Lo sciopero della dialisi
Protesta di un gruppo di ammalati di Napoli: è solo un business Protesta di un gruppo di ammalati di Napoli: è solo un business lo sciopero della dialisi «Non vogliamo dipendere da una macchina» NAPOLI. Rifiutano l'unica cura possibile perché non vogliono che la loro vita dipenda da una macchina, perché credono che la dialisi debba essere una soluzione temporanea ed il trapianto la fine possibile della malattia. Dura ormai da tre giorni lo «sciopero» di quattro nefropatici napoletani che hanno scelto una forma estrema di protesta: non si sottopongono alla terapia che allontana il pericolo della morte, pretendono che anche in Campania un rene nuovo non sia un miraggio e che la loro tragedia personale non sia considerata un affare. Nella sala di aspetto di un centro di dialisi di Pomigliano d'Arco, nel Napoletano, quattro uomini aspettano una risposta. A loro potrebbero aggiungersi presto altri otto dializzati da anni in lista d'attesa per un trapianto. Antonio Messina e Gennaro Vitiello, tutti e due di 44 anni, Pasquale Cella, 30 anni, Vincenzo Tufano, di 50, sanno di rischiare grosso perché il «lavaggio» del sangue è il solo possibile mezzo per aggirare un destino segnato. Un medico, Vincenzo Calderaro, segue il loro «sciopero» pronto ad intervenire: «Questi pazienti possono subire un brusco innalzamento delle concentrazioni ematiche di potassio e quindi un edema polmonare. Sanno bene ciò a cui vanno incontro se non si sottopongono alla dialisi». E allora, perché sfidare la sorte? La risposta è nelle cifre che disegnano la disastrosa situazione della Campania. La Regione conta 4 mila dializzati e 180 centri di dialisi (con una concentrazione di stratture private che è la più alta in Europa); lo scorso anno le persone cui è stato trapianto un rene sono state appena 5 e quest'anno soltanto una in più. Che le scarse donazioni possano non essere l'unica causa dell'irrisorio numero di trapianti sembra emergere dall'inchiesta avviata nei mesi scorsi dal pm Arcibaldo Miller: una cinquantina tra medici, titolari di centri di dialisi e funzionari amministrativi risultano inda- gati per concussione. L'indagine, giunta alla stretta finale, deve chiarire anche se fra la fiorente attività delle stratture private ed i pochi interventi eseguiti possa esservi qualche collegamento. «Ma a noi - spiegano i quattro nefropatici che rifiutano la dialisi - non interessa che qualcuno vada in galera, a noi importa avere un trapianto». L'analisi degli ammalati che hanno deciso di ricorrere allo «sciopero» è lucidissima. «Ogni paziente - sottolinea Antonio Messina - costa alla Regione 150 mila lire a seduta. Se si moltiplica questa cifra per tre ovvero le dialisi cui ci sottoponiamo ogni settimana, e poi per il numero dei dializzati, emerge chiaro il quadro dello scandalo. Si dice che non ci sono donazioni, ma questo è un po' poco per giustificare l'inerzia totale cui si assiste da anni in Campania». Il male ha costretto Gennaro Vitiello a lasciare il lavoro e a cercarsi un'occupazione parttime come agente di commercio. Anche lui ha percorso le tappe del dolore: in lista d'attesa per un trapianto a Lione, Bruxelles, Roma. «Qui la dialisi è un punto d'arrivo, non una terapia-ponte, e si è trasformata in un business. A questo punto è meglio morire che re stare sospesi in un limbo di di sperazione con la certezza che il trapianto non arriverà mai». E Maria Grazia, 33 anni, che non «sciopera» ma da quando aveva dodici anni conosce la malattia, spiega il suo calvario con parole che lasciano il segno: «La mia vita è un sogno: ho sognato di poter lavorare, di potermi sposare, di poter crescere dei figli e sogno ancora di poter avere un rene nuovo». Mariella Cirillo «Meglio morire che aspettare inutilmente un trapianto» I quattro pazienti che fanno lo sciopero della dialisi
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