La catacomba dei vendicatori

La catacomba dei vendicatori La catacomba dei vendicatori Ritrovata la grotta della mafia del 700 IL CASO UN PASSATO CHE RIAFFIORA F ' PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Qui, tra la «Vanella degli Orfani» e il vecchio Monte di Pietà - nel cuore del Capo, un tempo quartiere arabo (as Harat as Saqalibah) - il popolo palermitano ha sempre creduto nell'esistenza della Grotta dei Beati Paoli. Anzi, gli abitanti del Capo - che si sono autoeletti custodi della tradizione dell'antica setta di «Giustizieri» - hanno dato per scontato che da qualche parte, nel quartiere, doveva esistere il sotterraneo descritto da William Galt, pseudonimo di Luigi Natoli, nell'avvincente romanzo d'appendice che tanta fortuna ebbe e continua ad avere a Palermo. Più di una traccia, in passato, si era trovata negli scritti del 1790 del marchese di Villabianca, di Giuseppe Bruno Arcaro ( 1873) e di Vincenzo Di Giovanni (1890). Oggi la clamorosa conferma: la grotta esiste ed è proprio come se la immaginano i palermitani. Proprio nei luoghi compresi nella «piana» chiamata dei Beati Paoli, alle spalle della chiesa di Santa Maruzza, nel- l'antico vicolo detto «degli orfani», forse per via della presenza della Pia Opera «Andrea Navarro» che nel '700 si prendeva cura degli orfanelli. L'ha scoperta il prof. Pietro Todaro, incaricato nel 1996 dalla giunta comunale di «verificare l'esistenza della cosiddetta Grotta dei Beati Paoli». La notizia non è ancora ufficiale, ma il «prodigio della Grotta» è già stato mostrato al sindaco Orlando, al vicesindaco Emilio Arcuri, e a due grandi esperti: i professori Rosario La Duca e Francesco Renda. Ieri è stata mostrata anche al cronista, con grande emozione di quanti hanno contribuito alla scoperta. La Grotta si apre su una delle sponde di quello che fu il «Papireto», al centro di un di¬ slivello che parte dalla piazza detta dei Beati Paoli e si inerpica per il vicolo degli Orfani. La «bocca», ampia da consentire agevolmente l'ingresso, sta sotto un ninfeo del '700, in un giardino del palazzo Blandano simile alla descrizione del Villabianca tranne che per «l'albero boschivo» sostituito da un più recente «arancio amaro». Ed ecco i gradmi di mattoni di terracotta: non 5, come dice il marchese autore dei Diari, ma 11.16 mancanti evidentemente erano coperti dai detriti. La sala delle assemblee è di forma circolare irregolare. Ecco, di fronte, la nicchia dove il Villabianca vide una sorta di altare che non c'è più. E un pozzo dove ancora oggi c'è acqua. Si pensa servisse agli usi della comunità, come il buco sul tetto, presa di luce e di aria. Ed ecco, sulla destra, l'incavo che immetteva in un cunicolo costruito per la fuga. Ha scritto G. Bruno Arcano di un luogo sotterraneo di fuga «che si biforca in due arterie delle quali l'una avrebbe sbocco in vicolo degli Orfani, l'altra si prolungherebbbe fino al «chiami di S. Giovanni alla Guilla». E, subito attaccato alla nicchia, il grande sedile semicircolare in pietra. Il portatorcia in ferro. Stilla sinistra, un muro occulta il resto della Grotta. Vedremo quale altra sorpresa ci riserverà il proseguimento dei lavori. Per il momento il muro lascia in evidenza un terrapieno che, secondo il prof. Todaro, na¬ sconde la Cancelleria, il luogo dove - secondo la credenza - i Beati Paoli custodivano le «carte» dei processi che imbastivano. Già, perché i Vendicosi processavano e punivano i potenti e gli arroganti, in difesa dei deboli. Così vuole la fantasia popolare. E la setta teneva anche le armi. Nascoste dove? Lo scrittore dice che stavano in una delle nicchie. Piano con la fantasia. L'esistenza della Grotta non conferma l'esistenza della «setta segréta», delle assemblee notturne degli «incappucciati», non conferma l'esistenza, come vicecapo dell'organizzazione, di Girolamo Ammirata. Non dice che effettivamente lo «sbirro» Matteo Lo Vecchio indagò sulla «confraternita» per conto di don Raimondo Albamonte. Quella potrebbe essere stata una catacomba successivamente adibita ad altri usi e persino come «camera dello scirocco», cioè luogo di refrigerio in occasione delle frequenti ondate di vento caldo africano. Certo, i palermitani sono più inclini al feuilleton. E sognano, ripensando alla scena di Andrea Lo Bianco che, il 10 ottobre del 1713, viene «abbordato» presso la chiesa intesa col nome di Santa Maruzza e condotto, bendato, nel «covo» dei Beati Paoli per essere «interrogato». «La porta si aperse - scrive Gait ed egli entrò in una stanza illuminata da lanterne fisse al muro... In fondo alla stanza v'era una specie di altare di pietra, sul quale sorgeva un Cristo in croce, fra due candele accese...». Il «capo» recita: «Andrea Lo Bianco, tu sei entrato in un luogo nel quale nessun profano ha messo mai il piede; ma ciò impegna la tua vita forse in un modo che tu non immagini». In questa cerimonia i palermitani intravedono l'iniziazione mafiosa. Francesco La Licata Scoperta da un professore: è sotto il rione Capo un tempo quartiere arabo Undici gradini, e si scende in una sala circolare il ritrovo dei giustizieri [ La grotta è stata scoperta sotto il giardino di palazzo Blandano precisamente sotto il ninfeo L'area è ancora oggi chiamata «piana» dei Beati Paoli

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