«Ma l'aiuto non è un'ingerenza» «Grazie all'Italia se favorisce il dialogo» di Maurizio Molinari
INTERVISTA «Ma l'aiuto non è un'ingerenza» «Grazie all'Italia se favorisce il dialogo» INTERVISTA UNA GIORNALISTA ALGERINA IN TRINCEA SPADOVA ALIMA Gazhali dirige dal 1994 il settimanale algerino «La Nation» e, a 38 anni di età, è l'unico direttore-donna del suo Paese, oggetto di quotidiane minacce per l'impegno profuso nella difesa dei diritti umani. Il niinistro degli Esteri italiano, Lamberto Dini, ha proposto una mediazione internazionale per la crisi algerina. Qual è la sua opinione? «Ogni volta che qualsiasi Paese o organizzazione internazionale compie un passo in favore del dialogo fra gli algerini, per la mia gente è una notizia positiva». Che tipo di iniziativa ritiene possibile? «In Algeria è in corso una guerra. I massacri si succedono senza sosta. Nei quartieri popolari, la notte, i bambini di dieci e dodici anni montano la guardia alle loro case armati di bastoni e pezzi di metallo. Ogni notte temono di veder sterminata la loro famiglia. L'Algeria ha bisogno di aiuto affinché questa orrenda mattanza abbia termine». Ovvero? «Bisogna seguire la strada indicata dal Patto di Roma reso possibile grazie alla mediazione di Sant'Egidio nel 1995. Per portare attorno ad un tavolo tutti i protagonisti della crisi, per farli parlare, trattare. Chiunque riuscirà in quest'intento, sia la Francia, l'Italia o le Nazioni Unite, avrà aiutato il mio Paese». Ma il governo di Algeri è contrario ad ogni intervento esterno... «Il potere in Algeria assiste all'uccisione di dieci, quindicimila persone ogni anno. Nonostante ciò il regime rifiuta ogni intervento esterno perché teme di perdere il proprio controllo sul Paese, sulla società. Chi ricopre incarichi importanti ha immensi interessi economici che vuole tutelare a qualsiasi prezzo». C'è chi sostiene che dietro le stragi in Algeria vi sarebbero anche dei gruppi legati alle autorità militari. «In Algeria si muore ogni giorno. Si rischia la vita uscendo di casa. E la violenza non viene da una parte sola. La crisi non dipende solo dagli eccidi commessi dai fondamentalisti: è anche dovuta all'esistenza di bande che agiscono per difendere interessi di singoli gruppi politici ed economici nel Paese, ciascuno con i propri obiettivi. Non dobbiamo dimenticare che, dopo il 1992, l'esercito ha impiegato tutte le sue forze nella repressione degli islamici. La repressione di Stato ha aumentato la violenza». Mentre i gruppi armati islamici continuano ad uccidere, dal Fis si sono levate delle voci favorevoli ad una mediazione. Che sta succedendo nella galassia dei fondamentalisti? «Si tratta proprio di una galassia. Non hanno un'ideologia chiara. La violenza assassina di molti gruppi è favorita dalla scelta del regime di non dialogare con chi sarebbe pronto a farlo. I leader del Fis da tempo sono disposti a negoziare ma il regime non vuole discutere con gruppi organizzati, perché significherebbe riconoscerli. Preferisce accordarsi con singoli individui. Come nel caso del fondamentalista Abujara Sultani, fra i fonda- tori storici di Hamas in Algeria, ma diventato addirittura ministro dopo aver accettato una linea più docile. La strategia del potere politico è proprio quefla di dividere gli islamici fra docili e ribelli, fra chi ac¬ cetta il regime e chi vi si oppone. Ma questo ha aumentato, non diminuito la violenza». Molti in Europa temono tuttavia che un'affermazione degli islamici ad Algeri potrebbe far dilagare il fondamentalismo nell'intera Africa del Nord. «Ma l'Algeria non è solo fatta di militari e fondamentalisti. C'è anche una società libera, democratica che si batte per il rispetto dei diritti civili. Il potere ed i fondamentalisti hanno bisogno l'uno dell'altro per soffocare gli algerini. La miglior garanzia per la stabilità del mio Paese è la nascita di una vera e moderna democrazia». Cosa si aspetta dalle elezioni amministrative del prossimo 23 ottobre? «Nel mio Paese vi sono centinaia di migliaia di uomini armati. Ogni notte un eccidio. Vi sono dei quartieri popolari dove la gente semplice, in rivolta, impedisce l'ingresso ai poliziotti come agli islamici. Che tipo di risultato potrà mai venire dalle urne finché la situazione sarà questa?» Maurizio Molinari Due immagini dei funerali dopo il massacro di Blida, dove gli ultra hanno colpito per la prima volta usando mortai [foto apj
Persone citate: Lamberto Dini
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