Crisi o no, i mercati credono all'Italia di Alfredo Recanatesi

Crisi o no, i mercati credono alVItalia OLTRE LA LIRA =1 Crisi o no, i mercati credono alVItalia ERCHE' scrivere (come hanno fatto i giornali) o dire (come hanno fatto radio e telegiornali) che i mercati non credono alla crisi di governo? Perché escludere che i mercati, pur considerando l'eventualità di una crisi, si sono ben guardati dal trarne presagi catastrofici? Ci voleva il Financial Times, e solo venerdì scorso, per fare qualche considerazione pacata sulla situazione italiana. Per dire, soprattutto, che l'assetto finanziario ed economico dell'Italia ha acquistato in questi anni la forza per reggersi da sé, e che una crisi di governo, quand'anche si verificasse, non comporterebbe un peggioramento della bilancia commerciale che sostiene la lira, non comporterebbe una ripresa dell'inflazione, non comporterebbe il ritorno a sq^ùlibri della finanza pubblica. Questo per dire che talvolta ai giornali stranieri va riconosciuto, in materia di faccende italiane, il vantaggio del distacco rispetto ad una cronaca che dall'Italia viene vissuta, e soprattutto descritta, non senza passionalità e non senza qualche conseguente inclinazione alla drammatizzazione. C'è una cultura dell'emergenza che ereditiamo dagli anni passati, quando gli aggiustamenti della finanza pubblica e le decisioni in materia di politica economica riuscivano a superare il gioco dei veti incrociati solo nell'incombenza di una crisi finanziaria e nel conseguente clima di emergenza nazionale. Ma in quegli anni tutto era al limite del sostenibile: cambio della lira, tassi di interesse, disavanzo statale, inflazione. Bastava veramente poco perché quel limite di sostenibilità potesse essere superato facendo uscire la moneta, la finanza, tutta l'economia da ogni possibilità di controllo. Nei precari equilibri di allora, ogni crisi politica poteva davvero portare al superamento dei limiti di rottura, e con quella eventualità era difficile convincere la gente che poteva rischiare a puntare sul naufragio del Paese, ad esempio comprando marchi a 1200 lire. Oggi, pur in presenza di uno sgambetto da parte di una componente della maggioranza determinante alla Camera, i rischi di serie ripercussioni sulla situazione economica e finanziaria sono oggettivamente limitati e non vanno al di là di un riflesso condizionato che la speculazione, ovviamente, è pronta a sfruttare. Le risultanze dell'anno, anche se non ancora conosciute con esattezza, sono ormai determinate, e determinati sono anche i dati che dovranno valere per decidere dell'ammissione dell'Italia alla moneta unica. I progressi acquisiti sono solidi, I strutturali, ed hanno fondaI menti che non dipendono dai sobbalzi, dalle incertezze, dalla fluidità degli assetti politici ed istituzionali. E per quanto questi assetti possano ancora risultare instabili, indeterminati, confusi, anch'essi di progressi ne hanno realizzati, se non altro perché, contrariamente a qualche anno fa, oggi si può escludere dall'orizzonte del possibile qualsiasi evoluzione in grado veramente di conpromettere gli aggiustamenti realizzati ed il risanamento conseguito. I guasti di una crisi vanno individuati soprattutto in uno spreco di tempo nel lavoro tecnico e legislativo che alcuni ministri hanno avviato: si pensi ai molti fronti sui quali sta lavorando il ministero del Tesoro, o a quelli meno numerosi, ma non meno essenziali, del ministero delle Finanze. Ora che questo lavoro rischia di venire inceppato, viene riconosciuto e difeso anche da molti che fino a ieri lo criticavano per l'incoerenza e l'insufficienza. Sarebbero guasti non da poco. Ma non investono direttamente la stabilità della lira, il contenimento dell'inflazione, la ripresa che si va radicando, la valutazione delle aziende sul mercato borsistico. Non basta tutto questo per giustificare che i mercati non si siano scomposti più di tanto? A ben guardare, le reazioni negative dell'inizio di settimana possono trovare più che sufficiente giustificazione col fatto che non tanto la crisi, quanto l'anticipazione della manovra sull'Iva può aver accentuato nella Banca d'Italia quella cautela nella quale, invece, sembrava cominciarsi ad aprire qualche varco per un ulteriore riduzione dei tassi ufficiali. E la stizza dell'Ulivo contro Bertinotti, qualche tentativo di recupero del Polo sull'Ulivo, l'eventualità che una crisi possa favorire la ricostituzione di un grande centro, tutto questo contesto politico che ha improntato di sé cronache, analisi e valutazioni di questi giorni, con il cambiamento delle prospettive sui tassi a breve e con il conseguente andamento dei mercati, ha ben poco che fare. Peccato che ad accorgersene sia stato sprattutto il Financial Times mentre i giornali italiani continuavano a presentare una Italia economicofinanziaria fragile e dipendente dalla politica che, grazie a Dio ed all'impegno di questi anni, è stata lasciata definitivamente alle spalle. Alfredo Recanatesi esi |

Persone citate: Bertinotti

Luoghi citati: Italia