La rivincita del compagno Fausto di Pierluigi Battista

Una settimana fa era solo un demagogo, adesso il governo tratta sull'«utopia» Una settimana fa era solo un demagogo, adesso il governo tratta sull'«utopia» La rivincita del compagno Fausto UROMA NA settimana fa era una proposta «demagogica». Oppure, a scelta, «irresponsabile», «antistorica», «irragionevole», «utopistica», <cfantasiosa», «puerile». Quando sembrava che Bertinotti sapesse soltanto abbaiare alla Luna e lontano dall'Italia il presidente del Consiglio sorvolava infastidito sull'inutile «rumore di sciabole» messo su da Rifondazione, quando insomma nessuno credeva che la testardaggine di Bertinotti sarebbe arrivata fino a questo punto la proposta di riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario appariva come l'ultima trovata del comunista snob che tra tweed e velluti dai tenui colori molestava gli zelanti ragionieri di Maastricht. Contrordine: alla vigilia dello storico incontro tra il governo e Rifondazione le 35 ore sono diventate cosa seria e ragionevole, un solido argomento di trattativa, un'ipotesi da tenere in considerazione, senza chiusure pregiudiziali. Nel conflitto tra la sinistra riformista di D'Alema e quella massimalista di Bertinotti, sul piano simbolico e culturale la vittoria spetta senza ombra di dubbio alla sinistra «antagonista» rappresentata da Rifondazione, quale che sia l'esito del braccio di ferro tra i neocomunisti e il governo di Romano Prodi. L'Unità, per esempio, ha dedicato ieri il paginone centrale a una approfondita analisi storica delle 35 ore: «Cento anni di crisi e sviluppo: così è cambiato l'orario di lavoro». Solo dieci giorni fa sulle pagine dello stesso quotidiano si tuonava contro una proposta che «se attuata, metterebbe in crisi la metà delle imprese nazionali con effetti nefasti sul reddito e l'occupazione». Sembra un'eternità ma solo una manciata di giorni fa il ministro del Lavoro Treu poteva liquidare la richiesta delle 35 ore con un secco «sarebbe controproducente». Sembrano passati anni quando con espressioni sdegnate un commentatore non estraneo alla sinistra come Massimo Riva deplorava su la Fausto Bertinotti Repubblica una proposta «incompatibile con l'integrazione dell'economia italiana nel concerto europeo e tristemente simile all'utopia del socialismo in un solo Paese di cui sono noti i tragici esiti storici». Sarà pure incompatibile e tristemente simile al grigiore del socialismo reale, ma intanto una proposta che era stata bollata e screditata co me l'ennesima stravaganza di un dandy della politica oggi è circondata da mille attenzioni: per Bertinotti è un trionfo simbolico. Certo, fior di economisti e politici di sinistra come Luigi Spaventa, Marcello De Cecco e Franco Debenedetti soltanto due giorni fa hanno sottoscritto un appello in cui si definiscono «fantasiose proposte» quelle che provengono da Rifondazione: talmente fantasiose che «non vediamo come sia possibile un compromesso con po¬ sizioni del genere». Magari al «compromesso» non ci si arriva, ma basta la semplice ipotesi del compromesso sulle 35 ore per fare di Bertinotti il vincitore assoluto della partita. Certo, fior di sindacalisti come Sergio Cofferati e, ancor più esplicitamente, Sergio D'Antoni hanno ribadito la loro contrarietà alla riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario. Con il non trascurabile dettaglio che dieci giorni fa questa posizione godeva dell'apprezzamento generale: oggi rischia addirittura di apparire come un inopportuno irrigidimento se non come l'esplosione di una sindrome concorrenziale nei confronti di Rifondazione. E così, se fino ad ora si era detto che Bertinotti era stato costretto a ingoiare politiche economiche antitetiche a ciò che avrebbe voluto che si facesse, una spietata legge del contrappasso costringe oggi chi ha creduto che fosse possibile tenere Bertinotti fuori della porta a scendere sul terreno del «demagogo» con la erre blesa. E a rimangiarsi i giudizi più aspri sulla fissazione bertinottiana delle 35 ore. Ben scavato, compagno Fausto. Pierluigi Battista Fausto Bertinotti

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