La terra dell'oltraggio senza fine

Lo terra dell'oltraggio senza fine Lo terra dell'oltraggio senza fine EMMspèfazkme si tfasforma in rancore ASSISI DAL NOSTRO INVIATO Cammino nell'ora inutilmente perfetta del vespro di questo mese d'ottobre estivo come non se ne vedevano da duecento anni, sorvolato da un paio di laboriosi elicotteri inchiodati fra le nubi rovinando un paesaggio da Piero della Francesca, o da Giotto, e questo eccesso di eq^nlibrio apparente suona come una stonatura. Salgo verso la cattedrale ferita e trovo telecamere fisse che filmano ventiquattr'ore su ventiquattro le mura colpite dai fari. E' di moda il tele-terremoto in diretta (guardate queste immagini come tremano) e nessuno vorrebbe lasciarsi sfuggire il disastro annunciato. E tutto è immobile adesso, come in un fotogramma, dopo la terribile botta di stamattina. Carlo Angeletti è il padrone del bar e ristorante san Francesco, che sembra un meraviglioso locale coloniale, un po' kitsch e un po' liberty con i suoi divanetti rossi, i suoi tavoli da bistrot. Oggi Angeletti si è gettato per terra quando il terremoto ha attaccato nuovamente Assisi, e ora vive di Tavor. Non per paura. Per disperazione e rabbia. E' rimasto lì e piangeva, qualcuno l'ha visto picchiare la fronte contro il selciato, incapace di fronteggiare il suo crollo interno. Adesso dice, come molti, che Assisi è una città morta, ammazzata sia dai politici che dal terremoto. Che cosa c'entrino i politici sembra una faccenda complicata. La cattedrale, nella quale riuscii ad entrare dopo il crollo di una settimana fa, è adesso imbragata come un ferito appena soccorso. Chiede aiuto. I vigili del fuoco la scalano e la imbragano calandosi dall'alto. Sono bravissimi questi vigili del fuoco, sembrano gli stunt che fanno i commandos nei film, ma sono veri. Biavi loro, bravi i carabinieri, i poliziotti, tutti. E bravo anche il tempo che con la sua miracolosa clemenza ha evitato per ora agli umbri ciò che non fu evitato ai friulani e agli irpini, e cioè pioggia e fango, gelo e neve, notti terribili. Certo, poveretti, le loro notti sono depresse e disperate, e la prima fu anche molto fredda perché mancavano ancora coperte e stufe a gas. Ma nel complesso, e malgrado le lamentele, se la cavano. Le vecchie signore magari muoiono d'infarto, come è accaduto oggi, come accadde una settimana fa, perché la paura uccide come un veleno e il terremoto, che ha una sua perfida intelligenza malvagia da film dell'orrore, lo sa e attacca i fragili, gli anziani, i malati. Torno al mio vecchio albergo e lo trovo deserto, il fattorino piange, il padrone risponde al telefono e grida, poi sussurra e implora parlando con le agenzie turistiche svizzere e tedesche: «ma no, che diamine, siamo ancora in piedi, le camere sono bellissime, non c'è nulla di nulla, glielo dica, che non spargano il terrore, non c'è ragione...». Non c'è ragione. La ragione c'è. Nessuno qui ti garantisce che mentre ti porti la forchetta alla bocca, mentre chiudi la luce per dormire, mentre sei sotto la doccia, lui, il mostro, non torni a darti una nuova mazzata. Nelle camere degli alberghi e delle trattorie vuote come dopo la bomba atomica, squadre di improvvisati operai, tutti cognati fra loro, spargono gesso e calce, passano disperate pennellate di tintura fresca, tutto a calce, tutto alla svelta, affinché le camere crepate sembrino perfette: il maquillage funziona, ma non inganna, perché possono restaurarsi gli intonaci, ma non il cuore della gente. Il cuore della gente è in pezzi perché il terremoto continuo e i suoi scossoni infernali hanno introdotto l'incubo nel dolce paesaggio. Come si vive? Bisogna conoscere gli umbri, per rispondere. In «Maledetti toscani» Curzio Malaparte sostiene che sono l'unico popolo che può competere con il suo, e riconosce che sono gente ancora più sferzante e dura. Ma, come i toscani, gli umbri hanno uno spropositato senso del campanile, della frazione, del comune e delle famiglie. Sono comunardi, bravi ed efficienti, con un fortissimo senso civico, ma viene prima il particulare'che il generale e infatti quasi tutti gli umbri, ma anche i marchigiani, sono gelosissimi di Assisi: «Stanno tutti a pensare ai dipinti, badano a quei quattro sassi, e non si accorgono che qui la gente è in strada, muore, soffre. Ma che venissero giù, una buona volta, quelle quattro pietre dipinte...». Sono passato per Nocera, Foligno e Perugia tornando dalle Marche dietro colonne interminabili e inchiodate di camion, trattori, roulottes, jeep della protezione civile, caravan con rimorchio, macchine piene di parenti che vanno a trovare parenti. E vicino alle case pericolanti, cioè tutte, si vedono campeggi che sembrano teatri-tenda. E invece sono le case provvisorie per chi fino a ieri viveva una vita normale. Ecco, mentre scrivo queste righe la terra trema di nuovo e le tendine della finestra si gonfiano, il lume oscilla e si sentono sfrigolare i calcinacci. C'è chi piange dietro le finestre, c'è chi non riesce a consolare i figli, o la madre. Gli umbri non vogliono essere tirati fuori di casa, odiano le roulotte così come chi resta ferito per un incidente non ne vorrebbe sapere della barella e dell'ambulanza. Protestano e vogliono restare in tenda vicino alla casa. Per poi andare di notte a recuperare denaro, oggetti, preziosi, cose personali, medicine e oggetti di toeletta, ma la polizia li blocca, giovani poliziotti con una casacca arancione rifrangente con la scritta «polizia», che cercano di convincere che è pericoloso. Ma è una lotta. L'intasamento da terremoto è totale al passaggio a livello sotto Nocera e passiamo un'ora e mezza aspettando il turno davanti al semaforo che regola il senso unico alternato ascoltando la radio, le ultime notizie, le interviste alla gente per strada. Gli uomini dei servizi civili scendono a sgranchirsi, gli abitanti ci guardano con un'espressione addolorata e di vaga protesta: non vedete che siamo noi qui a soffrire? Che cosa volete? Che cosa potete fare? Niente. Le colonne vanno su, trainano roulottes, ingombrano con i macchinari per sgomberare le macerie e bisogna dire che lo spettacolo complessivo è operoso, ordinato, addirittura poderoso visto l'impiego di mezzi,, di veicoli, di uomini. Ma questa gente deve tuttavia dormire al sereno, riparata dietro un telo di stoffa blu. E la terra si scuote, minaccia, brontola. Poi l'energia si ritrae scodinzolando nelle voragini del sottosuolo come una coda di drago e tutti sanno, tutti sappiamo che tornerà, che è questione di ore, di giorni, perché le previsioni sono tutte sballate, perché nessuno può garantire proprio niente dal momento che la scienza empirica dei terremoti non ha mai fornito leggi fisiche, è più incerta della psichiatria, non offre modelli di comportamento ma soltanto vaghe statistiche che poi vengono smentite. E la tragedia dei nervi distrutti, del morale scosso non fa parte dei manuali, non si misura con la scala Mercalli, né con la Richter. I tendoni sono sistemati nei giardini, che gli umbri curano con grande scrupolo perché sono gente che ama le decorazioni, le ceramiche, le rifiniture, i balconi fioriti e, appunto, i giardini. Poiché le case venute giù nella polvere sono poche, l'effetto esterno è meno vistoso, è da terremoto finto. Ma appena tenti di varcare la soglia di una casa a Nocera, vedi che tutto si tiene per miracolo, grandi ragnatele nere sui muri indicano le fratture. La gente è depressa, non irata. Le donne meno giovani piangono, ma più di rabbia e di frustrazione che di pena. Intanto sotto le ceneri e le macerie del terremoto covano malumori cupi, maturano leggende gotiche e sospetti sui vicini del paese accanto. Assisi ha sotto di sé la frazione di Santa Maria degli Angeli che è più grossa e popolosa del sito sacro e artistico, un po' come succede con Mestre e Venezia. E quelli di Santa Maria, che non vivono direttamente di turismo come gli assisani di sopra, hanno altre preoccupazioni, altre scale di valori. Così come i perugini che con quelli di Assisi non sono mai andati d'accordo e che non vedono di buon occhio la loro embrionale università, che potrebbe forse far loro concorrenza. Discorsi da bar, da vigili urbani, da gente che ti accompagna su per l'inerpicata e ti mostra un paesaggio sciaguratamente dolcissimo, un'ipocrisia di fronte al terremoto e al suo carico di angoscia e di minacce. Lo spettacolo più stravagante è quello delle case imbragate nella plastica. Paolo G lizzanti La cattedrale di Assisi è imbragata come un ferito appena soccorso Lunghe colonne di camion e trattori campeggi simili a teatri-tenda

Persone citate: Angeletti, Carlo Angeletti, Curzio Malaparte, Mercalli, Nocera, Piero Della Francesca, Richter