditori Salamone, Graci, Costanzo, Mollica, Parasiliti, Li Pera e dalle «cooperative rosse». Elenca, cruindi, i progetti e gli appalti «contrattati»: il piano re- gionale di sviluppo, il progetto strategico delle acque e quelle iniziative che rientravano nell'azione di coordinamento della presidenza della Regione. Ammette l'interessamento alle «dazioni» di alcune segreterie regionali dei partiti o addirittura di alcuni leader. Per esempio: l'asse Lauricella-Andò (psi) e Capria-Fiorino (psi). Nicolosi non risparmia Mattarella (de) e ripropone la storia del contributo di 10 milioni offerto da Fabio Salamone per la campagna elettorale di Giuseppe Ayala, storia abbondantemente archiviata. Parla dell'on. Gullotti (de) che operava «attraverso collaboratori». Mentre i contributi agli andreottiani arrivavano attraverso l'on. Sciangula «per tramite dell'assessorato ai Lavori pubblici». Insomma la piena ammissione di un «sistema» che, sostiene Nicolosi, consentiva il finanziamento - anche se illegale - dei partiti, per l'ex presidente della Regione questo «sistema» era quasi necessario. «La rappresentazione complessiva scrive Nicolosi ai giudici - che ho inteso rassegnare sulle modalità di finanziamento illecito ai partiti perpetrato soprattutto negli anni terminali della mia presidenza della Regione non è determinata né da furbizia né da opportunismo, anzi mi provoca una forte tensione interiore: ho inteso attraverso la descrizione del quadro complessivo dimostrare che il meccanismo era sistema certamente e consapevolmente illegale, ma in un certo senso necessitato: il tentativo forse illusorio di razionalizzarlo mirava a (iiminuire al minino gli effetti perversi, ampiamente nel passato sperimentati, e svelenire quanto più possibile il clima politico della Regione ed in particolare dell'Assemblea Regionale dalla preoccupazione di una intollerabile parzialità nella gestione...». Traduzione: la corruzione come elemento di stabilità politica. A sentire Nicolosi, tuttavia, stiamo ancora nella «ordinaria tangentopoli». Ben altra cosa, il quadro descritto da Siino, coi Salamone e i Buscemi e i Micciché «nelle mani dei corleonesi». Un esempio per tutti: Nino Buscemi, quello della «Calcestruzzi», che assicura «appoggio militare» a Riina anche per uccidere Salvo Lima, ma che «lavora per la Regione» Un uomo potente, tanto da essere riuscito a «fare inserire nel prezzario della Regione siciliana la voce "fornitura e collocazione della pie tra di Billiemi"». Ciò comporta, spie ga un collaboratore, che ((tutti i prò gettisti devono far riferimento per quella tipologia di materiale alla pietra prodotta da Buscemi». Men tre a Messina lo stesso materiale costava il 50% in meno. Francesco La Licata «Mostrare questo quadro mi provoca una forte tensione interiore» Le mani dei corleonesi sulla gestione degli appalti