I boschi? Bisogna anche tagliare

Società e Cultura h O letto dell'iniziativa del Wwf romano per incrementare lo sviluppo dei boschi; o meglio le superfici boschive; nel medesimo giorno mi sono venute in lettura le disposizioni di una legge regionale del Trentino che limitava il rimboschimento solamente ai terreni già a bosco dove erano stati fatti tagli rasi di piante mature o siano avvenuti abbattimenti per calamità naturali, ma non su aree già a campi, prati, pascoli; su questi terreni erano solo consentite piantagioni per alberi di Natale. Questa mi sembra una legge molto saggia perché, ormai, e non solo in Trentino, i boschi stanno invadendo e mutando il paesaggio montano. E' un problema, questo dei boschi italiani, che merita altre visioni e altri interventi da quelli proposti dal Wwf. L'ho scritto altre volte su questo giornale ed è giovevole ripeterlo: da secoli mai l'Italia è stata così ricoperta da boschi; ci avviciniamo rapidamente, e forse è stato già raggiunto, un terzo della sua superficie totale. Il discorso che dobbiamo fare oggi è quello della cultura e della coltura (che è poi la stessa cosa) dei boschi: conoscerli per amarli e per goderli; usarli per ricavare un utile non solo estetico ma anche naturalistico dagli aspetti vegetali e animali: legname da opera e da carta, legna da ardere, piante officinali, ottima carne da selvaggina e infine, ma non meno importante, servizio come depuratori di aria e acqua per la vita di ogni essere. Anche gli esperti foresta li più «verdi» penso siano d'accordo su questo. Il bosco va coltivato e curato almeno quanto un frutteto e una vigna; ma mentre frutteto e vi gna producono nelle stagioni, il bosco produce nei decenni, per non dire secolo: è un lento interesse che arricchisce il capitale Se l'albero di una conifera giunge mediamente a maturazione in un secolo, la foresta rinno vandosi può durare millenni. I maestri forestali insegnano che la più utile all'uomo non è la fo resta abbandonata a se stessa, o quella eccessivamente sfruttata, o quella vergine, o quella artificiale ma quella spontanea; ossia quella costituita da specie arboree che hanno scelto il loro posto: quindi mista, disetanea . coltivata. L'intervento dell'uomo deve contare sui tempi lunghi e sarà sempre ben remunerato. Quanti disoccupati potrebbero lavorare nei boschi per sfoltire, tagliare, ripulire, raccogliere, sboscare, dar luce e aria nell'aprire radure, costruire strade forestali per l'esbosco applicando i piani silvo-culturali? Dove questi piani da molto tempo si fanno e si eseguono è dimostrata la loro grande utilità e le foreste sono belle, rigogliose e redditizie in legname, in legna e in selvaggina. Due secoli fa sul territorio del mio Altipiano pascolavano d'estate almeno duecentomila pecore; sopra i 1500 metri le montagne erano spoglie di boschi anche perché dove non arrivavano le pecore, dallo sciogliersi delle nevi alle prime nevicate, salivano i carbonai a tagliare il pino mugo da far carbone per i veneziani. In una foto del 1908 si vede Foza, un villaggio allora di pastori in un paesaggio desolato e arido di pietre e ghiaioni; oggi, da quel medesimo punto di veduta, si osservano boschi di diverse età che stanno raggiungendo le case. L'altro giorno sono passato a salutare il pastore di monte Zingarella; ha circa novecento pecore ma per pascolarle deve spostarle ogni pochi giorni per alcuni chilometri perché non trova- no più erba. Anche alcuni alpeggi hanno le casere abbandonate e cadenti in quanto il pino mugo ha invaso i pascoli. E dóve il pino mugo si diffonde intricato e fitto nemmeno gli animali selvatici trovano pastura. A questo fenomeno, almeno dalle nostre parti, è da attribuirsi la diminuita presenza dei galli forcelli (Lyrurus tetrix) e delle lepri alpine o bianche (Lepus timidus). Da esperimenti eseguiti sulle Alpi Orientali è stato riscontrato che dove nei mugheti sono stati eseguiti dei tagli a strisce orizzontali ai pendii, lì si sono concentrate le nidificazioni dei forcelli e la presenza di altre specie, anche di mammiferi. Insomma è mia opinione che la montagna e il bosco lasciati a se stessi non sono sempre l'ideale per l'ambiente, anzi, andando di questo passo e abbandonando pascoli e prati alla forza della natura in pochi anni avremo completamente stravolto il paesaggio ma non solo: ortiche e spini invaderanno anche gli uffici dei sindaci! Il pino montano non è molto studiato dai forestali per l'utilizzazione perché non dà legname da opera e i suoi boschi sono piuttosto impervi. Forma popolazioni pure o miste con larice e peccio, o anche con pino cembro e pino silvestre sino al limite superiore della vegetazione forestale; da noi arriva sino a 2300 metri, ma negli Appennini an¬ che oltre. E' specie polimorfa come poche altre; i vari tipi si distinguono per il portamento e per i caratteri dello scudetto delle squame degli strobili. In linea di massima le piante monocormiche o policormiche erette varietà uncinata, si trovano nella parte occidentale dell'areale (Pirenei, Alpi Occidentali, Engadina); le policormiche prostrate, varietà pumilio e mughus, nel settore orientale (Alpi Orientali, Carpazi, Balcani). Dalle mie parti abbiamo la varietà mughus, che ora, dove da circa cinquant'anni non viene più utilizzata come legna da ri- scaldamento o per fare carbone dolce, è diventata specie invadente; non solo verso le quote alte ma anche verso il basso, occupando così areali che erano riservati a pascolo con bosco d'alto fusto, a bosco misto di larice, peccio e faggio ed è così fitto e intricato da coprire il terreno ai raggi del sole, così difficile, faticoso e scabroso da attraversare che nemmeno i cacciatori più abili e giovani, né i caprioli, né i camosci, né le volpi si avventurano. Alcuni dicono che è bene così perché questa selvaggità protegge la montagna e il terreno dagli smottamenti e dalle frane; ma questo è vero solo in piccola parte: là sui macereti, in certi canaloni e sopra i 2000 metri. Ma più in basso? E sulle pendici non ripide? Nei ripiani? Sono poi del parere che i tagli a strisce seguendo le curve di livello, oltre che agevolare la presenza degli animali selvatici, servono a frenare l'azione delle valanghe perché quando la neve caduta viene a sorpassare in altezza la boscaglia di pino mugo, dalla flessibilità dei rami e dai tronchi prostrati viene agevolata la precipitazione a valle della valanga. Per non parlare della utilizzazione del pino mugo come legna da ardere. Si sa che è più comodo usare il gasolio o il metano, ma questi non dappertutto arrivano, non sono neanche inesauribili, e poi inquinano. In questi giorni ho seguito una ricerca scientifica che una studentessa in scienze forestali sta facendo come tesi di laurea: su cinque particelle di 225 metri quadrati a pino mugo è stato eseguito l'abbattimento e poi, per ogni particella, pesato il prodotto al lordo e al netto della sramatura per quantificare la produzione Facendo una media si è giunti alla conclusione che la produ zione per ettaro è di 138 tonnellate lorde, corrispondenti a 83 nette. Per avere un conto economico preciso si è calcolalo - il tempo di taglia, di sramatura e di esbosco fino a dove può giungere un trattore. Dopo l'essicca zione, necessaria per avere una buona combustione,' si potrà avere anche la résa in calorie Dalle rondelle tagliate con criterio statistico si stanno contando gli anni d'età dei mughi utilizzati. Volendo si potrà anche calcolare l'utile derivante dalla distillazione dei rami più giovani da dove si ottiene l'olio essenziale (mugolio); in una città del Sudtirolo questa attività è in atto da molti anni. Ritengo che le particelle scelte per l'esperimento non siano tra le più fertili, anzi: ricordo che all'incirca cinquant'anni fa vi pascolavano le vacche; ma da que sti calcoli viene come risultato che su queste montagne dell'Altipiano vi sono all'incirca un milione e settecentomila quin tali di legna da riscaldamento una ricchezza che se saggiamente utilizzata è praticamente inesauribile, tenendo pur conto delle funzioni protettive e pae saggistiche. Mario Rigoni Stern L'Italia non è mai stata così ricca: occupano un terzo della superficie Nelle zone montane invadono e mutano il paesaggio Sono un tesoro, solo se curati ome vigne Mario Rigoni Stern

Persone citate: Mario Rigoni Stern

Luoghi citati: Foza, Italia, Trentino